Le parole (e le pratiche) dei margini

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A proposito del “Vocabolario delle aree interne”. 100 parole per l’uguaglianza dei territori, a cura di Nicholas Tomeo, Capistrello (Aq), Radici Edizioni, 2024

di Rossano Pazzagli (da civiltaappennino.it)

14 giugno 2024

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La questione delle aree interne non nasce oggi. C’è da molto tempo, e non per colpa del destino. È l’esito di un modello di sviluppo polarizzante in un Paese come l’Italia che è storicamente e strutturalmente policentrico, in massima parte rurale, collinare e montuoso, sebbene sia quasi interamente circondato dal mare. Gli articoli, i libri e gli studi sulle aree interne si sono moltiplicati negli ultimi anni e la questione è perfino diventata “di moda”, approdando anche a narrazioni stereotipate e retoriche.

Non era ancora disponibile, però, uno strumento che riposizionasse tale questione in modo sistematico, decostruendo e ricostruendo linguaggi, descrivendo pratiche e processi, guardando ai valori più che alle carenze di quel vasto territorio italiano, composto da campagne e paesi, che siamo soliti chiamare “aree interne”. Ecco perché il Vocabolario delle aree interne, curato da Nicholas Tomeo e pubblicato da Radici Edizioni, è da salutare come un libro utile e critico, un’operazione coraggiosa che dà voce a oltre 60 autori e autrici, in gran parte giovani impegnati in ricerche, attività e letture territoriali.
Frutto di un lavoro collettivo e multidisciplinare questo Vocabolario mette in fila cento lemmi per l’uguaglianza dei cittadini e dei territori. Ogni parola è esplosa in un breve capitolo, ciascuno seguito da una sintetica nota bibliografica per gli approfondimenti. Scritto da giovani ricercatori e ricercatrici, docenti, amministratrici e operatori territoriali che emergono nell’insieme come una comunità attiva, non chiusa nelle aule accademiche, il libro è sostanzialmente uno strumento critico e ragionato, utile per affrontare questioni che riguardano almeno tredici milioni di cittadini, alle prese con le disuguaglianze sociali conseguenti all’allargamento delle disparità territoriali che intaccano i diritti fondamentali che dovrebbero essere assicurati a tutto il Paese.
Dalla A di Abbandono alla W di Welfare, nelle cento voci si avverte un impeto sperimentale, un abitare attivo, vari tentativi di accostare al racconto del declino le possibilità di rinascita come reazione alla marginalità. Quelle parole ci aiutano a capire cosa è rimasto nella grande area interna italiana, rurale, boschiva, pascolativa e ricca di paesi, paesaggi e prodotti. All’encomiabile sforzo del curatore Nicholas Tomeo, dottorando in Ecologia e territorio presso l’Università del Molise, si aggiungono il saggio introduttivo di Rossano Pazzagli e la postfazione di Marco Giovagnoli, uno storico e un sociologo che ricompongono il lemmario in una visione unitaria, severa nell’analisi, ma non rassegnata nelle prospettive. Ho definito il Vocabolario come una bussola per navigare tra i monti e i paesi per andare alla ricerca di cosa è successo, di cosa è rimasto e di cosa si può ancora fare.
Considerata la necessità di associare all’analisi del declino l’elaborazione di strategie di rinascita delle zone rurali e montane per favorire condizioni di uguaglianza nell’accesso ai diritti e alle opportunità, il volume lascia emergere l’importanza di lavorare sulla conoscenza, la fruizione e la messa a sistema del patrimonio territoriale, perché proprio l’attivazione delle risorse e delle energie endogene può contribuire ad elevare il benessere e la qualità della vita. È un libro che parla di aree interne, ma che si rivolge all’intera società con l’obiettivo di sperimentare in tali zone un cambiamento di modello, quasi l’invito a giocare un’altra partita: non quella della crescita, ma piuttosto quella dell’equilibrio, della cooperazione al posto della competizione, del policentrismo al posto della concentrazione, dell’armonia con la natura invece della logica del dominio. Per andare in tale direzione è necessario rimettere ordine alle parole, partire da esse per arrivare ai concetti e alle pratiche. Così facendo ci accorgiamo, ad esempio, che “interno” non significa “dentro”, ma anche dimenticato, marginalizzato, quasi invisibile; che “borgo” non vuol dire paese, né comunità, ma è solo un vezzo urbano per immaginare una comoda e informe alterità dei luoghi. Si vede bene che le aree interne non sono più soltanto un’espressione geografica e che tale definizione indica piuttosto una condizione esistenziale dei luoghi: quella di tutti i territori che, indipendentemente dalla loro ubicazione, sono stati trascurati, abbandonati, feriti e qualche volta perfino derisi.

Eppure qui, nei territori di civiltà antiche, si è accumulato nel tempo un patrimonio diffuso fatto di prodotti, ambiente, paesaggi, valori culturali, salute e virtù civiche che oggi tornano ad essere necessarie per rispondere alla crisi del presente, per riconsiderare le relazioni tra centro e periferia, riabilitare le funzioni tra città e campagna, riconnettere costa e entroterra. Le voci del Vocabolario ci aiutano a invertire lo sguardo per osservare l’Italia non più soltanto dalle grandi città, ma valorizzando, l’individualità dei paesi, la forza economica dei sistemi locali, la coscienza di luogo, la partecipazione degli abitanti, il rapporto con la natura e il senso del bene comune. Dopo il terremoto dell’abbandono o dell’alluvione demografica che per decenni ha spinto gli italiani verso il basso, è forse tornato il tempo di risalire, riabitare i paesi, coltivare le campagne, riattivare servizi diffusi per garantire i diritti essenziali. Solo così le aree interne, ricche di una umanità profonda ma stanca e di un patrimonio territoriale diffuso ma dimenticato, potranno coltivare parole nuove, per un’uguaglianza dei territori che stimoli una effettiva uguaglianza tra i cittadini.

di Rossano Pazzagli (da civiltaappennino.it)

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