2000 abitanti in meno in 8 mesi

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Il Molise perde migliaia di abitanti, ma Rossano Pazzagli frena sui piagnistei: “È successo anche peggio, e invertire la rotta si può”

di primonumero.it

11 Gennaio 2023

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Duemila abitanti in meno tra gennaio e settembre 2022 in Molise: lo certifica l’Istat, rilevando il dato relativo allo spopolamento di una regione – la nostra – dove la natalità sembra ai minimi storici e la frenata demografica appare inarrestabile. Addirittura nel 2020 il Molise ha perso 6.222 residenti, l’equivalente di un comune tra più popolosi di una regione dove su 136 centri ben 73 sono sotto i mille residenti. Nel 2021 il decremento ha superato i 3.500 abitanti. E per il 2022, dove il dato è ancora parziale, non c’è certo una inversione di tendenza. Al contrario, la fotografia scattata dall’Istat è impietosa: secondo il censimento permanente della popolazione i residenti sono 290mila, e il tasso di natalità, sceso tra il 2019 e il 2020 da 6,4 a 5,8 per mille, è il peggiore d’Italia.

La lettura del fenomeno di Rossano Pazzagli, docente di storia moderna all’Università degli Studi del Molise e vicepresidente della scuola territorialista italiana, va tuttavia in una direzione contraria al luogo comune che vorrebbe il Molise perdere pezzi come non mai. “Questi dati non sorprendono certo, ma devono essere letti in una prospettiva più lunga e devono essere contestualizzati. In realtà – chiarisce Pazzagli – va meglio che in passato, assistiamo a uno spopolamento inferiore”. 

Possibile? “È la storia a dirlo. Negli ultimi 20 anni il Molise è sceso costantemente, ha perso 28mila residenti tra il 2001 e il 2021, è innegabile. Ma nei decenni precedenti è sceso ancora di più. Tra il 1951 e il 1971 questa regione ha perso 87mila abitanti, con una media di 4.300 l’anno, passando da 408mila a 320mila”.

Quello che è accaduto dopo quella data il professor Pazzagli lo sintetizza così: “Con le Regioni si è registrato un lieve rialzo. Sono arrivati i poli industriali di Termoli, Bojano e Pettoranello e fino agli anni ’90 c’è stata una ripresa, la popolazione è arrivata a 333mila abitanti. Quindi è ricominciato il declino, ma è un declino meno evidente di prima, penso che le classifiche si debbano guardare al contrario e ripartire dal fondo”.

Il fondo è rappresentato dai centri piccoli, che in una regione come il Molise fatta da paesi sono la maggioranza. Pazzagli, autore di diverse pubblicazioni e studioso di punta dei paesi, non ha dubbi: “Quando si creano le condizioni favorevoli in termini di mobilità, sanità e istruzione, in questi paesini che sono la maggior parte del tessuto molisano si può vivere bene, e se si lavora ai servizi è finanche possibile invertire la rotta dello spopolamento”.

Salvare le piccole comunità e riportarle a numeri in controtendenza sotto l’aspetto demografico, dice Pazzagli, si può e si deve. E di esempi ce ne sono. Il più eclatante è Castel del Giudice, provincia di Isernia, che con il borgo di comunità, il recupero di stalle per fare l’albergo diffuso, il meleto e l’apiario collettivi ha aumentato negli ultimi anni il numero dei nati e dei residenti. “E ha anche creato occupazione” riferisce il professore Unimol che ha indagato i paesi nel suo ultimo libro, edito nel 2021, “Un Paese di paesi. Luoghi e voci dell’Italia interna”.

Altri esempi sono i centri satellite delle cittadine più popolose come Campodipietra e Ferrazzano, nella cintura di Campobasso, o San Giacomo degli Schiavoni, in quella di Termoli, che hanno aumentato gli abitanti. “I paesi sono nodi nevralgici del patrimonio territoriale e laboratori di rinascita nell’orizzonte incerto del nostro tempo”. Per Pazzagli la ripartenza sono le 3 P e cioè “paesaggi, paesi e prodotti. I primi due sono anche patrimonio culturale, i prodotti agroalimentari e artigianali sono una ricchezza straordinaria che si lega all’archeologia, alle tradizioni e all’ambiente, principale vocazione del Molise dove si può realizzare una green economy in senso vero”.

Il Molise è il massimo emblema delle aree interne italiane che non sono solo espressione geografica quanto condizione esistenziale, zone emarginalizzate da un modello di sviluppo del quale ora vediamo gli effetti peggiori, che ha privilegiato i grandi poli urbani, commerciali e industriali penalizzando con politiche miopi le aree interne la sintesi che offre una lettura diversa al fenomeno dello spopolamento, affiancata dall’invito a cambiare le politiche, puntando su opportunità e servizi (scuola, sanità, mobilità) e scommettere su paesi come laboratori di innovazione sociale.

di primonumero.it

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