Il problema di rappresentazione dei paesi

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Pratiche di re-immaginazione del paese in alcuni poeti italiani contemporanei

di Antonio Francesco Perozzi (da agenziacult.it)

24 ottobre 2023

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Quello dei paesi è un problema di rappresentazione. Più il paese viene chiuso nel simulacro del locus amoenus, della frugalità destoricizzante, più si fa il gioco dell’urbanocentrismo, che si legittima proprio a partire da questo manicheismo tra futuro e passato, produzione e consumo. In questa prospettiva, la poesia può avere un ruolo importante per agire nell’intercapedine delle rappresentazioni 

Se la nostra è un’epoca di massimalismo antropologico (la città, l’efficienza, la produzione), il paese (minorità, inefficienza, retroguardia) si manifesta in essa come un glitch in grado di rivelare le contraddizioni del sistema. Del resto il paese viene di solito respinto per la sua scarsa attrattiva, o al limite viene letto come yang dell’efficientismo cittadino, secondo «una forma subdola di neoetnocentrismo – come scrive Vito Teti – che incontra una moda esotica, neoromantica, di quanti non pensano al paese come luogo abituale o da abitare» [1].

Quello dei paesi è infatti un problema di rappresentazione. Più il paese viene chiuso nel simulacro del locus amoenus, della frugalità destoricizzante, più si fa il gioco dell’urbanocentrismo, che si legittima proprio a partire da questo manicheismo tra futuro e passato, produzione e consumo. Ecco, il libro Contro i borghi ha ad esempio questo merito: demistificare le narrazioni dei borghi, rifondare il loro immaginario. Cominciando, ad esempio, dal riconoscere che «l’Italia è un paese bellissimo fatto […] di posti brutti» [2], che il borgo è «sussunto dall’Era urbana» [3] e che viene «percepito come atipico ma privo di una propria volizione» [4]. Cioè, parafrasando, dall’opporsi all’estetizzazione dei luoghi, all’interpretazione astorica o pre-urbana del borgo, alla gerarchia tra centro e periferia.
In questa prospettiva, io credo che la poesia possa avere un ruolo importante. Il paese e la campagna, d’altronde, occupano da sempre un certo spazio all’interno della poesia, spazio che l’industrializzazione, invece di eliminare, ha risignificato. L’opera di Scotellaro, in cui il disegno assieme mitico e palpabile del paese si accompagna a quello caotico e abbrutente della città [5], ne è un esempio chiarissimo. Il tema del paese non è quindi alieno alla tradizione poetica e ciò offre una base su cui intervenire per riscriverne l’immagine. Inoltre, e più in generale, se poesia è manipolazione del linguaggio, e il linguaggio, con Sanguineti, è ideologia [6], agire nella poesia significa agire nell’intercapedine delle rappresentazioni, nel codice binario del loro portato ideologico. Illustrerò ora tre esempi di poesia contemporanea, quindi, in grado di compiere quest’operazione.

Il primo è tratto da Liriche terrestri di Diego Conticello. Conticello è autore sensibile ai temi della marginalità e all’interno del libro la dimensione paesana, o selvatica, è dissolta nel flusso di una riflessione filosofica in cui l’abitare la marginalità coincide con l’accesso a un tipo speciale di esperienza.
Vediamo Passaggio umano

Oria, Porlezza, Castello
purezza dell’aria più casta,
aria stretta
nel taglio rifratto della luce
dicembrina
che allo schermo lacustre
ha ritratto noi
sotto un giro d’inchiostro,
infitti
dentro un paesaggio
silente e di voi, gente,
un passaggio terrestre
a tratti umano [7].

In partenza, i paesi tra Como e Lugano sono associati alla «purezza dell’aria» e al «taglio rifratto della luce», due elementi tipicamente contesi nella diatriba paese/città (basta pensare agli inquinamenti atmosferico e luminoso). Questo aspetto prevedibile, però, è presto ribaltato. Forte anche di un lessico etereo, astraente, che in tutto Liriche terrestri fa da contraltare a quello materico e viscerale, la seconda parte del testo capovolge la gerarchia su cui si basa ogni sguardo colonizzatore sul paese: è lo «schermo lacustre», qui, attraverso la luce, a ritrarre «noi». I soggetti sono «infitti / dentro un paesaggio» che acquista così un forte ruolo “ambientale” (nel senso etimologico di “circondante”) a scapito di quello feticistico (la propria oggettivazione estetica); determina l’umano (non viceversa, come vuole la «delimitazione» di Simmel [8]) e lo inserisce, detronizzato, in un «passaggio terrestre / a tratti umano», anti-antropocentrico.
Ma il paese può essere anche un paesaggio mnestico, una funzione della mente.
Leggiamo ad esempio La casa di Davide Nota

Residenza: osceno letto
dove tornare alle sette di mattina
col fiato disgustato e il membro eretto.
Ecco qui: il libretto universitario, un vasetto
di yogurt, un accendino. Eh eh…
didascalici i miei anni tutti persi. 

Quanto a noi t’ho scritto
una lunga e-mail questa notte
perduta tra i file dell’estate
(l’ha demolita il caso in un momento).

Capisci amico caro il pentimento
di averti consegnato questo scalcinato
orizzonte di stucco e scotch
coi poster scoperchiati in croste
sull’intonaco vecchio maculato
e le bagnate rughe delle pagine
che asciuga questa estate e ingialla…

Cmq sia non so più scrivere, hai ragione.
Sarò costretto a vivere o morire.
Amico mio il nostro amore è buffo.
Altro che lo stantuffo attonito, il perpetuo vagito
della moglie che s’ingravida di schifo. 

