• 10/18/2016

Antidoti ai delitti familiari

Se la deviazione dell’amore tra i componenti di un nucleo familiare arriva ad un omicidio è chiaro che tutti noi abbiamo il dovere di porci delle domande

di Umberto Berardo

24 gennaio 2017

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L’ultimo crimine terribile in ordine di tempo è quello avvenuto il 10 gennaio 2017 a Pontelangorino in provincia di Ferrara, ma, mentre si dichiarano gli uxoricidi, i reati dei figli contro i genitori sono un tabù e, almeno nei casi di minacce ed aggressioni, tendono ad essere negati o minimizzati per tutelare un’immagine positiva della famiglia.

L’omicidio dei genitori per la verità non ha una casistica molto elevata rispetto ad altre forme di delitto, ma il fatto che avvenga all’interno della famiglia ed in forme piuttosto cruente colpisce molto l’opinione pubblica.

Non mancano studi e pubblicazioni sul tema.

 Nel 2007 la Facoltà di Psicologia dell’Università degli studi di Torino se n’è occupata con una ricerca sui casi verificatisi in Italia per individuarne i dati fondamentali.

Gli autori di tali crimini sarebbero per l’82% figli maschi e per il 18% femmine, mentre le vittime sono padri nel 54,1% e madri nel 45,9% .

I moventi di solito sono di natura psicologica, economica e relazionale, ma anche dipendenti da tossicodipendenza, patologie psichiatriche, violente incomprensioni o volontà di vendetta.

In ogni caso, se la deviazione dell’amore tra i componenti di un nucleo familiare arriva ad un omicidio e non trova alcun ostacolo nella manifestazione della violenza più spietata, anche in ordine agli strumenti di cui si serve, alla futilità delle motivazioni ed all’assenza totale di pentimento, è chiaro che tutti noi abbiamo il dovere di porci delle domande articolate in ordine alle cause profonde che, al di là dei moventi, muovono a simili gesti.

Intanto noi pensiamo che in moltissime famiglie si sia interrotto o quantomeno allentato il processo educativo e quello della formazione valoriale, caratteriale, psicologica, sentimentale ed etica che dovrebbero essere l’asse portante nella costruzione dell’identità e della libertà personale di ogni suo componente.

I rapporti di lavoro, ma anche la superficialità in impegni non essenziali, come pure l’estraneazione nella realtà virtuale attraverso lo schermo del computer, del telefonino o del televisore, determinano spesso una generale assenza di dialogo senza il quale è molto difficile, se non impossibile, mantenere nella famiglia autenticità di rapporto educativo e di relazioni umane profonde.

Si creano allora muri invisibili che impediscono la comprensione reciproca come la conquista di un’indipendenza decisionale e spesso appunto generano mostri.

Ciò che fanno in merito poi i mass-media è di una gravità che a nostro avviso ancora non ci è del tutto chiara.

La violenza e gli esempi di relazioni familiari negative che ci vengono propinate senza risparmio ogni giorno hanno un impatto fortemente diseducante nei confronti delle nuove generazioni e noi che le tolleriamo siamo complici di palinsesti televisivi o di altri prodotti massmediatici o tecnologici che sicuramente creano forti distorsioni della personalità soprattutto in chi ha scarso potere critico. 

La banalizzazione di elementi fondamentali come gli affetti, la stessa vita o la morte porta i giovani, secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli, ad eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dei desideri 

La scuola poi, sempre più orientata quasi esclusivamente all’informazione ed all’istruzione, talora ripiegata su un sapere contenutistico trasmesso più che ricercato, crediamo debba riappropriarsi del ruolo fondamentale della formazione non solo sul piano culturale, ma anche psicologico, sentimentale e dello spirito critico.

Se deleghiamo la genesi dei sentimenti e della coscienza personale ai cattivi maestri, è chiaro che le relazioni umane avranno problemi enormi, costruite come sono sulla banalità di principi assurdi e senza senso.

Le difficoltà di rapporto tra genitori e figli avvengono soprattutto quando questi ultimi vivono la fase adolescenziale.

Il conflitto è parte integrante della crescita dei ragazzi e può facilitarne lo sviluppo purché venga gestito con responsabilità e senza alcuna forma d’istintività.

Crediamo abbia ragione Daniele Novara, responsabile di uno sportello di consulenza pedagogica a Piacenza ed autore di numerose ed interessanti pubblicazioni al riguardo, a sostenere che la violenza non è figlia del conflitto, ma piuttosto dell’incapacità a tollerare le difficoltà ed i contrasti da parte di soggetti con turbe della personalità o problematicità relazionali.

La sua idea di una “Scuola genitori” per conoscere come agevolare i figli a crescere ci sembra davvero interessante in un contesto in cui l’analfabetismo di ritorno può fare gravi danni di natura educativa.

L’uscita dalle fragilità esistenziali nel rapporto genitori-figli ha bisogno ovviamente di una grande capacità reciproca di dialogo che talora necessita di aiuti esterni alla famiglia come quelli dello psicologo, dello psicanalista o più semplicemente di amici, della scuola o di altre agenzie educative come i gruppi sportivi, la parrocchia, i consultori o i centri culturali e ricreativi.

Poiché la psicologia dell’età evolutiva sostiene con certezza che nei giovani la violenza nasce da blocchi nello sviluppo psichico, è del tutto evidente come in un tale ambito, senza permissivismi a forme di libertà distorta o ad atteggiamenti di marginalizzazione, sia della massima importanza la presenza autorevole, ma non autoritaria, dei genitori e della scuola.

È nostra convinzione profonda, anche per il lavoro di trentasei anni da educatori, che certe situazioni di difficoltà esistenziali che generano aggressività siano superabili solo lavorando in maniera certosina a superare in modo non violento i conflitti familiari e sociali.

di Umberto Berardo