La frana di Castelpizzuto

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E’ arrivata la frana ad interrompere non solo l’unica strada per arrivare in paese, ma anche il moto di rinascita messo in atto dal basso

di Rossano Pazzagli (da: La Fonte, dicembre 2021)

9 dicembre 2021

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Castelpizzuto è un paese dove non si passa per caso. Bisogna andarci apposta, imboccare l’unica strada di accesso nei pressi di Isernia, attraversare il comune di Longano e inerpicarsi verso i monti boscosi del Matese, che d’autunno diventano uno spettacolo di colori per gli occhi e la mente. Un comune resistente, tra i più piccoli del Molise per superficie e demografia coi suoi 150 abitanti e tante case vuote appoggiate sul versante a ridosso della chiesa e dell’antico palazzo baronale. Intorno il territorio, che era agricolo e pastorale, appare ora riconquistato dalla vegetazione e il mosaico paesaggistico - che fino a qualche decennio fa era un alternarsi di campi, terrazzamenti, siepi e cammini - si sta mano a mano richiudendo e uniformando.

Ci sono arrivato di sera, pernottando solitario in una grande casa ai bordi dell’abitato (ma qui anche i margini sono al centro) perché l’indomani sarei stato impegnato in un corso per “Guide di comunità” organizzato dalla SPES, la Scuola Permanente di Educazione alla Sostenibilità che il Comune ha istituto deliberando all’unanimità, approvando lo statuto e nominando un direttore. Si, perché qui ci sono un sindaco e un’amministrazione comunale attivi, che si sono presi sulle spalle il piccolo paese, in declino come tutte le aree interne, con le scelte fondamentali che vedono unite maggioranza e minoranza, aperta a collaborazioni esterne e alla partecipazione dei cittadini. La risorsa fondamentale è il territorio, con i suoi tratti principali frutto dell’incontro tra uomo e natura, dove operano diverse aziende agricole e pastorali, con piccole filiere produttive (miele, formaggi, frutti di bosco), con le sue acque e le sue caratteristiche geologiche e paesaggistiche. La città non è lontana, ma è una piccola città – Isernia – capoluogo di una delle province più marginali d’Italia (penultima per abitanti tra le 110 province italiane).

Castelpizzuto è una realtà piccola ma attiva, tenacemente aggrappata alle pendici del Matese e al suo istinto di sopravvivenza, protesa verso una strategia di rinascita territoriale, malgrado le alchimie politiche nazionali o regionali che l’hanno inspiegabilmente lasciato fuori dalla perimetrazione dell’area SNAI.  La Scuola SPES, che si rivolge a giovani e operatori provenienti anche dal resto della regione, è il prodotto più originale di questa strategia locale, ma non è l’unico. Il Comune sta portando avanti una serie di iniziative - pratiche più che progetti - che vanno dalla riqualificazione urbanistica e territoriale alla valorizzazione di prodotti o piatti tradizionali come la pera Rosciola e l’acqua onta, dalle mappe di comunità al contratto di fiume, dal progetto sulla civiltà della pietra (muretti a secco, tetti, stazzi) alla sentieristica e alla documentazione del territorio e dell’ambiente, anche in rapporto alla istituzione del Parco Nazionale del Matese.

Poi è arrivata la frana, una ricorrenza storica che colpisce tanti paesi del Molise, una terra fragile, dolce e rugosa al tempo stesso. È arrivata la frana a interrompere non solo l’unica strada per arrivare in paese, ma anche il moto di rinascita messo in atto dal basso, con le proprie forze, con il coraggio di chi è rimasto, l’affetto di chi se n’è andato e l’intraprendenza di qualcuno che potrebbe tornare. Ma le disgrazie, e soprattutto le loro conseguenze, non sono mai soltanto colpa del destino, così come le frane non sono mai soltanto un fatto fisico.

Il 30 maggio scorso, ormai sei mesi fa, in una giornata di maltempo uno smottamento ha causato l’interruzione della strada provinciale tra Longano e Castelpizzuto isolando il piccolo centro. A molti il cedimento del terreno è sembrato causato dai lavori di scavo per l’ampliamento di uno stabilimento industriale situato a valle della strada. Per questo ci sono le indagini penali in corso con l’ipotesi di reato per frana colposa a carico di una decina di persone. Il sindaco e gli abitanti hanno protestato per l’improvviso isolamento, chiedendo stanziamenti e interventi urgenti, si è insediato un tavolo tecnico presso la Prefettura, quasi niente è successo ma si è trovato il modo di consentire il passaggio sulla frana, alla meglio, senza opere strutturali, con solo qualche intervento tampone per consentire il transito provvisorio e una piccola bretella aperta dalla Provincia ma non percorribile. Anch’io sono passato di lì in una sera piovosa di fine ottobre, accompagnato dalla gentilissima e intraprendente sindaca Carla Caranci e dal direttore della SPES Massimo Mancini.

Poi, pochi giorni dopo, il ritorno delle piogge ha rimesso in movimento la frana e Castelpizzuto si è ritrovato di nuovo isolato. Interrotte le comunicazioni, perfino dei mezzi di soccorso, messe in difficoltà le aziende agricole, specialmente quelle zootecniche che non possono trasportare fin su il mangime per il bestiame, né conferire il latte o smerciare la carne in basso; spezzate le iniziative di rinascita e di valorizzazione del territorio che il Comune stava portando avanti, ferita la dignità degli abitanti. Con la pioggia è venuto giù tutto, la crepa si è allargata e per giorni non si passa più neppure a piedi. È inammissibile che dal 30 maggio ad oggi nessuna opera di contenimento della frana sia stata realizzata, nonostante le continue e quasi disperate sollecitazioni del sindaco e degli abitanti.

Castelpizzuto, dicevo, è un comune resistente. Ma ora non si tratta più soltanto di resistere, si tratta di esistere, di affrontare anche la sfiducia e l’isolamento, altrimenti non sarà solo il terreno a franare, ma anche le speranze di rinascita. Mentre si aspetta un intervento risolutivo sulla frana, confidando sull’intervento della Protezione Civile Nazionale per superare l’incapacità della struttura regionale, è lecito chiedersi come mai i piccoli paesi non costituiscono una effettiva priorità per la politica: perché essere in pochi deve significare avere minori servizi e diritti (istruzione, salute, mobilità…) e minore accesso alle opportunità (lavoro, studio, cultura…). Perché? Eppure, chi è rimasto a popolare le aree interne, a far vivere le campagne e i paesi, dovrebbe essere premiato, non penalizzato. La domanda non può trovare risposta al di fuori della logica puramente mercantile applicata ai servizi, cioè della mercificazione dei diritti, secondo la quale si privilegia sempre ciò che conviene, invece di fare ciò che è (sarebbe) giusto.

di Rossano Pazzagli (da: La Fonte, dicembre 2021)

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