L’inizio della fine per i borghi o forse no

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In tanti, dalla metà del secolo scorso, sono andati via svuotando i paesi. Magari se si fosse rimasti anche questa regione avrebbe partecipato al Miracolo Italiano

di Francesco Manfredi-Selvaggi

08 Febbraio 2024

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A metà del secolo scorso si intravvedeva appena l’inizio della modernizzazione del Paese la quale porterà al Boom economico dagli anni 60, in pochissimi erano fiduciosi dello sviluppo della nostra terra. Piuttosto che aspettare il cambiamento della situazione di arretratezza in cui versava il Molise si decise, in tanti, di andar via svuotando i paesi. Magari se si fosse rimasti anche questa regione avrebbe partecipato al Miracolo Italiano. 

Nei piccoli centri come nella zona storica dei principali agglomerati urbani del Molise, l’anziano seduto al sole o all’interno di un bar intento a giocare a carte era, ed è, in effetti, ancora, una figura caratteristica. Il paese o il quartiere erano considerati dal vecchio quasi come il prolungamento della propria residenza, mentre il giovane lo sente con insofferenza, come un recinto da sorpassare. Due universi assai distanti fra loro, due mentalità completamente diverse, stavamo negli anni dell’affermazione della cultura pop che aveva pervaso il mondo giovanile. I modelli di vita trasmessi dalla tradizione, dalla religione, da certa retorica politica avevano contribuito a configurare un ambiente sociale stabile ma chiuso che si identificava, per successive gerarchie, nella famiglia patriarcale, nel vicinato del paese.

Quest’ultimo era un microcosmo dove tutto diventa una consuetudine: la visita ai vicini, le chiacchiere scambiate al caffè, i pettegolezzi delle comari. Angoli di strada, ingressi delle botteghe, negozi, slarghi erano volta per volta punti di riferimento nelle attività quotidiane, fulcri di aggregazione per la comunità determinati spesso semplicemente dall’abitudine. L’accelerazione impressa ai modi di vita a partire dal periodo del boom economico ha provocato l’omogeneizzazione in una unica scala di valori di spazio e di tempo; si ha così una rapida circolazione di cose e di uomini attraverso moderne infrastrutture viabilistiche e nuove tecnologie di trasporto, i sofisticati mezzi di comunicazione di massa, ecc.

A farne le spese è stata l’integrazione comunitaria che era un carattere saliente dei borghi, il concetto usuale di famiglia. Risvolti sicuramente positivi ve ne sono stati, ad esempio quelli dell’allentamento del controllo sociale, l’emancipazione femminile. Inoltre, attraverso l’intensificazione dei contatti e la trasmissione delle informazioni anche l’abitante del piccolo sperduto paese molisano viene a far parte di un più ampio consesso umano, perlomeno della comunità nazionale. Questi sconvolgimenti epocali con la conseguente modernizzazione della società contribuendo a seppellire definitivamente il “piccolo mondo antico” sono arrivati, purtroppo troppo, è proprio il caso, tardi.

Le prospettive di un futuro annunciato differente, i fermenti di cambiamento della civiltà che erano nell’aria sono rimasti sospesi, appunto, in aria, non sono calati a terra, non hanno dato luogo a trasformazioni della realtà tanto era diventata rarefatta nei decenni del Miracolo Italiano la popolazione a causa dell’ondata migratoria che al volgere della metà del XX secolo decimò il numero di abitanti del Molise. Mancava quella massa critica di persone necessarie per poter recepire le novità della modernità, le innovazioni comparse all’orizzonte in molteplici campi, da quello della mobilità a quello del sistema produttivo.

La comunità locale sguarnita ormai di tanti suoi componenti non fu capace di reggere la sfida con la contemporaneità, in qualche modo, sempre metaforicamente, si arrese spingendo una parte dei suoi membri alla “fuga”, cioè ad emigrare, non essendo dato il potersi, sempre la metafora, ritirare perché alle spalle il vecchio mondo era in rovina, ti sarebbe crollato addosso. La struttura socio-economica nostrana dell’epoca non fu capace di tenere il passo, anche perché il ritmo era sostenuto, difficile da reggere, dei rivolgimenti in atto a livello della stessa civilizzazione.

I sopravvissuti alla “moria” di popolazione dovuta ai movimenti migratori non potevano, certo, far fronte, fatti visti in una logica difensiva, oppure di affrontare, adesso visti in una logica offensiva, il nuovo che avanza, insomma non erano nella facoltà di sapersi adeguare ai tempi moderni. Le cose così come le idee camminano sulle gambe delle persone, se queste ultime sono in quantità esigue, detto con il linguaggio degli economisti se le risorse umane sono così scarse è arduo far muovere, mettere in moto, ci vuole chi le muova, le cose, modificare la realtà, procedere ai cambiamenti della situazione in atto, ma anche semplicemente a conservare lo status quo, si prenda il caso del patrimonio edilizio esistente che è ormai sovrabbondante rispetto ai bisogni.

Ritorniamo alla demografia: una conseguenza immediata, repentina dell’esodo “biblico” che interessò la nostra terra tra il ’51 e il ’71 fu l’invecchiamento subitaneo, per così dire precoce della base demografica. Al fenomeno dell’emigrazione con la fuoriuscita di persone alla ricerca di lavoro altrove prevalentemente appartenenti alla fascia di età procreativa si associa l’insenilimento della popolazione. Il Molise risultava in calo, agli ultimi posti tra le regioni italiane, per quanto riguarda il tasso di natalità, cosa conseguenza di cosa. Ad influire sull’incanutimento della composizione sociale vi è anche, in linea con una tendenza che si registra pure a livello nazionale, l’allungamento della durata media della vita.

La migrazione dei residenti verso altre zone ha tolto alla regione non solamente l’incremento naturale, di regola, vale per tutti i popoli, i nati sono in numero superiore ai morti, ma ha prodotto qualcosa in più, qualcosa di più grave, cioè ridotti gli individui rientranti nella classe di età giovanile compromettendo così una dinamica demografica corretta. A lungo (lungo?) andare ci ritroveremo con centri in procinto di chiusura definitiva per l’allontanamento, che sta proseguendo, della gente del luogo dal luogo.

Per quanto riguarda costoro, è doveroso sottolinearlo, andar via rappresenta oltre che la recisione delle radici, operazione la quale come qualsiasi taglio, questa volta con il passato, provoca molto dolore, la perdita di un bene primario, la casa, la casa di famiglia; l’abbandono del borgo porta con sé naturalmente la svalutazione economica degli immobili che contiene per i quali non c’è mercato, sono fuori mercato, tanto che diversi Comuni li hanno messi in vendita al prezzo simbolico di 1 euro. È un’iniziativa, se ne potrebbero mettere in campo altre, come pure si è fatto, le quali hanno in comune la caratteristica che sono azioni parziali, manca spesso un progetto organico di rivitalizzazione del borgo. Senza di questo appaiono quali tentativi dall’esito incerto tesi a prolungarne l’esistenza o meglio la sua sopravvivenza seppure in uno stato comatoso, accanimento terapeutico su un corpo agonizzante (vedi Vito Teti).

(Foto: F. Morgillo-Uno scorcio di un borgo molisano)

di Francesco Manfredi-Selvaggi

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