Eravamo due ragazzi di Oratino
L’artista e restauratore di Oratino, Dante Gentile Lorusso, ricorda il suo amico scultore, Renato Chiocchio, come lui originario di Oratino, scomparso qualche giorno fa
di Dante Gentile Lorusso
22 Gennaio 2024
Eravamo due ragazzi di Oratino.
Una storia che non abbiamo mai raccontato.
Correva l’anno 1970 e frequentavo, insieme a tanti ragazzi del mio paese la Scuola Media Giovanni Antonio Colozza, che allora era collocata in un palazzo in Via Mazzini a Campobasso, difronte la Standa, la famosa catena di supermercati.
Un giorno di primavera, quando ero in terza, quindi l’ultimo anno, il docente di educazione artistica invitò tutta la classe a partecipare ad un concorso nazionale di arte figurativa che aveva per tema gli infortuni sul lavoro. Era un modo per sensibilizzare i giovani studenti alla drammatica questione riguardante gli incidenti sul lavoro, che in quel periodo colpiva davvero tanti lavoratori mietendo un numero considerevole di vittime.
Ricordo che quando suonò la campanella, uscendo dall’edificio scolastico, incontrai il mio fraterno amico Renato Chiocchio, che frequentava la stessa scuola ma in una sezione diversa. Anche lui era stato coinvolto per prendere parte al concorso. Con grande entusiasmo discutemmo dell’iniziativa per tutto il viaggio di ritorno a casa che quotidianamente percorrevamo in pullman per raggiungere il nostro borgo di Oratino.
L’idea ci appassionava molto, quindi decidemmo di partecipare realizzando un lavoro insieme.
Iniziammo subito e in quello stesso pomeriggio ci ritrovammo nel garage di casa mia ubicato in via Piedicastello. Avevamo buttato giù qualche disegno per avere uno schema da seguire. Tutto era pronto. Tavole, sega, martello, chiodi, etc.
In tre o quattro incontri pomeridiani abbiamo portato a termine la nostra opera. Avevamo eseguito la facciata di una casa in pietra in costruzione, addirittura con la romanella ricavata con dei pezzi di canne secche, in cui su un ponteggio strutturato con travi di legno, si svolgevano i lavori di alcuni muratori e scalpellini. In un angolo della parte alta dell’impalcatura abbiamo simulato l’incidente causato dalla rottura di un asse di legno, quindi la caduta rovinosa di un operaio.
Dopo aver sistemato accuratamente la composizione in uno scatolo di cartone, mettendo molta cura durante il viaggio per il capoluogo, una mattina l’abbiamo consegnata ai nostri professori, che subito ebbero parole di elogio per l’originalità, perché in effetti tutti gli altri allievi avevano prodotto disegni o acquerelli.
Per me e Renato l’impegno era finalmente concluso. Intanto una commissione interna alla scuola aveva selezionato un numero ristretto di lavori da inviare a Roma.
Dopo oltre un mese, una mattina mentre stavamo assistendo al le normali lezioni, sia a me che Renato i nostri docenti di disegno ci vennero a prelevare in classe per condurci nella stanza del preside. In verità nell’attraversare un lungo corridoio noi ci siamo sentiti un po’ spaesati ed impauriti dalla strana situazione, fino a quando giunti davanti alla scrivania del capo d’istituto, questi ci informò che la nostra opera era risultata vincitrice del concorso nazionale. Noi sempre con l’atteggiamento impacciato e sospettoso non ci siamo resi conto bene di quello che stava accadendo intorno a noi, mentre tanti professori iniziarono ad affollare la stanza per esultare e festeggiare alla vittoria della Colozza. Dopo una ventina di minuti i nostri rispettivi insegnanti di educazione artistica ebbero l’incarico di accompagnarci in tutte le classi dell’istituto per presentarci e raccontare la vittoria agli oltre cinquecento studenti.
Ma la vittoria più bella e significativa per noi fu quella che da qual giorno nessuno più, soprattutto i nostri colleghi campobassani, ci ha bullizzati, come si direbbe oggi, con la frase che ci ripetevano come un mantra: “Uratin tre case e nu tabacchin”.
di Dante Gentile Lorusso