Suoni di migrazioni e libertà

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Le note di Rosa Antonelli, musicista italo-argentina

di Liliana Rosano (da La Voce di New York) 

2 febbraio 2022

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Intervista del 2019 alla grande pianista di origini molisane che vive a New York. 

"Il sangue italiano scorre ancora nelle mie vene, anche se sono cresciuta in Argentina. La mia famiglia era una delle tante famiglie italiane immigrate in Argentina per cercare di sfuggire alla devastazione della seconda guerra mondiale e alla paura di una possibile terza guerra mondiale. Avevano il sogno di iniziare una nuova vita in un nuovo paese. Mia madre era incinta di me quando è emigrata dall'Italia; praticamente mi ha detto che per poco non nascevo sulla nave", ci racconta...
Cresciuta ascoltando la musica classica e l’Opera italiana, Rosa Antonelli, sente il sangue italiano scorrere nelle vene. Dalle origini in Molise, da dove la sua famiglia è emigrata per l’Argentina, alla tradizione musicale italiana che l’ha accompagnata sin da quando a quattro anni ha iniziato a suonare il pianoforte. La musicista italo-argentina, nata e cresciuta a Buenos Aires, vive a New York dal 1998, mantenendo vivo il rapporto con la cultura italiana che promuove nei suoi concerti insieme al reportorio dei  musicisti argentini e del sud America che di quella cultura italiana ed europea si sono nutriti.
Il 25 aprile del 2019 ha festeggiato insieme ai lettori e gli amici de La Voce di New York questo importante anniversario, grazie alla partnership con l’associazione United Voices 4 Peace, eseguendo il celebre brano Libertango di Astor Piazzolla.
Questo pezzo rappresenta la libertà declinata in vari aspetti: la libertà di essere felici, di esprimere se stessi e di essere liberi nell’intraprendere nuove idee.

Le tue radici sono italiane, ma sei cresciuta in Argentina in una famiglia italiana. Che rapporto hai con l’Italia e con la sua cultura?
“Il sangue italiano scorre ancora nelle mie vene, anche se sono cresciuta in Argentina. La mia famiglia era una delle tante famiglie italiane immigrate in Argentina per cercare di sfuggire alla devastazione della seconda guerra mondiale e alla paura di una possibile terza guerra mondiale. Avevano il sogno di iniziare una nuova vita in un nuovo paese. Mia madre era incinta di me quando è emigrata dall’Italia; praticamente mi ha detto che per poco non nascevo sulla nave.
Le famiglie di entrambi i miei genitori erano originarie del Molise, della città di Sant’Agapito. Mio nonno materno era un famoso architetto italiano. Sfortunatamente, tutte le proprietà della mia famiglia furono distrutte durante la guerra, ma siamo rimasti sempre in contatto con i  miei parenti italiani e ho ancora una casa da quelle parti, quella di mia madre, vicino una grande collina  che si affaccia sulla valle.
Mio padre, come suo nonno, era un ingegnere, mentre mia madre era una famosa cantante d’opera e attrice, ed è per questo che sono cresciuta a casa ascoltando opere italiane e musica classica. La nostra vita di tutti i giorni a Buenos Aires era  quella di una tipica famiglia italiana che manteneva la propria identità all’estero attraverso il cibo, la cultura, la lingua.
Da musicista professionista, ho onorato la mia cultura italiana non solo con una serie di concerti in Italia, ma anche con un concerto musicale al Teatro comunale di Campobasso, in onore di mia madre dopo la sua morte. Questo legame con l’Italia continua ancora anche a New York dove mi esibisco in molte occasioni legate alle istituzioni e comunità italiane”.
Il 25 Aprile hai festeggiato insieme a La Voce di New York questo importante anniversario che segna anche la liberazione dell’Italia dal nazifascismo.
“Sono una grande ammiratrice del vostro giornale e del direttore Stefano Vaccara perché promuove  la cultura italiana nel mondo. Sono stata onorata di partecipare a  questo evento che ha un significato per me importante perché personalmente la liberazione dell’Italia  mi ricorda il sacrificio della mia famiglia che ha sofferto l’oppressione di quegli anni”.
All’evento hai scelto di suonare “Libertango” di Astor Piazzolla. Cosa rappresenta per te questo brano?
“È un pezzo molto importante che è legato inevitabilmente all’Italia perchè Piazzolla era di origine italiana. Ripercorrendo la sua storia musicale e personale, non si può non fare riferimento alle sue radici italiane. Sia quelle della sua famiglia, in parte pugliese, in parte toscana, sia quelle dei suoi studi, permeati dalla musica classica italiana.
Piazzolla è stato molto coraggioso perché ha rotto, in qualche modo, con la tradizione classica del tango, dando a questa musica un respiro nuovo che all’inizio non è stato accettato e capito. Ha avuto una vita molto difficile, legata alle sue condizioni economiche e alla resistenza rispetto alla sua musica che colleghi e produttori hanno mostrato. Dopo un periodo travagliato, durante il quale ha avuto anche un attacco di cuore mentre viveva a Milano, ha composto Libertango, pubblicato e registrato a Roma nel 1972, da Aldo Pagani che creduto e supportato Piazzolla permettendo di farlo conoscere in tutto il mondo. Questo pezzo, quindi, rappresenta la libertà declinata in vari aspetti: la libertà di essere felici, di esprimere se stessi e di essere liberi nell’intraprendere nuove idee. Non c’è brano migliore per celebrare sia questo anniversario storico che l’idea di libertà del giornale”.
Come pianista, esecutrice e docente promuovi la cultura musicale classica latino-americana, incluso il patrimonio argentino. Qual è il messaggio che vuoi condividere con il tuo pubblico?
“Il mio messaggio è che la musica dei compositori classici dell’America Latina è più giovane se paragonata alla musica classica tradizionale europea. Ma la maggior parte di questi compositori ha studiato in Europa tornando con  un mix di influenze europee e folkloristiche dei loro Paesi. Il risultato è un intreccio musicale inedito che rende omaggio a questa influenza tra l’Europa e il Sud America. È una musica che invito a conoscere  e so che il pubblico sta imparando ad apprezzarla. Ne è prova il tutto esaurito dei miei concerti e l’entusiasmo del pubblico.
Dal 2009 ho deciso di interpretare e promuovere esclusivamente compositori classici dell’America Latina anche se lo scorso anno ho eseguito più di 1500 concerti che attingevano al repertorio tradizionale. Ho registrato il mio primo CD “Esperanza Sounds of Hope” (Albany Records) celebrando il significato speciale di questa musica: frutto dell’emigrazione di chi arrivava in Argentina portandosi dietro il proprio bagaglio culturale che incontrava la cultura del Nuovo Mondo”. 

