Coltivare comunità: un percorso che continua

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A conclusione del primo anno del percorso che Letture Lente ha dedicato al tema dello sviluppo delle comunità e del ruolo della cultura nei processi di trasformazione sociale del Paese, si ripercorrono obiettivi e primi risultati dei contributi raccolti nel 2022, lanciando, per il 2023, una nuova fase della ricerca

di Flavia Barca (da agenziacult.it)

18 Gennaio 2023

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DA DOVE SIAMO PARTITI
Nel 2022 Letture Lente ha lanciato il dossier “Coltivare Comunità”, curato da Flavia Barca, Rossano Pazzagli, Filippo Tantillo e Giovanni Teneggi, con l’intento di aprire uno spazio di confronto e di approfondimento sul ruolo della cultura nei processi di trasformazione e di rinascita delle aree interne italiane, vittime di un processo di sviluppo che ha fortemente squilibrato il Paese dal punto di vista territoriale e sociale, alimentando spopolamento e abbandono e producendo disuguaglianze. Una questione territoriale che si aggiunge alla ben più ampia questione ambientale e che richiede l’attivazione di processi di riequilibrio e di rigenerazione. Ma non ci può essere rigenerazione sociale e culturale senza rigenerazione di comunità.

Coltivare comunità, dunque, come input programmatico, come base di una visione e di strategie nelle quali inserire azioni e progetti. La cultura nelle sue diverse accezioni – dai beni alle attività culturali, dal riconoscimento alla fruizione dei patrimoni locali – è in questa ottica una leva primaria di ingaggio delle comunità, di attivazione di cittadinanza consapevole, di sperimentazione di nuovi modelli di pianificazione e di pratiche di coesione sociale, a partire dalla partecipazione, diventando così, infine, anche una questione di democrazia.

GLI OBIETTIVI
Abbiamo cercato di percorrere esperienze in grado di restituire strumenti e metodi di azione rigenerativa partecipata sui territori, idee di innovazione sociale ed economica, elementi con robusta capacità di produrre effetto-leva e altri più deboli, ma a lento rilascio benefico nel tempo. Abbiamo provato a rispondere a domande difficili ma centrali, a partire dalla capacità di alcuni contesti di produrre pratiche esportabili, riproducibili o emulabili, fino a toccare il tema della sostenibilità finanziaria di luoghi difficili e fragili, in cui il tanto decantato sostegno privato appare complesso se non irraggiungibile e dove, quindi, diviene essenziale un intervento pubblico ragionato, capace di accompagnare i processi di costruzione di comunità, lontano dalle logiche dell’assistenzialismo o del singolo progetto.

I PRIMI RISULTATI DEL DOSSIER
Negli interventi raccolti in questo dossier, le comunità locali sono emerse come ambiti problematici e resistenti, deluse ma consapevoli della necessità di una svolta, spopolate ma ancora ricche di patrimonio territoriale e di valori civici. Una svolta che la pandemia ha reso ancora più impellente.

Quello di ‘comunità’ ci è parso, insomma, un concetto che conserva un valore decisivo nella creazione dell’immaginario sociale, e fa sì che il suo uso, per chiunque si occupi di politiche pubbliche territoriali e culturale, sia irrinunciabile.

Malgrado l’avanzare della disgregazione sociale, le comunità locali non sono del tutto sparite, ma in tanti casi (almeno in quelli narrati nel dossier), si vanno ricomponendo, magari in forme inedite, spesso anticipando l’intervento dello Stato, producendo rinnovati quanto necessari sensi di appartenenza. Non si tratta solo dell’abusata e sfuggente “resilienza”, ma di qualcosa di più. Intanto perché nel terreno dei “margini” si produce e si discute di contemporaneità, quindi si tratta di un terreno dove sperimentare nuovi modelli (di valorizzazione culturale, quindi di socialità, inclusione, innovazione). Ma centrale è anche il tema della messa a terra di pratiche inedite di governance, dove risulta evidente quanto il coinvolgimento, specie se in rete, degli attori territoriali è pre-requisito del migliore incontro tra creatività e sostenibilità dei processi, tra identità plurime e coesione delle diversità in una offerta di qualità, rispettosa del territorio, ed efficace anche nel lungo periodo. In questa direzione, inoltre, il primo passo, ineludibile, è la capacitazione delle organizzazioni e delle amministrazioni pubbliche locali, alla base di qualunque processo, imprenditoriale e sociale. Troppo spesso i processi di governance rimangono un orizzonte indefinito, dando luogo a livello locale a un vero e proprio non governo dei processi. Occorre che anche le/gli elette/i e le strutture amministrative prendano consapevolezza del loro ruolo, nel promuovere e favorire le pratiche di attivazione delle comunità, identificando i percorsi migliori, codificando senza imbrigliare i tempi e i modi dell’agire, e senza perdere di vista gli obiettivi e le ricadute che si intendono raggiungere. E soprattutto non fermarsi alla fase di promozione, ma accompagnare, seguire, alimentare, “coltivare”, appunto, la costruzione delle nuove comunità nel tempo.

