• 10/18/2016

Auguri per un Felice 2017

Auguriamo un buon anno con una pagina del calendario dei Missionari Saveriani, dove la foto ritrae Padre Antonio Germano, tra la sua gente in Bangladesh, storico e puntuale (ogni 4 anni, quando torna in Italia) marciatore di “cammina, Molise!” 

di A.C. La Terra

30 dicembre 2016

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Attività svolta da Padre A. Germano in Bangladesh negli ultimi 20 anni.

Aggiornamento Settembre 2016

LA NOSTRA PRESENZA TRA I RISHI

IN QUESTI ULTIMI 20 ANNI CON PARTICOLARE

RIFERIMENTO AL GRUPPO DIVENTATO NEL FRATTEMPO CRISTIANO

°°°

1. BREVE EXCURSUS STORICO. Per l’aggiornamento di settembre mi è stato chiesto di fare il punto sugli ultimi anni di presenza in mezzo ai Rishi con particolare riferimento alla conversione di un gruppo di loro al cristianesimo. Partirò da un incontro avuto a tu per tu con p. John Fagan (non se john se ne ricorda) nel lontano 15 gennaio 1992 all’indomani della mia relazione all’assemblea saveriana sul mio primo anno di presenza ad Asharbari  con p. Gabriele Spiga. Di quell’incontro conservo alcune note scritte, che riferisco: “Osservazione generale: la conversazione convergeva sempre verso un punto nodale, che postulava una risposta di chiarezza. Per John la mia posizione sembra abbastanza scontata (equivoca):

– I dati raccolti,

– Il riprendere i contatti con i villaggi già visitati dai Gesuiti con quale scopo se non quello di ripetere quanto gli altri hanno fatto? Secondo John, i Rishi, se per la loro elevazione sociale e liberazione hanno bisogno dell’elemento religioso o valori religiosi, questi sono già presenti in loro e si tratta solo di scoprirli. La nostra presenza in mezzo a loro si giustifica solo se inserita in questa prospettiva: – o di elevazione sociale e di liberazione con interventi nostri o di NGO, – o di tentativo di scoperta di valori religiosi già presenti in mezzo a loro, su cui far perno. Quindi, rispondendo a me, egli sostiene che la mia presenza si giustificherebbe solo se collocata in un villaggio cristiano, da cui poi muoversi verso altri villaggi, anche se poi lui dice di non credere a questo modo di agire, che ripeterebbe i patterns del passato”.

Questa la conversazione avuta con John nel lontano 1992 e da me appuntata su un vecchio diario. La relazione fatta all’’assemblea saveriana la ripetei al presbiterate meeting, di cui p. John Fagan era segretario a quell’epoca. La mia relazione e le reazioni delle due assemblee saranno sepolte in qualche vecchia file. Il mio contatto con i 35 villaggi Rishi della zona continuò per altri due anni. Venne interrotto quando il superiore di allora p. Sebastiano Tedesco mi chiese di prendere la responsabilità della missione di Bhabarpara. Penso che questa piccola premessa di carattere storico possa aiutarci nell’orientare il dibattito in questa nostra assemblea, in cui io, purtroppo, sono assente. Il dibattito intorno ai Rishi era molto acceso e vivace per buona parte degli anni ’80 e i primi anni ’90. Era portato avanti dal “Gruppo Rishi”, costituito da un buon numero di padri e qualche fratello, che si riunivano periodicamente. Venivano affrontate tutte le tematiche pertinenti ai Rishi e quindi anche quella della loro conversione e aggregazione alla chiesa. A riguardo, se non ricordo male, c’erano almeno 5 posizioni diverse e non si è mai arrivati ad una visione unica e concordata.

