A Duronia le pietre non le abbiamo salvate

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I cittadini di Duronia, è duro dirlo, a differenza di tanti altri paesi molisani, nell’arco degli anni, non sono mai riusciti ad apprezzare nel giusto modo e quindi a preservare la loro cultura e la loro storia

di Giovanni Germano 

25 novembre 2020

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Con “cammina, Molise!” ho avuto la fortuna di conoscere tutti i 136 paesi molisani, tra questi, Duronia, il mio paese, si distingue per non avere alcun riferimento culturale identitario. Tutti i paesi, anche i più piccoli, hanno almeno una Chiesa d’epoca, un castello o un palazzo baronale, portali o fregi architettonici che ricordano maestranze eccelse locali, opere scultoree o pittoree di pregio, almeno un libro monografico sulla propria memoria storica. Duronia no, non ha niente di tutto questo, se si eccettua il volume di Gioacchino Berardi, (“Duronia, dall’origine ai nostri giorni”), nel quale l’Autore, raccontando le vicende storiche legate alla sua famiglia, inevitabilmente cita aneddoti interessanti legati alla storia del paese.

Eppure l’impianto urbanistico del paese parla chiaro: un centro storico, La Terra, di evidenti origini tardo medioevali, con accesso da due porte d’ingresso, una delle quali ancora, fortunatamente, visibile, sita in sommità della Salita del Nervo ed addossata alle possenti mura della Chiesa (ora abbandonata e sconsacrata) di S. Nicola di Bari; la zona fuori le mura de La Terra, con interventi di espansione dall’inizio del 500 in poi. L’importanza del centro storico è evocata solo dalla toponomastica (Via del Trono, via Castello, etc), dalla tipologia dei fabbricati (molti diruti) ancora presenti. 

Eppure la posizione strategica del sito è evidente. Tre arci, la prima su cui sorge il paese (ora Duronia, fino al 1874 Civitavecchia), la seconda, la Civita, dove sono presenti fortificazioni ciclopiche tra le più importanti del periodo sannitico, e la terza,  la Montagnola, tutte e tre con altezza s.l.m. intorno a 920 mt., con una visione a 360° su tutto il territorio circostante con profondità di veduta fino al mare, ai monti della Maiella e delle Mainarde, a Monte Vairano ed al Matese.

Eppure il paese è stato per secoli favorevolmente condizionato, economicamente e culturalmente, dalla presenza di uno dei più importanti Tratturi della rete della transumanza centro meridionale, il Castel di Sangro-Lucera, che dal Trigno si inerpica su fino a raggiungere la vetta dell’arce di Duronia, per poi proseguire tranquillo verso Torella del Sannio.

Nonostante queste considerazioni, di Duronia, o meglio di Civitavecchia, cosa è rimasto per tramandare la memoria storica e culturale delle persone e degli avvenimenti? Possibile che questo paese sia riuscito nei secoli a produrre solo braccia per il lavoro duro nei campi o carne da macello nelle guerre? La sensibilità della civiltà contadina e artigiana di questo posto come si è espressa e da chi è stata gestita?

Terremoti catastrofici, pestilenze, guerre, accidenti vari avranno, nei secoli, fatto la loro parte, distruggendo e annientando vite, edifici e cose. Ma poi la vita riprende, gli edifici si ricostruiscono, le cose si rifanno.

La storia (almeno quella che fino ad oggi conosciamo) non ce lo dice. E se la storia non aiuta, io però, per quello che riesco a ricordare e a testimoniare, posso obbiettivamente far riferimento ad alcuni fatti, che qui elenco.

 

1-La Chiesa di San Rocco

Foto-1. La vecchia Chiesa di San Rocco (Inizio anni 60): 

una delle poche foto in circolazione della Chiesa, in cui si nota anche la vecchia, ma ancora ben tenuta, pavimentazione in blocchi lavorati di pietra locale a Piazza S. Rocco.

 

 

Foto-2. Portale (Inizio anni 60)

 

 

Foto-3. Interno della Chiesa (inizio anni 40): 

una delle poche foto in circolazione degli interni della Chiesa; qui c’è una rappresentazione vivente del Presepe (parroco Don Alfredo Ricciuto). Da notare (in alto a dx e a sx) la pregiata lavorazione barocca dei cornicioni e della parte terminale arcuata delle nicchie laterali sorretta da pilastri con capitelli corinzi. La scenografia, ardita per quei tempi, copre l’altare maggiore, ma mette in evidenza il parapetto in ferro battuto di ottima fattura artistica locale poggiante sul primo gradino del presbiterio.

