La costa da difendere

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South Beach: il Molise che non vogliamo

di Rossano Pazzagli (da lafonte.it)

6 maggio 2021

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I tratturi e i fiumi. Per una regione come il Molise sono come la trama e l’ordito, un territorio tessuto dalla natura e dall’uomo, dalle acque che scendono dai monti verso l’Adriatico e dalle greggi che stagionalmente si muovevano coi loro pastori tra l’ Appennino e il Tavoliere. Poi, dove si interrompeva il bosco, c’erano i centri abitati e le campagne: i campi coltivati e i paesi come ricami sulla tela pastorale e naturale. L’Aquila-Foggia (tratturo reale), Celano-Foggia, Castel di Sangro-Lucera e Pescasseroli-Candela erano le direttrici principali sulle quali milioni di pecore hanno camminato a maggio e a settembre, alimentando la pratica plurisecolare della transumanza. Questi percorsi erbosi, regolati dalla legge, incrociavano il Trigno, il Biferno e il Fortore, i fiumi che sul lunghissimo periodo hanno disegnato il Molise, con le valli laterali che segnano il confine con l’Abruzzo a nord e con la Puglia a sud, mentre la valle centrale per tanto tempo desolata costituisce oggi l’asse tra Campobasso e il mare. Il litorale è venuto somigliando a un pettine, con la linea di costa intersecata dai corsi d’acqua: non solo i tre principali che abbiamo detto, ma anche torrenti come il Mergolo, il Tecchio, il Sinarca e altri fossi minori.

Una fascia di territorio in cui il Molise mosso e rugoso diventa piatto e dolce, un ambiente fragile di campi, dune e pantani, per certi aspetti selvaggio e inospitale, tanto che i centri abitati di riferimento – Guglionesi, San Giacomo, Petacciato, Montenero, sono rimasti all’interno, adagiati sulle colline prospicienti, concedendo al mare solo timide marine, che non possono diventare città. Sebbene oggi questa fascia di territorio sia attraversata longitudinalmente dalle arterie viarie della ferrovia, dell’autostrada e della strada adriatica, conserva un patrimonio territoriale significativo nel quale si incontrano valori ambientali, culturali, agrari e paesaggistici che rappresentano le sue principali risorse di base. Il mare, le dune, la piana tratturale, il piede delle colline dove cominciano gli ulivi e le vigne, le stesse infrastrutture e le piccole attività turistiche compongono un sistema territoriale integrato che non può essere compromesso.

La foce del Trigno è un ambiente di particolare pregio, che per secoli ha segnato il confine settentrionale della Capitanata. “Il Trigni – scriveva verso la fine del ‘700 l’abate Longano – entra in Capitanata a settentrione di Montenegro. Giunto in faccia al regio tratturo, il quale viene dalla via della città di Vasto, si gitta verso mezzodì, ed indi altra volta ad Oriente corre ad entrare nell’Adriatico a settentrione della città di Termoli” (Viaggio per la Capitanata, 1789). Gli stagni, una diffusa ‘morbosità’, il bestiame brado, una “infinità d’ogni spezie d’insetti” e soprattutto il clima umido e ventoso, rendevano l’aria malsana ed erano causa di quella che Longano chiamava “la spopolazione”: lo scirocco da Sud era fastidioso, ma ancora di più “il soffio boreale da settentrione… deriva nell’inverno quella intensità di freddo, che consuma uomini e bestiami”.

Quando nel 1876 Antonio Stoppani pubblicò il Bel Paese, il libro che rilanciò l’espressione già usata da Dante e Petrarca per definire l’Italia, da queste parti era già arrivata la ferrovia. Percorrendo in treno la costa, Stoppani ne ritrae il paesaggio: “la ferrovia dell’Italia meridionale da Ancona a Brindisi, forse la più amena tra le ferrovie d’Europa, costeggia l’Adriatico per ben 15 ore di furioso cammino. Ridenti colline, fantastiche rupi, castelli pittoreschi, storiche ruine… sfilano con vece assidua e con perenne incanto, sotto gli occhi del viaggiatore, che percorre, a tutta foga di vapore, uno dei grandi lati di questo incantevole giardino che si chiama Italia. Ma che volete? Lo sguardo è sempre sul mare”. Il mare, appunto, patrimonio ambientale e culturale anch’esso, compreso il valore archeologico del tratto Termoli e il Trigno, con le vestigia sommerse della città di Buca, l’antico porto frentano già descritto dai classici Strabone, Plinio e Tolomeo.

Tutto questo nell’insieme mostra la costruzione di un territorio, un processo di territorializzazione in cui natura e uomo si sono incontrati tra il mare e la terra, tra il fiume e il tratturo. Il territorio va difeso perché è la vera risorsa di una regione come il Molise, di un paese come l’Italia. Non è solo una questione ambientale, ma anche economica, politica e culturale. Eppure proprio in quest’area, tra il 2020 e il 2021, è spuntata l’idea di un progetto immobiliare turistico-residenziale di vaste dimensioni, inopinatamente denominato Southbeach, da realizzare su circa centocinquanta ettari di superficie tra le foci del Trigno e del Mergolo, per un totale di cinque milioni di metri cubi formato da ville di lusso, palazzi da 8 a 25 piani, ristoranti, alberghi e centri commerciali, senza contare le infrastrutture. Si tratterebbe di uno scempio ambientale e di un mega-intervento speculativo, una devastazione che annienterebbe l’economia locale che sta faticosamente cercando nuove strade di valorizzazione sociale e territoriale attraverso piccole attività e la creazione di un sistema costiero integrato facente perno sulle risorse prima richiamate. Da Termoli a Vasto, l’intervento ipotizzato costituirebbe una vera propria colonizzazione del territorio e una frattura improvvisa e insanabile del lungo processo di territorializzazione.

Anche guardando le cose dal punto di vista del turismo, che rappresenta un’attività utile per la vita della zona, una tale idea progettuale contrasta chiaramente con ogni modello di turismo compatibile, con le vocazioni territoriali e con i princìpi del turismo sostenibile stabiliti fin dal 1995 nella conferenza di Lanzarote. Un progetto del genere sarebbe da respingere subito, mentre le istituzioni locali (Comune di Montenero di Bisaccia e Regione Molise) hanno deciso di prenderlo in considerazione avviando l’iter per un accordo di programma. Intanto si sono levate contro già molte voci del territorio, dai comitati civici alle grandi associazioni ambientali, alle quali speriamo si aggiungano anche le varie istituzioni locali, a partire dai Comuni dell’area e dalle città di Vasto e Termoli. Ma deve diventare anche un caso nazionale, su cui misurare se sono effettivi i propositi di transizione ecologica dichiarati dal governo e se contano ancora qualcosa gli organismi di tutela del patrimonio culturale e ambientale prevista dall’articolo 9 della Costituzione.

di Rossano Pazzagli (da lafonte.it)

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