In seguito, per l’apertura ad altre diocesi e per l’assottigliarsi del nostro numero, il “Gruppo Rishi” si disgregò e non si ricompose più. Nel mio periodo di permanenza ad Asharbari con p. Gabriele avevo ripreso in mano i Diari dei Gesuiti, il cui custode era p. Gasparotto, li avevo fotocopiati per studiarci sopra e li avevo riconsegnati indietro. Stando a Borodol, avevo scoperto che i Diari erano una fonte imprescindibile per chi volesse lavorare tra i Rishi. Diventato superiore a metà degli anni ’90, mi venne l’idea di trascriverli nel computer e di stamparli, con l’intento di distribuirli ai confratelli e al clero locale, perché fossero oggetto di studio e di riflessione. Pura utopia! Rimasero infatti sepolti nei vari scaffali. L’averli stampati fu comunque una fortuna, perché i Diari originali non si trovano più e non si sa che fine abbiano fatto. Recentemente p. Sergio Targa, con un enorme lavoro di pazienza ha pubblicato in uno splendido volume i Diari, introducendoli con un ampia e approfondita riflessione. Ma anche quest’ultimo tetanico sforzo non ha avuto un seguito di studio e di riflessione, proprio perché siamo sempre più in diaspora e diversi, come il sottoscritto, siamo ormai al crepuscolo o al tramonto.

2. IL RUOLO DELLE NGO. A cominciare dalla seconda metà degli anni ’90 (le date precise adesso mi sfuggono e non sono in grado di confrontarle perché scrivo dal mio esilio a Dhaka) per iniziativa dei padri, ingaggiati da anni nella missione tra i Rishi, si era dato vita ad una serie di NGO. L’idea forza era questa: l’organizzazione doveva essere formata di Rishi per i Rishi. C’erano già altre NGO, come Rishilpi, Uttaran, Bhumij, ecc., aiutate inizialmente da p. Luigi Paggi, le quali avevano come obiettivo (dichiarato, ma non attuato) l’elevazione sociale degli Ontoj (gli ultimi). L’idea di Luigi era che se i nostri scarpari (come li chiamava lui), fossero entrati a lavorare in queste NGO, in cui erano presenti Musulmani e Hindu, avrebbero avuto la possibilità di uscire dal ghetto in cui da secoli erano relegati. In realtà poi si è visto che tanti nostri studenti del college, usciti dal Tuition Program, a cui veniva data la chance di lavoro, erano posti a svolgere attività, che altri di altre caste rifiutavano di svolgere. Quindi anche  queste NGO, al pari dei jomindar (proprietari terrieri) di una volta, finirono per diventare fonte di sfruttamento. Mi ricordo che una volta, ancora ai primordi della mia permanenza a Chuknagar, partecipai ad una delle tante riunioni organizzate dal Bhumij con altre NGO. In quella occasione chiesi come mai i nostri venissero relegati sempre agli uffici più umili. La risposta fu che essi  non erano pronti ad assumere posti di responsabilità. Al che io replicai: “Se non sono pronti, occorre prepararli attraverso opportuni corsi di preparazione”. Ma non se ne fece mai nulla.

