• 09/02/2020

La Scozia in Molise

“Attirare i turisti è un desiderio del Molise. È un desiderio che riscuote il consenso, perché il Molise è tra le plaghe più segrete, profonde e meno conosciute del nostro paese.”

di Rossano Pazzagli (da La Fonte, settembre 2020)

settembre 2020

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“Attirare i turisti è un desiderio del Molise. È un desiderio che riscuote il consenso, perché il Molise è tra le plaghe più segrete, profonde e meno conosciute del nostro paese.” Sembrano parole di oggi, invece le pronunciò Guido Piovene alla metà degli anni ’50 del ‘900, durante il suo Viaggio in Italia, un reportage realizzato per la RAI, trasmesso alla radio tra il 1953 e il 1956 e diventato poi un libro ancora utile per capire le risorse, i guai, i vizi, i nodi di quell’Italia stretta tra la ricostruzione e il boom economico, tra lo sviluppo di alcuni poli urbani e l’abbandono di tanti territori del Sud e dell’Italia interna. Problemi che ritroviamo in buona parte ancora irrisolti nella nostra epoca convulsa e tormentata, densa di squilibri territoriali che inevitabilmente si traducono anche in disuguaglianze sociali.

Con quella frase sul turismo si apre il capitolo che Piovene dedicò al Molise quasi 70 anni fa. Piovene era un veneto, giornalista e scrittore; tendeva a guardare il sud con gli occhi del nord e aveva il pallino dei paragoni. In un celebre passo egli paragonò il Molise alla Scozia e all’Irlanda, mentre i monti della Calabria gli sembravano i paesaggi trentini e addirittura della Scandinavia, come se ai suoi occhi l’estremo Nord riaffiorasse sulla punta meridionale della penisola italiana. In Molise Piovene ebbe l’impressione di trovarsi immerso nello sfondo di un dramma shakespeariano. Lui pensava al Macbeth, a noi forse viene in mente anche il dilemma amletico, verso cui ci ha spinto in questi anni il tormentone dell’esistere o non esistere, che in una ormai celebre scritta su un muro di Civitacampomarano fa rima con resistere. Il Molise è uno sfondo ideale per i piedi e per gli occhi, un territorio da camminare e ammirare, una piccola regione dai vasti orizzonti che spingono a pensare alla linea lunga del tempo.

Questo richiamo a Piovene fa un certo effetto oggi, in tempi in cui si parla sempre, anche troppo forse, di turismo, specialmente a valle di un’estate in cui i turisti hanno frequentato come mai prima la regione. Non si è trattato più soltanto del cosiddetto turismo di ritorno da parte di figli o nipoti di questa terra così massicciamente colpita dall’emigrazione lungo più di un secolo. È un fenomeno diverso, mosso dal tendenziale cambiamento della domanda turistica (dal turismo di massa al turismo dell’esperienza) emerso negli ultimi decenni e accelerato dalla pandemia reale e mediatica di quest’anno. Questa ha mostrato al mondo la maggiore salubrità delle aree interne, dei paesi e delle campagne nelle regioni più appartate e ingiustamente marginalizzate dal modello di sviluppo basato sulla concentrazione urbana e sul consumismo. Dal Matese all’Alto Molise, dal Fortore alle Mainarde c’è stata più gente in questa strana estate del 2020, più auto hanno percorso le strade del vecchio Contado, spesso dissestate ma sempre beatamente solitarie. Senza ingorghi, senza affanni, i paesi sono tornati per qualche settimana a ripopolarsi non solo di “propri” figli tornanti, ma di tanti altri italiani e anche qualche straniero che ha sfidato i vincoli di spostamento connessi al covid. I paesi hanno assistito quasi increduli al riempimento, fino ad esaurimento dei posti, delle proprie scarse strutture ricettive, all’affollarsi discreto di ristoranti e agriturismi, alle domande dei viaggiatori più audaci che cercando il tratturo trovano solo i cartelli che lo indicano, senza poterlo vedere.

L’ho sperimentato di persona, viaggiando il Molise nel mese di agosto tra un convegno sulla transumanza e un dibattito sulle aree interne, parlando con gli abitanti stabili o provvisori, incontrando sindaci di piccoli comuni, zingarando in un territorio dal volto rugoso e accogliente, penetrando in quelle pieghe ogni volta che un residente ti chiede di chi sei figlio o perché sei lì, ogni volta che abbandoni la via principale per salire o scendere a un bosco o a una sorgente, quando osservi il mosaico verde e giallo di pascoli e stoppie. Ogni volta che incontri un paese, che appena lo scorgi dietro una curva o dall’alto di un colle sembra mettersi in posa, non tanto per farsi fotografare, quanto per esprimere la duplice ansia dell’abbandono e della voglia di rinascita.

Speriamo. Speriamo che questa scoperta transitoria legata all’emergenza, sia per molti non solo l’occasione per convincersi dell’esistenza del Molise, ma soprattutto per pensare alla ricchezza e alla bellezza di una terra autentica, dissonante, tradizionalissima ma al tempo stesso adatta al nuovo, culla di civiltà e vittima dell’abbandono. L’emergenza sanitaria, più che le politiche o le strategie promozionali, ha spinto tante persone a conoscere il Molise ed apprezzarne i suoi valori, le sue potenzialità. Facciamo di necessità virtù, in modo che non resti un’estate provvisoria, emergenziale appunto. Ciò vale per tutti: per chi è venuto e per chi è restato, per i giovani e per gli operatori, per gli esperti e gli studiosi; e soprattutto per i politici, che devono essere attenti non solo a promuovere, ma anche a governare il fenomeno, domandandosi in primo luogo “Quale turismo?”, provando a disegnare un modello proprio, senza meccaniche repliche altrui. L’obiettivo generale dovrà essere quello di riuscire a fare turismo senza diventare una destinazione turistica nel senso classico del termine. È questa la sfida che ci attende, anche riprendendo la lontana suggestione di Piovene, tornando a inserire il Molise in quel personale viaggio in Italia che ciascuno di noi a suo modo dovrebbe fare nella vita. 

di Rossano Pazzagli (da La Fonte, settembre 2020)

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