“Erdogan in gonnella”
Nel Molise dei veleni c’è una “Erdogan in gonnella” che ingiunge a un giornalista di stare zitto
di Giuseppe Tabasso (da ilbenecomune.it)
14 febbraio 2020
Antefatto – Un’indagine Agcom sull’informazione locale segnala che lo share del TG Telemolise batte quello della RAI e cerco di analizzarne le ragioni in un articolo. Ipotizzo in Telemolise una maggiore familiarità di volti e di cadenza linguistica (“che profuma più di casa”), mentre in RAI la buona dizione è, per contratto, una componente professionale che non profuma di casa. (Giovanni Mascia mi scrive che le pronunce Rai sono pessime. Gli rispondo che la professionalità non si misura su pronunce e cadenze.)
Sul sorpasso di Telemolise ho anche affacciato motivi “tecnici” (i diversi standard di minutaggi) e atteggiamenti “culturali”. Mi è parso ad esempio significativo che la bocciatura del servizio pubblico, oltre al Molise, sia avvenuta anche in Trentino Alto Adige e in Sardegna. Citando De Rita (“il Molise è più isola della Sardegna”) vi ho colto un senso di “insularità” e di ripiegamento nel “molisolamento”. (L’articolo, Telemolise batte Rai. E la Teletrimurti si frega le mani, è rintracciabile su <benecomune.it> , su <primonumero.it> e <laterra.org>).
Tutto è ovviamente condivisibile o meno, ci mancherebbe: il giornalismo è fatto di questo, di polemiche anche durissime e perfino di cattiverie. C’è tuttavia un preciso limite invalicabile sul piano dell’educazione, del saper stare al mondo e della più elementare etica e deontologia giornalistica: quello di non passare mai dalla dialettica all’ingiuria personale.
Ebbene, la direttrice di Telemolise e del Giornale del Molise, Manuela Petescia, travolta da un isterico attacco di leso narcisismo, ha perso la testa e ha travalicato oltraggiosamente quel limite per scendere nel trivio delle offese personali. (Articolo di Manuela Petescia)
Mi definisce “un signore che dice corbellerie per non dire cazzate”, poi storpia il mio cognome e, nell’ebbrezza del suo potere mediatico, crede di potersi permettere un’inciviltà come quella di affermare che “è arrivato il momento che se ne stia muto a godersi la sua dorata pensione di Stato”.
Potreste pensare che una così scomposta reazione nasca da una faccenda di dizioni e cadenze dialettali che non c’entrano con grammatica e sintassi. In effetti la saccente ingiunzione a starmene muto, nasce da ciò che lei sottace del mio intervento e che si riferiva alla danarosa Trimurti Patriciello-Pallante-Ricci che da Ciarrapico in poi detiene il massimo potere mediatico del Molise, quello su quale si regge il casereccio glamour della maliarda di Telemolise.
Fu lei stessa a definirsi “donna ambiziosa e di potere”. Un potere che la inebria e consente a questa Erdogan in gonnella di ingiungere il silenzio a un libero giornalista (pensionato né dorato né di Stato), senza vincoli contrattuali e sudditanze politiche.
Ebbene, questo ignobile comportamento non colpisce me, ma degrada la civiltà giornalistica e la dignità di una categoria. Nella mia lunga vita professionale non ho mai ricevuto né fatto querele, ma dinanzi a inaccettabili ingiurie e a interlocutori di tale livello “dialettico” mi accingo a denunciare la Petescia al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti del Molise. (Preciso che dal 1964 sono stato iscritto all’Ordine del Lazio e che da due anni sono passato all’Odine del Molise per il desiderio di chiudere la mia carriera dove l’avevo iniziata insieme a Gaetano Scardocchia e Federico Orlando.)
di Giuseppe Tabasso (da ilbenecomune.it)