Oh casa, dolce
casa, disarticolata
dimora di piante
e di foto di mio padre senza i baffi
in un paesino di duecento abitanti
coi santi Rocco e Gianni appiccicati
al muro, casa
di poster che si cascano in avanti
dal ruolo scollati dei miei 15 anni, casa
delle prime sigarette in balcone,
della prima comunione col sesso
e con l’alcool, casa
di lagrime e rovine: tempietto
d’asfalto, museo delle prime
poesie: addio [9].

Una costante della scrittura di Nota è l’ambientazione degradata: l’«osceno letto», lo «scalcinato / orizzonte di stucco e scotch», i «poster scoperchiati in croste / sull’intonaco vecchio maculato» sono segnali di una «residenza» (parola che significativamente apre il testo) odiosa, che spesso si identifica nella realtà cittadina o provinciale e nella periferia. Ma questi aspetti sono risonanze di un degrado esistenziale: Nota usa il soggetto come scandaglio della vita, della storia e di Dio, e tutti i paesaggi entrano in stretta relazione con la sua operatività poetante/significante.

Più di tutto, però, ci interessa l’ultima strofa. A un certo punto, in una «foto di mio padre» compare un «paesino di duecento abitanti». Questo «paesino», ancorato al background familiare del soggetto, si oppone alla «residenza»: ora si parla di «casa», proverbialmente «dolce», casa della «prima comunione col sesso / e con l’alcol», iniziatrice della corruzione, potremmo dire, ma ancora equilibrio tra frantumazione e composizione del soggetto, al contrario dell’asettica «residenza», dove questo equilibrio si è spezzato («anni tutti persi»). Si noti del resto il parallelismo tra i «poster» e i «santi Rocco e Gianni appiccicati / al muro»: l’icona, fondamentale in Nota (si veda la sezione Legenda dell’icona nel suo Lilith [10]) non ha più il suo potere; il paese comunica una compattezza di senso che «non predice altro che sé stessa» [11] e che vale, per il presente, come radice psichico-simbolica compromessa.
Recuperarne la densità ontologica, però, non è l’unico modo per rileggere il paese. Paradossalmente, anche una prospettiva bidimensionale può agire in questa direzione, come grado zero che smaschera le estetizzazioni. È il caso di Upday di Luciano Neri, in cui si intersecano lo scenario turistico di un’isola greca e i cut-up da notizie di attualità. Neri non ha interesse a trattare direttamente il tema dei paesi, né a uscire dall’«opacità» tipica della scrittura di ricerca [12]. Tuttavia a un certo punto scrive:
Arriva il bus in retromarcia fino alla piazza della chiesa bianca che corrisponde alla fermata del piccolo centro abitato.

Il bus riparte per raggiungere la prossima fermata, forse il capolinea, corrispondente a un’altra spiaggia [13].

Non c’è epica, qui, né voyeurismo. La narrazione del «piccolo centro abitato» è ridotta a ciò che realmente è, al di fuori della reclamizzazione dei borghi, la vita del paese: vuoto, liminalità, ripetizione, un bus che arriva e «riparte» senza che nel mezzo, nello spazio bianco tra le due azioni, accada qualcosa. La scrittura di ricerca, allora, può funzionare come abolizione delle narrazioni enfatiche, a cui l’estetizzazione dei borghi sicuramente appartiene.

Se quindi Conticello opera un gioco intellettuale di ribaltamento dello sguardo, con lo spazio selvatico che informa quello civile e non il contrario, e Nota porta il discorso su un piano psicologico-esistenziale, trovando nel paese un’immagine archetipica (e perduta) di senso, Neri, proprio attraverso l’allucinazione minimalista della prosa in prosa, smonta ogni sovrainterpretazione artificiale e vendibile del paese. Sono tre casi molto diversi fra loro, ma tutti dimostrano come la poesia, per il suo intervenire direttamente sul linguaggio e sull’immaginazione, possa disinnescare mitologie che mortificano l’esperienza del paese; esistenzialmente e storicamente significativa proprio nella sua marginalità assoluta.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] V. Teti, La restanza, Einaudi, Torino, 2022, pp. 37-38.
[2] F. Barbera, J. Dagnes, Bruttitalia: la vita quotidiana dove i turisti non vogliono andare, in F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), Contro i Borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, Donzelli, Roma, 2022, p. 23.
[3] G. Semi, Borghi per borghesi, in F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), op. cit., p. 98.
[4] F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), op. cit., pp. 12-13.
[5] «Il vento mi fascia / di sottilissimi nastri d’argento / e là, nell’ombra delle nubi sperduto, / giace in frantumi un paesetto lucano», leggiamo in Lucania, e «Mi avete inutile respinto / ad alloggiare nelle ville / accanto agl’immondi vespasiani / e la notte mi bastonano i ladri / le prostitute mi sputano addosso», in La città mi uccide, in R. Scotellaro, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2004.
[6] Cfr. E. Sanguineti, Ideologia e linguaggio, Feltrinelli, Milano, 1970.
[7] D. Conticello, Liriche terrestri, Industria&Letteratura, Massa, 2022, p. 70.
[8] G. Simmel, Saggi sul paesaggio, Armando Editore, Roma, 2006, p. 54.
[9] D. Nota, Rovi, Argolibri, Ancona, 2022, p. 45
[10] D. Nota, Lilith, Luca Sossella editore, Bologna, 2019, p. 115 e sgg.
[11] Ivi, p. 126.
[12] Cfr. G. L. Picconi, La cornice e il testo. Pragmatica della non-assertività, Tic Edizioni, Roma, 2021, p. 66.
[13] L. Neri, Upday, Scalpendi, Milano, 2023, p. 25. 

(Foto: Tania Meli - San Mauro)

di Antonio Francesco Perozzi (da agenziacult.it)

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