Quali sono i tuoi riferimenti artistici italiani?
“A casa mia si parlava di Michelangelo, Donatello, Da Vinci e ascoltavamo cantanti italiani. Quando i miei zii venivano dall’italia ci riunivamo la domenica per cantare e suonare insieme, non solo i grandi classici della musica popolare italiana ma anche le famose arie delle Opere italiane più rappresentative. A quattro anni ho iniziato a suonare il pianoforte e da allora non ho mai smesso di ascoltare musica classica oltre che studiarla”. 
Come è cambiata la scena musicale nella città di New York dove vivi? Qual è la differenza con l’Argentina?
“Ciò che percepisco della scena musicale di New York dal 1998, quando mi sono trasferita qui, è che le persone sono curiose e hanno desiderio  di ascoltare nuovi linguaggi musicali. Tutto questo mi è stato molto chiaro dopo centinaia di esibizioni negli Stati Uniti, tra le quali alcune numerose  alla Carnegie Hall, dove ho suonato davanti un grande pubblico. La differenza rispetto all’Argentina è che li si continua di più con un linguaggio musicale classico”.
La tua storia si muove sul filo dell’emigrazione. Così come i tuoi genitori hanno lasciato l’Italia per l’Argentina, tu hai lasciato l’Argentina per New York. Cosa ti ha portato negli Stati Uniti? Lo stesso desiderio e speranza che ha portato i tuoi genitori a lasciare l’Italia?
“Ero molto stanca a Buenos Aires a causa dei problemi governativi, delle restrizioni che riguardavano anche la cultura in Argentina, e dal punto di vista finanziario il Paese viveva in una situazione terribile. Musicisti e artisti, a un certo punto, non erano in grado  di continuare a crescere nella loro carriera. Tutto era estremamente limitato e tutto era caratterizzato da una violenza estrema. Allo stesso tempo, quando tornavo da un lungo tour in Europa, Asia e Africa, per uno strano destino, ho perso la maggior parte dei membri della mia famiglia in 8 mesi, a cominciare da mio nonno e mia madre. Per me è stato devastante, e quando, dopo una performance in Europa, mi è stato chiesto di diventare artista STEINWAY e di venire a New York, ho capito che quello era l’inizio della mia nuova vita. Vero, il mio trasferirmi a New York ha in comune con la storia della mia famiglia il fatto che, nonostante i contesti storici siano diversi, non cambiano i sentimenti: quello della speranza e di seguire i propri sogni”. 

di Liliana Rosano (da La Voce di New York)

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