Vuoto crescente

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In questi giorni sto visitando paesi molisani che non conoscevo e sto rilevando motivi per ben sperare. Ci sono segni diffusi di attenzione al proprio territorio, alla storia, alle tradizioni. Azioni di recupero che vengono dal basso, con intelligenza e con amore. Forse non tutto è perduto

di Rossano Pazzagli (da La Fonte, maggio 2024)

21 maggio 2024

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“In Molise il vuoto cresce”. Lo scrisse più di dieci anni fa Paolo Rumiz nel suo reportage geo-letterario pubblicato da Feltrinelli con il titolo La leggenda dei monti naviganti. Ed è ancora vero, purtroppo.

Rumiz aveva iniziato il giro delle montagne italiane per fuggire dal mondo e invece finì per trovare un mondo, un viaggio che si venne trasformando nell’epifania di un’Italia vitale e segreta: dalle Alpi agli Appennini come in un mare di montagne dove i campanili dei paesi svettano come fari dei naviganti.
Dopo aver percorso l’Abruzzo con le sue grandi montagne-isole (Gran Sasso, Majella…), affacciandosi da Capracotta gli appariva il Molise, quasi una Polinesia di cime minori, un territorio diffusamente montuoso e disegnato dai tratturi, di quando la regione somigliava a un gregge in movimento. Poi la pastorizia entrò in crisi, a favore dell’agricoltura prima che anche questa crollasse. Quello della pastorizia italiana, ha scritto ancora Rumiz, è un genocidio dimenticato; ormai “la pastorizia in Italia è resistenza” raccontava Nunzio Marcelli, pastore abruzzese laureato. Agli albori del boom economico, alla crisi della pastorizia si aggiunse il declino del mondo contadino: “La cultura della terra crollò e l’Italia ebbe vergogna delle proprie radici - diceva ancora Marcelli -. Buttò nel fuoco le vecchie madie e comprò mobili di formica. Tutta la meravigliosa complessità del territorio svanì, diventò nebbia. Specie in Appennino, che divenne montagna delle anime perse”. Una sintesi efficace di quel boom che per tante parti del territorio italiano, prevalentemente rurale e montuoso, fu uno sboom. Il vuoto, le anime perse… espressioni adatte a rappresentare lo spopolamento e il rarefarsi delle attività e dei servizi nell’Italia interna, di cui il Molise può essere considerato l’emblema. Sebbene con ritmi minori, quello svuotamento - generato dallo sviluppo urbano, industriale e consumistico – è continuato fino ad oggi, accrescendo ancora il vuoto e il senso dell’identità perduta.
Eppure, il vuoto non esiste. Non è vuoto il paesaggio, se sappiamo osservarlo fino a leggerlo in profondità. Il vuoto non esiste fisicamente, ma può esistere e persistere nell’immaginario, nel senso comune di una popolazione abituata a considerare vincenti i modelli esterni, eterodiretti, omologanti e schiacciati sulla prospettiva del benessere economico, cioè del denaro e del successo. La domanda principale allora diventa la seguente:
Come colmare il senso di vuoto? La risposta non può essere di ordine tecnico, ma culturale, filosofica in prima luogo, e subito dopo politica.
Il primo passo è quello di leggere il territorio e di educare al patrimonio territoriale, creando conoscenza e coscienza di quello che c’è. Così emergeranno i molteplici ingredienti: paesaggi, paesi, prodotti, beni ambientali e culturali, tradizioni storiche e vocazioni creative, una umanità stanca ma ancora presente. Questo insieme di elementi, che la natura e l’uomo hanno depositato nel lungo processo di territorializzazione, costituiscono il ricco e variegato bagaglio che la regione, pur piccola e spopolata, si porta dietro e che può essere una riserva di futuro.
Il secondo passo dovrebbe essere quello di comporre con queste risorse una strategia coerente di periodo medio-lungo, svincolata dai mandati elettorali e soprattutto orientata alla definizione di un modello di sviluppo alternativo a quello che ha dominato fin qui, responsabile della marginalizzazione e della rarefazione delle opportunità e dei diritti: non più quello della crescita, della competizione e della velocità, ma un modello in cui prevalgano la solidarietà e la cooperazione, l’equilibrio e la lentezza come fondamenti di una migliore qualità della vita.
Parallelamente, è necessario alimentare un’azione culturale diffusa che produca nuove mentalità, rimuovendo il senso di minorità e recuperando protagonismo individuale e collettivo, che spinga alla rivendicazione e alla lotta. Non saranno i favori di una politica lontana a ridare dignità a una regione che la merita (e siccome è piccola e bella, la merita di più), ma un ritrovato protagonismo della sua popolazione e delle sue comunità locali, che ora si sentono disarmate, pur essendo ancora vive sebbene le si voglia dipingere come morenti.
Oggi il problema non è più tanto lo spopolamento, che non affligge più soltanto le aree interne, quanto quello di adottare politiche utili per vivere bene anche dove siamo rimasti in pochi. Ciò significa uscire dalla logica dei numeri per entrare in quella della qualità della vita, riportando servizi e opportunità dove sono stati colpevolmente tolti, puntando all’uguaglianza e al riscatto dei luoghi perduti, marginalizzati da uno sviluppo sbagliato. Allora quel vuoto potrà nuovamente apparire come uno spazio animato e generatore di vita.

di Rossano Pazzagli (da La Fonte, maggio 2024)

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