 

 

La chiesa fu demolita a metà degli anni 60 del secolo scorso, perché, pare, fosse pericolante. Molto probabilmente essa non fu ristrutturata, ma demolita, semplicemente per allargare piazza San Rocco. Di tutte le opere di un qualche valore artistico ed architettonico non fu recuperato nulla, se non alcune statue dell’interno. Nemmeno il portale e la scalinata esterna in pietra sono stati più riutilizzati, né si conosce la fine che hanno fatto. 

 

Foto-4. La nuova Chiesa: 

la struttura è in c.a. e lo stile alpineggiante purtroppo deturpa la “linea del cielo” ed il luogo dove è collocata. Nella Piazza, dov’era sita la vecchia Chiesa, trova posto, in sommità ad una scalinata di recente costruzione, la Croce Stazionaria, che fino agli anni 60 era posta al centro della Piazza e che probabilmente fu eseguita nello stesso periodo storico (dopo la peste del 1656) in cui fu costruita la Chiesa dedicata proprio a San Rocco, Santo protettore dalla peste 

 

 

La nuova Chiesa, costruita (tra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70 del sec. scorso) con le rimesse degli emigranti, prese il posto di quella demolita, ma venne dislocata in una posizione molto più arretrata, tanto che vennero demolite molte vecchie abitazioni ed anche buona parte della roccia che sovrastava il sito.  

 

2-La scalinata di via Roma

Foto-1. La scalinata di via Roma (anni 60)

 

Un bell’esempio di urbanizzazione primaria, comune a tanti altri paesi molisani, costruita all’inizio del secolo scorso. Un combinato di pietra locale e mattoni in cotto.

La scalinata collegava, lungo via Roma, Piazza Monumento con lo spiazzo alla base del muraglione che delimita piazza San Rocco. Essa fu demolita agli inizi degli anni 70 del secolo scorso, per permettere il passaggio delle macchine e per favorire la riutilizzazione a garage di alcuni fondaci. 

 

3-La Civita

Foto-1.  La Civita (anni 60): 

il pianoro, adibito a pascolo, ricco di ruderi archeologici, cintato da fortificazioni sannitiche, tranne verso Ovest, dove la fortificazione diventa naturale ed è costituita dalle quattro morge con un baratro di 200 mt di altezza

 

 

La Civita, uno dei luoghi più suggestivi a livello paesaggistico e più importante a livello archeologico del Molise, fino alla fine degli anni 70 si presentava così: guardandola verso Occidente, l’insieme delle rocce forma La Testa del Gigante, profilo perfetto di una donna dormiente; verso la Montagna di Frosolone si specchia con la sua grandiosità rocciosa con le quattro caratteristiche cime ed un dislivello verticale di oltre 200 mt.; tutta la superficie del sito, completamente adibita a pascolo, è cintata da fortificazioni sannitiche; la zona, ancora non esplorata con scavi scientifici,  è piena di ruderi archeologici affioranti dappertutto; da qui si può ammirare un panorama unico in particolare verso il tratturo e verso il centro abitato.

 

Foto-2. La Testa del Gigante ((fine anni 60): 

la Testa del Gigante, rupe naturale fatta istituire Monumento Naturale Regionale dalla Sezione di Italia Nostra Campobasso

 

 

Foto-3. Le Fortificazioni Sannitiche (inizio anni 60): 

verso Ovest, Tratturo Lucera-Castel di Sangro, tratto Duronia-Civitanova-Pescolanciano

 

 

Foto-4. La Civita oggi: 

dall’alto a dx del paese, irriconoscibile

 

 

Alla fine degli anni 70 del sec. scorso, su tutta la superficie del sito viene eseguita la piantumazione di pini (“pinus attenuata”, originario del Messico), che copre tutta l’area archeologica ed impedisce il pascolo, tant’è che tutta l’area viene recintata con filo spinato. I risultati dell’intervento, a distanza di alcuni decenni ormai, purtroppo sono i seguenti: a) non sono più identificabili i ruderi archeologici; b) tutta l’area è difficilmente praticabile percorrerla a piedi, per mancanza di sentieri, per la presenza del filo spinato, per la cattiva manutenzione della pineta; c) la crescita dei pini impedisce la visione panoramica in ogni direzione. Le uniche zone accessibili, quella verso la parte ancora visibile delle mura ciclopiche e quella verso le cime rocciose, non sono messe in sicurezza. 

