• 04/26/2017

Il male nella realtà esistenziale

È insito e congeniale all’essere umano come “male radicale” o come “colpa originale”

di Umberto Berardo

4 luglio 2017

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Assodato che il male esiste ed è parte della nostra esistenza, nell’approccio filosofico abbiamo potuto seguire le disquisizioni di tanti pensatori sulla sua definizione.

Il male non è “sostanza” dell’essere, come sostenevano Platone, Aristotele o Sant’Agostino ma solo un “accidente” appartenente al genere delle qualità dell’essere stesso? 

Non ha una consistenza autonoma, ma è solo privazione del bene per dirla con San Tommaso d’Aquino?

È insito e congeniale all’essere umano come “male radicale” secondo il pensiero di Kant o come “colpa originale” nella teologia cristiana oppure, come sostiene Rousseau, la persona nasce ed è buona, ma l’inclinazione alla malvagità deriva dagli ordinamenti sociali?

L’esperienza del male può essere superata dalle “illusioni” di foscoliana memoria o ci spinge solo all’angoscia, al pessimismo, al dolore ed alla disperazione, secondo le tesi di Kierkegaard, di Schopenhauer o di Leopardi, o possiamo, come suggerisce Montale nella lirica “Spesso il male di vivere ho incontrato”, prenderne solo atto nel corso degli eventi umani e tenere un atteggiamento di superiore distacco a mo’ di statua, nuvola o falco seguendo le immagini metaforiche del poeta?            

Forse la rappresentazione più cruda della malvagità presente nell’esistenza la troviamo nelle opere di Dostoevskij ed in “Salomè”, la celebre tragedia di Oscar Wilde.

Se ci addentriamo sulle tipologie del male nella realtà esistenziale e proviamo ad entrare con la riflessione su quello ontologico, fisico, psicologico, morale, sociale e su quello estremo della morte, ma soprattutto se proviamo ad interrogarci sulla loro origine, probabilmente il cervello va in fumo.

Molti forse, come avviene in noi, di fronte alla domanda sull’origine del male restano fermi alla riflessione di Sant’Agostino nelle “Confessioni” dove scrive “Mi chiedevo donde il male e non sapevo darmi risposta”.

Il male è di certo nel cosmo e nelle condizioni dell’esistenza la quale non fluisce sempre in maniera positiva ed è attraversata da forze che distruggono, devastano, uccidono. 

Il male è sicuramente un concetto che si determina in maniera oggettiva nell’ambito della società  e delle relazioni umane.

Spesso, come sostiene giustamente Vittorino Andreoli nel recente saggio “La gioia di vivere”, “il male è il presupposto del potere” che arriva addirittura a banalizzare il bene dando l’illusione di “controllare il male, mentre di fatto lo produce e lo sostiene”.

Rimane aperta la discussione se il garante di tale oggettività debba ricercarsi nei punti di riferimento per la sua definizione all’interno della società e della storia, secondo una logica di tipo relativistico, o se invece la barra di orientamento nelle scelte di vita debba cercare la relazione con un Dio che ci mette al riparo dalla presenza del male attraverso principi etici condivisi e l’annuncio della liberazione dal male per sempre attraverso la resurrezione.

C’è un male cosmico e perciò metastorico rispetto al quale spesso ci sentiamo e siamo impotenti, ma ce n’è anche uno profondamente legato all’esistenza reale che è frutto delle scelte umane rispetto al quale possiamo agire nella scelta per evitare che s’infiltri come il serpente malefico del libro della Genesi (3, 1-17)  nella vita e ne distrugga la bellezza immensa.

Nella Bibbia questo non è il solo riferimento dell’insinuazione del male nella realtà, ma lo ritroviamo più avanti con l’episodio di Caino ed Abele e la corruzione dell’umanità sempre in Genesi (4, 1-16 e 6,5-12 ) e in Esodo con il lungo racconto della liberazione dalla schiavitù.

Nel concetto di creazione intesa in linea evoluzionistica, propria, a noi sembra, anche dell’enciclica “Laudato sì”, il limite ed il male sono nel mondo che ovviamente è incompiuto e sempre bisognoso di sviluppo e miglioramenti in una perfezione mai completamente raggiunta. 

Nella storia l’uomo si è fatto spesso creatore del male che ha determinato sofferenza, dolore e morte.

Non scenderemo in esemplificazioni perché di tragedie questo mondo è stato pieno in tutti i secoli.

L’evoluzione della civiltà, grazie soprattutto ai grandi principi etici che si sono fatti strada, alla deterrenza dei codici penali ed alla diffusione della cultura, ha consentito in diverse occasioni di limitare e ridimensionare il male.

Pensate ad esempio al contributo dato in tal senso dal concetto Kantiano di “bene supremo” espresso nelle formule dell’ “imperativo categorico” con le quali ci invita a trattare l’umanità sempre come fine e mai come mezzo.

Oggi la perdita di autorevolezza dell’educazione familiare, di quella scolastica e dell’insegnamento civile e religioso e la diffusione continua di messaggi di violenza da parte dei mass-media e del Web sta progressivamente portando ad una perdita di consapevolezza sul male che spesso si compie perfino senza coscienza successiva del pentimento.

È chiaro in tal senso che la colpa del male, che pure va sanzionata a livello di responsabilità personale per difendere la collettività, non appartiene solo agli individui, ma per certi aspetti all’intero sistema sociale che deve farsi carico soprattutto della diffusione della conoscenza del bene.

Questo può e deve avvenire non solo a livello teorico, ma soprattutto con la diffusione di messaggi ed esempi di quel bene che dell’esistenza deve essere la consistenza, ma che occorre sempre costruire con tenacia rimettendo al centro dei comportamenti l’onestà ed il rispetto per l’altro e per i beni naturali.

Ci piace concludere queste riflessioni con le parole di papa Benedetto XVI tratte dall’enciclica Spe Salvi.

« Dobbiamo fare di tutto per superare la sofferenza, ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità – semplicemente perché non possiamo scuoterci di dosso la nostra finitezza e perché nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che – lo vediamo – è continuamente fonte di sofferenza. Questo potrebbe realizzarlo solo Dio: solo un Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre in essa. Noi sappiamo che questo Dio c’è e che perciò questo potere che « toglie il peccato del mondo » (Gv 1,29) è presente nel mondo. Con la fede nell’esistenza di questo potere, è emersa nella storia la speranza della guarigione del mondo. Ma si tratta, appunto, di speranza e non ancora di compimento. »

di Umberto Berardo

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