Per non dimenticare gli “Angeli” di San Giuliano

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Sono quindici anni dal giorno in cui un  devastante terremoto colpì alcuni paesi del Molise e soprattutto S. Giuliano di Puglia, rimasto nella memoria di tutti per la morte degli alunni di una scolaresca insieme ad una maestra, mentre altre due maestre miracolosamente sopravvissero all’immane tragedia

di Giovanni Sparano Iacovantuono (da ilbenecomune.it)

31 ottobre 2017

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Per non dimenticare tanto dolore e per tramandarlo ai giovani ricordo come abbiamo vissuto noi dell’ospedale di Campobasso quei momenti di terrore e quanta solidarietà ha circondato i superstiti. Era il 31 ottobre dell’anno 2002; i pazienti erano sui loro letti di dialisi; improvvisamente scosse  di tipo sussultorio ed ondulatorio cominciarono  a scuotere il pavimento ed  i letti; le pareti sembravano venirci addosso, ma, cosa ancor più terrificante, l’intera struttura ospedaliera, posta davanti ai nostri locali, oscillava paurosamente. I pazienti spaventati al massimo chiedevano l’interruzione del trattamento dialitico. Appena finito il panico, venne la caposala avvisandoci che al sesto piano le scosse erano state avvertite con oscillazioni maggiori, tanto che lei, infermieri e parenti erano stati sbattuti contro le pareti. Subito dopo, dalla radio locale, apprendemmo che l’epicentro era stato  S. Giuliano e che una scuola era crollata seppellendo un’intera scolaresca di alunni e tre maestre. Per tutto il giorno le ambulanze riempirono di sirene il silenzio delle cittadine molisane.

I feriti venivano trasportati, a secondo della gravità, negli ospedali di Larino, Termoli e  Campobasso. Dalla televisione apprendemmo che, purtroppo, ventisei bambini avevano perso la vita sotto il crollo del soffitto che, cadendo, aveva lasciato miracolosamente indenne la maestra. Un altro bambino morì dopo qualche tempo presso l’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, dopo una lunga sofferenza e dopo essere stato sottoposto a sofisticate terapie, tra cui l’emodialisi. Due bambini, ricoverati presso l’ospedale di Campobasso, furono relativamente più fortunati, perché fu loro risparmiata la dialisi. Ambedue presentavano le lesioni tipiche della sindrome da schiacciamento. Uno dei due bambini, estratto per ultimo dalle macerie dopo ben sedici ore, presentava lesioni molto gravi agli arti inferiori, che erano edematosi e freddi, con estremità già cianotiche. Grazie alla decompressione, ottenuta mediante tante piccole incisioni chirurgiche ed  alla disostruzione mediante rimozione dei coaguli ed abbondante somministrazione di sostanze trombolitiche nelle arterie, la circolazione del sangue cominciò lentamente a riprendere, cominciarono ad essere avvertite le prime flebili pulsazioni, un tenue colorito roseo prese il posto del pallore e della cianosi precedente. La gioia per avere evitato l’amputazione bilaterale ad un bambino di appena otto anni, fu grande.

La storia dell’altro bambino era altrettanto triste. Le lesioni da schiacciamento erano meno gravi ed interessavano solo un braccio, che però provocava al bambino molto dolore, tanto che doveva essere sottoposto continuamente ad analgesici, dei quali non si poteva abbondare per la concomitante compromissione renale. I genitori erano letteralmente distrutti dal dolore, anche perché, pochi mesi prima avevano subita la perdita di una bambina per una malattia incurabile. La nostra collaborazione con i rianimatori diede ottimi risultati e riuscimmo ad evitare l’intasamento del filtro renale, come avviene in questi casi. Con il passare dei giorni i reni ripresero la funzione normale, le lesioni agli arti in gran parte migliorarono; appena i bambini furono  in condizioni di affrontare un viaggio, furono trasferiti al reparto riabilitazione del Bambin Gesù di Roma. Dopo alcuni giorni dal terremoto, i colleghi nefrologi di Termoli trasferirono presso il reparto Rianimazione di Campobasso R.C., una delle due maestre sopravvissute, in  pericolo di vita per grave insufficienza renale, stato precomatoso, anemia grave ed ipotensione arteriosa, ai limiti del collasso cardiocircolatorio. Dopo otto ore di emodialisi continua, eseguita lentamente e nel modo più fisiologico possibile, dopo aver trasfuso plasma e sangue in continuità, fermata la perdita di plasma e sangue, le condizioni della paziente mostrarono un lieve miglioramento, cui seguirono giorni difficili, in cui momenti di miglioramento si alternarono a peggioramenti finché si arrivò al superamento di  quella tremenda ed indimenticabile avventura.

Certamente per tutta la vita la maestra non dimenticherà quei momenti, vissuti con l’incubo della morte imminente, schiacciata tra due grossi blocchi  di pareti, che l’avevano salvata dalla morte, ma l’avevano  obbligata ad  assistere impotente ai  lamenti sempre più flebili dei suoi scolari che imploravano inutilmente la propria  mamma. Appena riprese conoscenza e poté articolare la lingua, il primo pensiero non fu per la sua salute, né per il marito o i figli, pur tanto cari, ma per la sorte della sua scolaresca, per la quale lei nulla aveva potuto fare. Le prime parole da lei pronunciate, con un sottile filo di voce, furono: “Adesso alle mamme cosa  posso dire!” La nostra paziente  migliorò lentamente, ma progressivamente; la ferita che stentava a rimarginare fu sottoposta a trattamento iperbarico con sofisticate apparecchiature, inviate presso l’Ospedale di Campobasso dalla Marina Militare. Dopo circa quindici giorni, la diuresi riprese e   potette lasciare la dialisi. Appena migliorata fu trasferita in un ottimo reparto di riabilitazione della Capitale. Oggi, leggermente claudicante, viene spesso a salutarci ed a rivivere con noi quei momenti di sofferenza del corpo e dello spirito Grata per l’assistenza, soprattutto psicologica, data al suo io di mamma e maestra così duramente colpito, ha lasciato al personale  una commovente targa ricordo,  sempre presente nella sala d’aspetto del reparto dialisi.

Per un medico ed un infermiere, la riconoscenza e la gratitudine di un paziente è forse il dono più bello, che nessuna moneta al mondo può eguagliare. Vedere un paziente che torna più volte nel  luogo dove tanta sofferenza ha subito, significa che  si è stabilito un rapporto di amore ed empatia con il personale di assistenza. Devo ricordare che in quei giorni la solidarietà e la generosità dell’uomo compirono miracoli; tutti, dal Direttore Generale all’ultimo inserviente dell’Ospedale, facevano a gara a contribuire, ognuno secondo le proprie possibilità, ad alleviare le sofferenze dei terremotati ricoverati e di tutto il popolo del bacino di S. Giuliano. E’ così bello assistere a questi miracoli in cui la coscienza individuale capisce che non è più tempo di star sempre chiusa nel proprio egoismo, ma bisogna aprirsi alle angosce, alle paure ed alla sofferenza degli altri, che fanno  parte del suo stesso destino di  essere fragile e solo davanti  a forze superiori che  possono schiacciarlo  in ogni momento. Peccato che bisogna aspettare i cataclismi per fare affiorare queste virtù nascoste  e relegate in fondo al cuore degli uomini!

di Giovanni Sparano Iacovantuono (da ilbenecomune.it)

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