 

4-Gli Archi de La Terra

Foto-1. Gli Archi negli anni 80: 

Titolo e foto pubblicati a corredo di un mio articolo comparso sul n.11/1998 de “la vianova” e qui sotto riportato

 

“A NULLA SONO VALSE LE PROTESTE PROMOSSE DALL’A.C. LA TERRA PER SALVARE LE PIETRE NELLA ZONA ARCHI DELLA TERRA, IN PIENO CENTRO STORICO, A DURONIA. 

Gli interventi di “recupero” previsti nel progetto ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), a firma dell’arch. L. Piano e dell’Ing. C. D’Amico, sono stati realizzati. Blocchetti in calcestruzzo e foratoni in laterizio intonacati al posto delle pietre. Gli Archi della Terra, contrafforti in pietra che delimitano, in simbiosi con la roccia, sul versante Est la rocca del borgo medievale, erano le strutture fondanti degli antichi edifici in pietra diruti, oggetto del “recupero” ERP. Gli Archi, gli edifici in pietra e la roccia hanno caratterizzato da secoli l’arce di Civitavecchia, suggestiva testimonianza della memoria storica dei Duroniesi. La povertà e la semplicità degli edifici presenti nel borgo, anche se diruti, esigono lo stesso rispetto di tutela che si riserva alle ”architetture più ricche”. Per fare questo i professionisti locali, che ben hanno capito l’importanza delle “loro” pietre, pur nella mancanza assoluta di norme che vincolino a livello storico ed ambientale il centro storico, hanno dovuto faticare non poco per convincere la committenza, per via dei costi superiori, a riusare la pietra o a ripulirla, ad impiegare cornicioni alla “romanella”, infissi in legno o coppi in cotto o inferriate in ferro battuto. L’intervento di “recupero” ERP, finanziato con i soldi pubblici ed eseguito con l’autorizzazione dell’Amministrazione Comunale e sotto gli occhi degli Enti regionali preposti alla tutela, crea un precedente irresponsabile che vanifica l’impegno e la sensibilità dei professionisti locali ed oltraggia il privato che ha già “speso” per il recupero. L’A.C. La Terra, editrice di questo giornale, urla la sua rabbia per l’ennesimo atto vandalico compiuto, sotto l’egida dell’intervento pubblico, nel cuore delle memorie storiche di una intera comunità, ed impotente si arrende alla prepotenza, all’insensibilità, all’ignoranza.”

 

Foto-2. Gli Archi sottoposti all’intervento ERP

 

 

5-La Chiesa di San Nicola di Bari

Foto-1. Interno chiesa (anni 60)

 

 

Non sono riuscito a trovare foto d’epoca interne della Chiesa, l’unica è questa, che seppure, mossa, mostra la sobria ricchezza di una chiesa finita di ristrutturare nel 1731 dopo il terremoto del 1706. La foto si incrocia con i miei ricordi di ragazzino: una unica navata, un Altare Maggiore imponente (rispetto alla capienza della chiesa) in marmi policromatici, stucchi pregevoli nelle varie nicchie dei santi ed a coronamento dei pilastri a mò di capitelli, un soffitto a cassettoni ben decorato, un organo a canne sito su un soppalco in fondo alla chiesa in prossimità dell’ingresso, affreschi pregevoli su tutte le pareti, statue lignee ed in gesso di ottima fattura in tutte le nicchie.

 

Foto-2. Interno chiesa oggi

 

 

La Chiesa risulta abbandonata e sconsacrata già dalla fine degli anni 70 del sec. scorso, quando la Chiesa madre del paese divenne la nuova chiesa di piazza San Rocco.  Lo scempio, dovuto all’incuria e a scelte sconsiderate, è evidente. Per un periodo tutte le pareti della chiesa risultavano ricoperte da listelli in legno, tanto che il “sacro” edificio si guadagnò l’epiteto di “pizzeria”. Attualmente la “pizzeria” non c’è più, ma L’Altare Maggiore non si conosce che fine abbia fatto, gli affreschi sono stati tutti ricoperti da improvvide sguazzature di bianco, il soffitto a cassettoni risulta deteriorato nella struttura lignea ed ancora peggio nell’affrescatura, l’arazzo centrale sul controsoffitto risulta rimosso ma non si sa dove si trovi adesso, le statue invece si trovano nella nuova chiesa e gli stucchi sono ancora recuperabili.

