Il Molise e la crisi dell’Europa

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Editoriale dell’ultimo numero, Aprile/Maggio, de Il Bene Comune

di Antonio Ruggieri 

22 maggio 2019

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Paolo Magri, direttore dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), in una sua recente analisi di scenario, sostiene che è venuto a consunzione il softpower di un’Europa che dalla fine della guerra fredda si è pensata e si è proposta come uno spazio di pace, di democrazia e di prosperità, gradatamente attrattivo per gli altri paesi del continente. Non è più così e la Brexit è solo la punta dell’iceberg di processi geopolitici e macroeconomici profondi che stanno cambiando (hanno già cambiato) il teatro nell’ambito del quale dovrà aver luogo il processo d’integrazione continentale. Individua cinque tendenze che hanno rivoluzionato il mondo in cui viviamo:

1. la prima riguarda lo spostamento del centro planetario a livello economico e demografico. Se fino al 1980 le economie avanzate occidentali producevano il 75% del prodotto interno lordo del pianeta, in questi ultimi quarant’anni i paesi emergenti (innanzitutto Cina e India) hanno pareggiato il conto e continuano a dar vita a performance che stabilizzano il cuore nevralgico dell’economia nella parte sud-orientale del pianeta. Per quanto riguarda gli assetti demografici, nel 1950 la popolazione europea era il doppio di quella dei paesi subsahariani; nel 2015 il rapporto si è invertito e si stima che nei prossimi 40 anni a sud del Sahara abiteranno 2 miliardi di persone. Il cuore demografico del pianeta dunque è destinato a spostarsi a sud.

2. La seconda tendenza, ampiamente in atto, riguarda la crisi degli equilibri politici internazionali. Gli USA sono ancora una superpotenza dal punto di vista tecnologico (sempre meno) e militare, capace di sostenere differenti iniziative belliche contemporaneamente; ma i fallimenti della cosiddetta “transizione democratica” in Afghanistan e in Iraq hanno dato fiato alla politica di Trump (America first) che rigetta il ruolo di poliziotto dell’ordine planetario, proprio mentre emergono global players che quell’ordine lo disconoscono, diventando egemoni nei loro territori di competenza. In questa chiave va letta la crisi della NATO con la richiesta americana di finanziamenti più signifi cativi dei paesi membri e il progressivo disimpegno di Trump dalla Siria. La Cina intanto ha abbandonato la peaceful rise (ascesa pacifica), dotandosi di un ragguardevole arsenale atomico e diventando la potenza egemone in un’area cruciale per l’economia come il sud est asiatico.

3. Siamo inoltre alla fine conclamata della globalizzazione. Negli ultimi tre decenni la globalizzazione ha eroso i dazi e ha consentito rapide crescite delle economie più forti inglobate nel sistema. Attualmente però quello che c’era da erodere è stato eroso e inoltre, la ricchezza generata è stata ad appannaggio del 10% della popolazione che era già ricca. Il questo scenario prospera la cultura protezionistica e sovranista, e il libero scambio arranca. Si sta determinando una condizione simile a quella fra le due guerre novecentesche che ha favorito la nascita dei regimi totalitari e che ci ha portato alla seconda guerra mondiale.

4. È in crisi l’idea e la cultura della democrazia intesa come sistema generatore di benessere. Fra il 1970 e i primi anni del 2000 i paesi democratici erano passati da 1 su 4 a 1 su 2; negli ultimi 20 anni questo rapporto si è stabilizzato e rischia di regredire. Si fanno strada altri modelli, da quello cinese con un partito unico e verticistico a “democrature” che consentono consultazioni elettorali, controllate però dal governo a danno delle opposizioni.

5. Infine, si riducono i conflitti fra stati e riesplodono quelli interni ai singoli paesi: fra governi e oppositori, per motivi etnici o religiosi, rispetto ai quali la comunità internazionale non è in grado di svolgere una funzione regolatrice.

In questo scenario così fluido e pernicioso l’Europa dovrà ristabilire i suoi compiti e la sua prospettiva; dovrà farlo abbandonando la soggezione alla fi nanza e alla BCE che la tiene per la collottola, rilanciando lo spirito e l’impianto valoriale del Manifesto di Ventotene del 1941 di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Le elezioni del 26 maggio sono decisive per respingere e battere le spinte di chiusura nazionalistica e preservare il processo d’integrazione comunitaria. Lo sono anche per la nostra minuscola regione tornata nell’”obiettivo uno”, fra quelle in ritardo di sviluppo. Nei prossimi anni dovremo (se ne saremo capaci) avviare e portare a termine una vera e propria rivoluzione culturale che dovrà indicarci il cammino da intraprendere per diventare una comunità competente che riconosce le sue vocazioni e le mette a frutto con rigore e con abnegazione. Tutto questo però sarà possibile unicamente dentro l’Europa unita, che anche noi dovremo preservare e contribuire a cambiare dalle fondamenta.  

di Antonio Ruggieri 

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