Si tratta di processi sempre più spesso innescati e sostenuti da fattori esterni, seppur territorialmente radicati. Cresce il “locale” di adozione che consente di assumere quegli obiettivi di neopopolamento necessari allo sviluppo delle aree interne. Proprio con riferimento alla sua rappresentazione botanica, possiamo prefigurare una fase di continuità per innesto di questi territori.

Questi i primi spunti di una ricerca che ‘Coltivare comunità’ si propone ora di continuare per il 2023, nella consapevolezza che non esistono ricette universali, ma che il linguaggio dell’esempio, cioè il racconto, l’analisi e il confronto di esperienze virtuose possa portare un contributo utile per mettere a fuoco alcuni ingredienti dei processi più virtuosi, al fine di riabitare l’Italia abbandonata e generare uguaglianza.

IL PERCORSO CONTINUA NEL 2023
Si apre quindi un anno nel quale intendiamo proseguire e rafforzare il dialogo con il patrimonio territoriale (culturale, naturalistico, gastronomico, materiale, immateriale) che permetta le riletture del passato e del presente, proiettando nel futuro una visione, prima ancora che dei progetti. È sempre più evidente, e tema ricorrente nelle riflessioni di “Letture Lente”, che la riappropriazione da parte delle comunità del valore degli spazi del proprio abitare, della cultura materiale e immateriale che li connota, è in grado di produrre un effetto generativo di coesione territoriale, di partecipazione e di benessere diffuso, aiutando la capacità dei luoghi di reagire.

Il nostro obiettivo resta quindi quello di una lettura ravvicinata del territorio, competente ma non necessariamente specialistica; una ricerca-azione che continui a interrogarsi anche sulla misura delle cose, per valutare meglio i luoghi resi fragili da una modernizzazione ormai stanca, per apprezzare quello che hanno, non più soltanto per attardarci su quello che manca. E come all’inizio, ci auguriamo che questo percorso possa essere funzionale, tra le altre cose, a fornire un impianto metodologico più solido alla ricerca e all’azione pubblica, con utili suggerimenti di policy per costruire o ricostruire comunità nell’orizzonte vasto delle campagne, dei paesi delle aree interne, viste non più come residui del passato o come espressione di un campanilismo triste, ma come ambiti spaziali più sani, più sicuri e più aperti, perfino innovativi nelle loro specificità da salvaguardare.

E quello del tema del riequilibrio demografico di un paese, che vede aree vuote nelle quali è difficile e costoso portare i servizi, contrapporsi ad aree congestionate, in grave deficit ambientale, dove diviene sempre più difficile erogare i servizi per un eccesso di pressione antropica, è un tema centrale per le politiche pubbliche del prossimo decennio.

Coltivare comunità significa oggi mantenere uno sguardo critico verso la contemporaneità, verso lo strapotere (demografico, economico e politico) delle città, del mercato che isola gli individui e che, in un Paese dalle diseguaglianze crescenti e a bassa mobilità sociale, premia solo i pochi a danno dei tanti. Le nuove comunità devono avere una impostazione programmatica, sono abitate da neorurali, neomontanari, giovani che aspirano a restare o a tornare, da coloro che si oppongono a una economia estrattiva, alla realizzazione di grandi opere, ritenendo fondamentale e prioritaria la cura del territorio e del paesaggio. Spazi di lavoro, produzione e consumo in grado di alimentare filiere virtuose nell’agricoltura e nel turismo della saggezza, che ridiano valore alle piccole produzioni agricole, di allevamento o artigianali come a delle opportunità di vita e di lavoro, con una riscoperta del valore sociale dell’agricoltura, introducendo elementi di retroinnovazione, cioè reinterpretando in chiave di innovazione sociale e tecnologica i saperi tradizionali e locali. Vanno anche segnalate tracce di una concorrenza inedita fra diversi flussi di neomontanari. A questi appena descritti (quelli della scelta) si stanno aggiungendo infatti quelli della fuga inconsapevole: dal caldo, dall’insicurezza, dalla pandemia, dall’inquinamento, dalla durezza di una competizione che espelle soprattutto i giovani dalle città. Flussi di opportunità che rischiano, però, di produrre una selettività ineducata e massiva fra montagne da occupare e da abbandonare. Una sorta di metropolizzazione delle aree interne.

Ciò in un quadro di tutela attiva e di recupero del territorio dopo anni di sfruttamento intensivo o di abbandono che oggi rendono questi luoghi estremamente fragili ed esposti agli eventi estremi provocati dall’incuria, dal mutamento climatico o dalla sismicità di buona parte del Paese.

Stanno qui, forse, anche gli anticorpi civici per curare la crisi della democrazia, gli antidoti della corruzione e delle mafie, un senso collettivo di responsabilità all’incrocio tra uguaglianza sociale, crescita culturale e sostenibilità economica e ambientale. Le aree interne generative che “Coltivare Comunità” vede ne sono certamente laboratorio e incubatore.

Per prendere parte al dibattito di Letture Lente su questi temi inviateci pure proposte di contributi al seguente indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

di Flavia Barca (da agenziacult.it)

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