Riflessioni ai tempi di Covid-19
Se prima il problema eravamo noi, adesso il problema continueremo ad essere noi e la nostra “società parassita di massa”
di Fabio Vanni (da lafonte.tv)
21 luglio 2020
In un periodo in cui più che mai tutti si sentono virologi e di riflesso onniscienti, capaci di avere la parola giusta su tutto ed il contrario di tutto, è molto facile cadere nella pura retorica; ma tant’è… voglio prendere parte al gioco anch’io.
Parto dalla frase citata in un articolo pubblicato nel numero scorso della nostra rivista, che recitava “Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. L’ho letta per la prima volta nei primi giorni di lockdown e mi incuriosì, facendomi riflettere, ma poi… la trovai insensata, quasi fosse il solito slogan buttato giù per fare effetto. Perché mai la normalità, il mondo prima del Coronavirus dovrebbe essere il problema?
Se prima il problema eravamo noi, adesso il problema continueremo ad essere noi e la nostra “società parassita di massa” (definizione questa usata del sociologo Ricolfi in un recente articolo pubblicato sul quotidiano Alto Adige). È vero che le nostre imperfezioni e le nostre ansie sono aumentate da quando abbiamo sentito la morte bussare forte al nostro castello di carta ed è altrettanto vero che da questa storia ne usciremo peggiori soprattutto perché avremo più diffidenza verso il prossimo, identificato nell’untore di turno, ma soprattutto perché nel nostro DNA è codificato il lavoro inteso come guadagno, profitto non fine a se stesso ma inteso come potere, non solo di acquisto. La logica è sempre stata quella che il lavoro rende liberi! Non me ne vogliate. Però volendo essere ottimisti, potremmo immaginare una rivoluzione culturale per uscire dignitosamente da questo pandemonio. Ma con un paese con il più basso tasso di laureati d’Europa, e tra quelli con il più alto tasso di dispersione scolastica, sembra piuttosto difficile.
Viviamo in una realtà precaria da decenni, ma ce ne accorgiamo solo adesso, con un sistema scolastico incentrato sul provvisorio, dalla scuola dell’infanzia all’università. Siamo ultimi tra i paesi OCSE per investimenti nella scuola, e un paese dove il 50% della popolazione riduce al minimo la capacità di lettura e di conseguenza l’interpretazione della realtà. Il tasso di natalità è ai minimi storici ormai da anni e la mobilità sociale resta retrograda e ferma a inizio secolo scorso. La scuola dovrebbe essere il vero pilastro della nostra società, dove informare e formare i cittadini di domani, ma non è così. I nostri bambini hanno scoperto sulla loro pelle, in questi mesi, più degli adulti, che questo paese conta poco su di loro!
Volendo continuare ad essere ottimisti dovremmo immaginare un’altra rivoluzione. Sociale, stavolta nel campo della sanità. Settore trascurato volutamente per anni, tra incapacità gestionali e mani sudicie della politica di turno. Ultimo esempio, guardando a livello locale, il possibile centro COVID in Molise che per logica molti vorrebbero a Larino ed invece la solita politica e la becera logica localistica spingono per costituire nel capoluogo Campobasso. Il nosocomio Cardarelli, volendo essere intellettualmente onesti, dovrebbe anzi sfruttare appieno la situazione e chiudere per le sue criticità non solo strutturali, che ne consiglierebbero un totale ripensamento prima della ricostruzione. E con buona volontà, e voglia di lavorare senza rubare, basterebbero due anni.
Continuando ad essere ottimisti potremmo immaginare una rivoluzione culturale persino per la nostra classe dirigente, ma “la pochezza del nostro tessuto imprenditoriale ha mostrato tutte le sue debolezze” (L’Espresso), ed una dichiarazione del leader degli industriali lombardi, prima del lockdown, dice tutto: “ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse nella bergamasca, perché non si poteva fermare la produzione”.
Migliorarsi, anche solo di poco, costa tempo, impegno e fatica e invece noi siamo diventati un popolo di “c..ottimisti” e fin quando la maggioranza di noi non farà altro che seguire gli input delle lobby che guidano le nostre giornate e governano il nostro essere, tutto ciò sarà difficile. E l’Europa, che già prima del Covid era due semafori avanti, ora lo sembra ancora di più perché ha ripreso a correre, mentre noi continuiamo a discutere.
E l’ambiente? A sentir parlare gli italiani, in questo periodo, vorrebbero un’Italia con più attenzione a questi beni comuni e all’ambiente, ma se i presupposti sono quelli evidenziati finora, beh!allora lassame sta’ u’munne come si trova.
Giocoforza l’ambiente presto dovrà farsi da parte per affrontare la crisi economica, come al solito. Intanto abbiamo constatato come gli italiani nel loro “paniere” di materiale consumistico, da gettare ovunque, hanno già inserito mascherine e guanti in lattice.
Non è facile capire gli italiani. Quelli 2.0 ancor di più.
di Fabio Vanni (da lafonte.tv)