Eia Eia Baccalà

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La salutare pernacchia di Jacovitti al cretinismo fascista. Un ricordo giovanile

di Giuseppe Tabasso (da ilbenecomune.it) 

3 luglio 2024

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Si è dunque scoperto che nel grembo di Giorgia crescevano (a sua insaputa?) i baby-camerati di una “Gioventù Nazionale”, democratica in pubblico ma razzista in privato, che invoca il Duce, grida “Sieg Heil”, si tatua svastiche, dice    che “gli infami ebrei campano di rendita sull’Olocausto”, che i neri “puzzano” e altri rigurgiti.

La scoperta ha indotto FdI a dimettere due dirigenti, a tenere sotto osservazione decine di militanti e a riconoscere che “si è scoperchiato un verminaio ideologico”. Alessandro Giuli afferma giustamente: “Bisogna prosciugare le pozzanghere di fascismo”.

Ebbene, al sottoscritto tocca fare una confessione: in quelle pozzanghere ho sguazzato anch’io un’ottantina d’anni fa a Campobasso.

Intendiamoci, le nostre erano adolescenze di innocenti obbligati a recitare ogni sabato la farsa del bellicismo fascista in divisa da Balilla (c’erano gli orgogliosi di indossarla chi “ze metteva scuorn”). A scuola bisognava gloriare tassativamente gli “immancabili destini della Patria” come imposto dallo slogan “Libro e moschetto Fascista perfetto”.

Eravamo all’oscuro di tutto, Auschwitz ci era ignota, Hitler pure, dovevamo odiare l’Inghilterra, detta la “perfida Albione”, era proibito usare parole straniere, tranne il tedesco che nessuno studiava.

Insomma vi prego di capire l’effetto che può fare oggi su noi sopravvissuti    la documentata scoperta di Fanpage. Sulle prime si pensa che è solo goliardia, casi isolati, vecchi nostalgici che custodiscono busti di Mussolini, (come La Russa e qualche ex consigliere regionale del Molise). Il solito album di famiglia da sempre irriso e sopportato.

Poi però si scopre che i rigurgiti fascisti sono una realtà che avvelena i nostri giovani e fa dire a Liliana Segre: “E’ una deriva che c’è sempre stata, solo che prima si vergognavano ora non più. Potrò essere ancora cacciata dal mio Paese?”

Ordunque, cosa potremmo fare noi ultimi testimoni del disastro fascista, noi incapaci perfino di spegnere la fiamma mussoliniana che ancora arde sotto i simboli del potere? Poco o nulla.

Ci rimane però un dissacrante slogan usato dal grande Jacovitti per commentare l’Italia che si trovò a vivere: Eia, Eia Baccalà,

P.S. Il titolo del libro di Jacovitti, purtroppo introvabile, è Eia Eia Baccalà – La Guerra è finita. Il critico Goffredo Fofi lo definì “un contributo importante alla conoscenza di un’epoca e dei suoi passaggi, tra fascismo e democrazia, tra monarchia e repubblica”.

(Foto: “Scrigno naturale” - Maria Rosaria Catolino)

di Giuseppe Tabasso (da ilbenecomune.it) 

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