Ragionando di boschi e di paesaggio

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La redazione dei nuovi piani paesistici impone una riflessione sulle misure di tutela più efficaci del patrimonio boschivo il quale rappresenta una componente importante del patrimonio paesaggistico molisano

di Francesco Manfredi Selvaggi

9 Gennaio 2024

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I piani paesistici vigenti contengono diverse norme riguardanti i boschi. Innanzitutto, va detto che è stabilita per essi la tutela assoluta per cui non è possibile l’attuazione al loro interno di alcuna realizzazione non essendo applicabili le misure di compensazione della particella boscata che verrà occupata da una qualche opera con il rimboschimento di analoga superficie previste, invece, dalla normativa nazionale di settore. Quando venne redatta la pianificazione paesaggistica molisana, eravamo allora alla fine degli anni ottanta, il reinselvatichimento delle campagne, iniziato a seguito dell’emigrazione che nel dopoguerra si è incrementato, ancora non aveva raggiunto gli elevati livelli attuali per cui per bosco si intendevano solo le formazioni boscose consolidate.

Conservare i cespugliati significa rinunciare agli spazi aperti presenti nel passato all’interno delle distese forestali e ora conquistati dagli arbusti; ciò provoca un impoverimento sia dal punto di vista naturalistico poiché l’alternanza di bosco e prato aumenta la biodiversità sia in riguardo al paesaggio che subisce una semplificazione dei suoi lineamenti sia per questioni storiche poiché le radure sono frutto del disboscamento da parte dell’uomo alla conquista di suolo coltivabile e perciò chiamate «cese». Rimanendo sul tema degli appezzamenti alberati, è da aggiungere che i nostri piani mentre proteggono le formazioni boschive, siano esse foreste centenarie, siano aree incolte nelle quali vi sono specie arbustive, non contengono misure per la salvaguardia degli uliveti tradizionali, assimilati peraltro nelle leggi statali e regionali alle piantagioni industriali.

È una carenza che va colmata poiché gli spettacolari ulivi antichi non sono la stessa cosa delle altre piante, non fosse altro che per la vetustà. Il Parco dell’Ulivo di Venafro in qualche modo supplisce a tale mancanza. È assai interessante, invece, una disposizione dei piani paesistici che vieta l’edificabilità in una fascia di 50 metri intorno al bosco. Essa è significativa essendo i margini delle «macchie» luoghi nei quali si registra una differenza di luce, temperatura e umidità rispetto al resto dell’ecosistema boschivo che determina l’affermazione di essenze diverse. Sempre che in suddetta striscia di terreno circondante il bosco non si sviluppi il cespugliato che ne comprometterebbe il ruolo di ambito aperto alterando la funzione ecologica dei margini.

In definitiva, gli ambienti liberi devono essere preservati, e nel caso restaurati, per mantenere il mosaico paesaggistico, il quale è sintomo di biodiversità. Il bosco si intercala con i pascoli e con i campi coltivati, a volte una sorta di oasi inserite nel mantello selvoso, così come con le case sparse e piccole chiazze di colture prossime. Sempre a proposito di alberi c’è un ulteriore punto da affrontare, trascurato nella pianificazione paesaggistica in vigore qui da noi: mentre per le piante con diametro superiore a 80 centimetri, ma esclusivamente se isolate vi è il divieto di abbattimento (salvo se malate), per gli esemplari delle medesime dimensioni collocati nei boschi ciò non vale.

Tale restrizione al taglio riguarda, va evidenziato, le piante con tronchi della larghezza indicata a prescindere se siano secolari o meno, tenendo conto, cioè, della loro maestosità che ne fa degli elementi del paesaggio. Quelli che si chiamano Patriarchi Vegetali sono, invece, gli alberi con più di 100 anni. La classificazione di Albero Monumentale dell’apposita legge regionale contiene, invece, entrambi, dentro o fuori degli insiemi boschivi: tanto in quest’ultimo provvedimento legislativo quanto nei piani paesistici sono ricomprese specie arboree di ogni tipo, dai faggi agli abeti alle querce ai pioppi e così via, a qualsiasi altitudine, montagna, collina o pianura (i faggi e gli abeti stanno sui monti, le querce in collina e i pioppi nel piano), senza distinzione tra alberi autoctoni e esemplari esotici per cui vi sono pure piante urbane, quelle dei giardini privati e delle piazze e viali pubblici, oltre che presenti nelle ville signorili, come i classici pini ad ombrello.

Interessanti ai fini della valorizzazione delle colture locali sono i vecchi alberi da frutto che permangono nei terreni in passato coltivati. In sede di revisione della pianificazione paesaggistica, siamo passati dall’analisi di quella esistente alle proposte per la futura, si dovranno innanzitutto individuare quali parti del patrimonio boschivo sono essenziali per garantire l’integrità del sistema ecologico che rientra in Natura 2000. La rete è fatta di punti e linee: i boschi appartengono ai primi e sono numerosi riflettendo sulla circostanza che i SIC più ampi sono quelli montani (Matese e Mainarde) e qui vi sono addirittura delle foreste.

Le seconde sono i «corridoi ecologici» necessari per la carenza complessiva della rete Natura 2000 composta dai Siti di Importanza Comunitaria, legati fra di loro, in base all’art. 10 della Direttiva Habitat, proprio da tali elementi che sono areali e lineari, fra i quali ultimi oltre ai fiumi vi sono le fasce alberate. La L. R. n. 6 del 2.000 include nella definizione di zona boscata anche le strisce di terreno larghe minimo 20 metri coperte da alberi, le quali sono un microambiente molto vulnerabile in quanto, per il consistente sviluppo dei bordi, sono esposte in modo consistente ai venti, alla luce e alle componenti antropiche al contorno; al piano paesistico spetta la creazione di una sorta di scudo per assicurarne l’integrità alla stessa maniera dei margini delle macchie.

C’è una valenza particolare del mondo forestale che spetta alla tutela del paesaggio tenere in conto che è quella simbolica la quale si aggiunge a quelle naturalistiche accennate prima, a quelle legate alla difesa idrogeologica, a quelle connesse ad enormi temi planetari, ci stiamo riferendo ai cambiamenti climatici. La foresta è un posto che generava sgomento per la possibilità di perdere l’orientamento o per l’incontro con i briganti o con animali selvatici pericolosi, il lupo e l’orso, un modo di sentire che spinge a rifuggire da essa; vi sono poi alberi maledetti quali i 3 Frati di Guardiaregia che ci ricordano l’uccisione di 3 fratelli. All’opposto il bosco è un luogo magico in cui vi sono le ninfe (la favola di S. Egidio di Boiano) oppure un sito che inspira sentimenti religiosi, almeno per i sanniti nel cui bosco sacro è stata rinvenuta la Tavola Osca. Le modalità di taglio, ceduo o alto fusto, dovrebbero dipendere anche da ciò e così la decisione di installarvi attrezzature turistiche, con l’unica eccezione della sentieristica essenziale per la conoscenza dell’ambiente boschivo.

(Foto: F. Morgillo - Distesa boschiva)

di Francesco Manfredi Selvaggi

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