Sarebbero ancora tanti i fatti che ricordo (la Fontana, che per centinaia di anni è stata la madre nutrice di tanti duroniesi, che, con le sue pietre abilmente lavorate e la sua acqua ancora sgorgante copiosa, giace in uno stato di pietoso abbandono sotto il depuratore, costruito 40 anni fa proprio sopra la Fonte; il tratto di Tratturo Duronia-Torella del Sannio, nei pressi di colle Ricciuto, qualche anno fa, completamente distrutto per 700 mt per costruire una bretella stradale fantasma-lavori poi interrotti perché abusivi-; la pineta, oggetto di una premeditata distruzione, quando poteva essere salvata con un mirato intervento di taglio dei tronchi malati e di pulitura del sottobosco; etc.), ma l’elenco è sufficiente per intuire che l’annientamento culturale del paese ha precisi responsabili, individuabili, nell’ordine, nelle amministrazioni comunali, nei parroci, nelle famiglie influenti e poi nei cittadini.

 

Quello che segue è un fatto che riporta alla scomparsa di due manufatti importanti siti nella parte vecchia del paese

 

6-La Torre e il Castello

Foto-1. Civitavecchia in un quadro dipinto nella prima metà del 700 (Castello ducale di Pescolanciano):

Si notano, in alto nel profilo panoramico, il “Castello”, a fianco del campanile, e, a destra, la “Torre”. (Molti a Duronia ancora parlano del Castello e della Torre su a La Terra)

 

 

Foto-2. Duronia – panorama (anni 50)

 

 

Il Castello e la Torre non ci sono più. Probabilmente ambedue i manufatti, di origine medioevale, sono stati distrutti o dal terremoto del 1706 o da quello del 1805 (non sono stati ritrovati riferimenti storiografici al riguardo).

Il Castello e la Torre non sono stati più ricostruiti, ma quello che è strano è che non rimane traccia di alcun elemento architettonico significativo che riporti alla loro esistenza. Ci sono, è vero, sulle morge dell’arce de La Terra alcune tracce di mura dirute riconducibili probabilmente alla Torre; del Castello rimangono solo i ricordi nella toponomastica “Via del Castello” e “Sotto il Castello”, di questo manufatto molto probabilmente c’è stato un riutilizzo totale di tutto il materiale di risulta.

I Duca di Pescolanciano e le famiglie influenti, i parroci, i cittadini di Civitavecchia non ebbero la sensibilità di lasciare ai posteri un segno della memoria storica ed artistica di questo paese.

 

La storia si ripete. Rimane purtroppo il fatto che i cittadini di ieri e di oggi di Duronia non hanno saputo salvare le loro pietre.

Anche io, cittadino di Duronia, ho le mie responsabilità. In questi ultimi decenni, io con altri duroniesi, costituendoci in comitati di contrasto e di proposta, siamo riusciti a bloccare la costruzione di pale eoliche, dell’Antenna Wind, della “bretella” sul Tratturo, ma non siamo riusciti ad incidere per salvare la Civita, la Pineta, gli Archi de La Terra, la Chiesa di San Nicola, la Fontana e le altre sorgenti. 

L’appello ultimo è rivolto alla sensibilità ed all’interesse per la salvaguardia del Bene Comune di tutti i cittadini di Duronia, degli amministratori comunali, della Parrocchia e di tutte quelle Associazioni, anche di fuori paese, che vogliono contribuire al recupero dei beni paesaggistici e culturali di Duronia.

 

C’è, nonostante tutto, tanto da fare. 

Ecco alcune proposte da sottoporre agli enti preposti locali, nazionali ed europei:

Civita: realizzazione di un Parco paesaggistico e archeologico.

Tratturo: reintegra dei confini, disboscamento mirato e percorsi.

Fontana e sorgenti: recupero delle acque e dei manufatti, accessibilità e manutenzione.

Chiesa di San Nicola: recupero strutturale ed architettonico.

Percorsi a piedi, ippici e ciclabili: pensare ad una rete di percorsi che uniscano le varie borgate, le sorgenti, i molteplici punti di visione panoramica.

La Terra: avviare uno studio per il recupero storico, urbanistico ed architettonico del centro storico.

Chiudo con un pensiero rivolto ai giovani duroniesi: il vostro coinvolgimento è obbligato, senza di voi non ci sono proposte realizzabili.

 

di Giovanni Germano

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