NGO CON I RISHI E PER I RISHI. Su iniziativa degli studenti del college, usciti dal Tuition Program, in cui avevano preso coscienza della loro situazione di schiavitù, era sorto un comitato col nome di Ontoj Parishod ( comitato degli ultimi). Questo comitato si proponeva di promuovere coscientizzazione attraverso riunioni periodiche nelle pare Rishi e attraverso manifestazioni pubbliche di piazza per richiamare l’attenzione delle autorità sulla loro condizione servile di esclusione dai diritti umani, invocando l’eliminazione del barna protha (castismo), fonte di schiavitù. All’inizio ci fu molto entusiasmo e l’Ontoj Parishod svolse uno splendido lavoro. Poi successe che il Bhumij, approfittando del fatto che nell’Ontoj Parishod c’erano alcuni elementi che lavoravano nel Bhumij, seminò zizzania in mezzo al gruppo e alla fine riusci’ a impadronirsi giuridicamente anche dello stesso titolo di Ontoj Parishod. Cosi’ tragicamente beffati, i nostri non si persero d’animo e diedero vita ad un altro comitato col nome di Dalit Parishod, che in tutti questi anni ha lavorato ed esteso la sua attività non solo a livello locale ma anche a livello nazionale. Sull’onda di questo entusiasmo sorsero poi le varie NGO con lo slogan: con i Rishi per i Rishi. Adesso le date mi sfuggono, ma la prima a nascere (1993?) fu Parittran, il cui direttore è ancora adesso Milan Das. P. Riccardo Tobanelli, stando a Khulna, diede vita alla Dalit NGO, il cui direttore è Swapan Das. Queste due NGO hanno già due decenni di storia e dovrebbero essere i loro protagonisti a raccontarla. Io posso soltanto dire che dei loro direttori, l’uno, Milan Das, ci tiene a dire che proviene dalla scuola di p. Luigi Paggi e l’altro, Swapan Das, si dice discepolo di p. Pierluigi Lupi. Tra le due NGO, fin dall’inizio, c’è stata sempre rivalità e mai cooperazione. In questi ultimi anni è sorta un’altra NGO dal nome Drubha, il cui fondatore e direttore è Uttam Das, anche lui discepolo di Luigi. Devo purtroppo confessare che Drubha e il suo direttore appaiono come i nemici palesi della missione di Chuknagar.

3. MIO APPRODO A CHUKNAGAR ED EVANGELIZZAZIONE. Prima di entrare in argomento, ci tengo a sottolineare che non fui io a scegliere di andare a Chuknagar, ma fu il superiore di allora, p. Lorenzo Valotti, che mi chiese di andare a Chuknagar ed iniziare il cammino catecumenale con quelli che avevano chiesto di diventare cristiani. Mio desiderio invece era quello di ritornare nella zona di Asharbari con Gabri e riprendere il discorso iniziato una diecina di anni prima. Della mia attività a Chuknagar con le sue difficoltà e problematiche avevo già dato un’ampia relazione in inglese subito dopo il primo anno della mia  permanenza nella zona e se qualcuno è interessato a leggerla l’accludo in questa email. Una più ampia relazione ebbi modo di prepararla (sempre in inglese) in occasione dell’aggiornamento dell’ottobre del 2008 a Dhaka, che aveva come tema il catecumenato. Accludo anche questa relazione all’email, se qualcuno fosse interessato a rileggerla.

LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO fu un bene o un male? Per quel che mi riguarda la giudico senz’altro un bene, pur con i limiti, legati da una parte all’evangelizzatore e dall’altra alla gente che richiedeva il battesimo.  In questa fase di autocritica di tutti questi anni, il suggerimento che darei a chi volesse iniziare un processo di conversione è quello di non avere fretta e aspettare che tutto il villaggio lo richieda (questo era il metodo seguito anche dai Gesuiti), altrimenti la conversione diventa ulteriore elemento di divisione nel villaggio Rishi, già cosi’ divisi fra di loro. Il secondo suggerimento è quello di non accettare mai individui singoli, ragazzi o ragazze, isolati dalla famiglia: è la famiglia intera che eventualmente deve fare il passo verso la conversione al cristianesimo. Nella società bengalese e in particolare nel mondo Rishi, al momento del matrimonio, non è il ragazzo che sceglie il suo patner, ma è il somaj (la comunità) di appartenenza che decide. Cosi’ è capitato che diversi ragazzi e ragazze, battezzati isolatamente dalle loro famiglie, sono ritornati al somaj Hindu, con molta naturalezza e, in più, non si preoccupano minimamente di tenere un rapporto con noii.

Il tema meriterebbe ulteriore sviluppo, ma sono già andato oltre i limiti consenti. Altre osservazioni pertinenti si possono trovare nelle due relazioni citate.

Dhaka, 30.08.2016

Fr. Antonio Germano Das, sx.

Contatto per Padre Antonio Germano: antoniogermano2@gmail.com

di A.C. La Terra