• 06/23/2022

“L’ultima corsa”

L’ultimo libro del larinese Antonio Pastorini scruta la società ed ammonisce i ‘naviganti’

di Claudio de Luca

23 giugno 2022

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L’ennesima fatica di Antonio Pardo Pastorini (“L’ultima corsa”, 100 pagine, edito dal Gruppo ‘Albatros’ di Roma) compone un libro con una struttura espositiva lineare, maturata in uno stile veristico e gradevole. L’Autore è larinese, ma vive a Savignano sul Panaro (Modena). Ingegnere elettronico, ha esordito, sin dal 1984 (“Ombre di creta”, Oceania edizioni di Napoli), con una raccolta di racconti che gli permise di prevalere nel ‘Premio d’Annunzio’ dell’Accademia toscana ‘Il Machiavello’. Nel 1998 pubblica “Allupoallupo” (Monduzzi editore, Bologna); e, nel 2012, “Il coraggio degli Italiani” (Palladino, Campobasso), che gli permise di prevalere nel concorso letterario ‘Protagonisti’. Nel 2018 propose “Un altro mondo è già passato”, menzionato – per merito – nel concorso “Andronico” di Roma. Ed ora è arrivato questo romanzo esistenziale che utilizza la letteratura intesa quale strumento di denuncia della crisi epocale e generazionale. 

Tutti si fanno un pieno di domande: l’ambiente è sano? La povertà è superabile? Si può risolvere il problema dei migranti? E quello delle differenze culturali? In che modo si può ristabilire la comprensione tra le diverse religioni? La società è complessa ed è difficile formulare risposte definitive al riguardo. I modelli tradizionali (liberismo, conservatorismo e socialdemocrazia) non hanno risposte per una tale complessità. “I ‘social’ – dice Pastorini – sono l’arena dove abili pifferai magici orientano il consenso con macchine del fango e ‘fake-news’, costruite per adescare il voto di chi cerchi prove alle proprie errate convinzioni e ad ogni intimo pregiudizio. Insomma – conclude mestamente – siamo alla degenerazione della democrazia”. È questo l’humus’ da cui trae origine “L’ultima corsa” con cui l’Autore prova ad utilizzare la pagina come strumento di denuncia della crisi epocale e generazionale. “Il personaggio centrale – dice l’Autore – è un anziano filosofo, solo ed angosciato per l’avvenire che si prospetta; si tratta di un disadattato, di un ribelle ostinato a cui stanno a cuore la sorte dell’Italia e quella dei valori democratici. Insomma di uno che crede di potere sferrare un attacco digitale ai leoni da tastiera ed agli avvelenatori di pozzi. A mano a mano la storia si popola per il tramite di un caravanserraglio di tipologie umane; ma il nostro filosofo non risparmia manco sé stesso. Anzi, impietosamente, distrugge i miti della sua gioventù, combatte contro le ‘parole malate’, avvelenatrici di un’intera generazione di materialisti. L’esito è il silenzio. Dismessi gli ‘astratti furori’ di vittoriana memoria, non rimane che la contemplazione disincantata (ma nel contempo compassionevole) della realtà fattuale”. Il lettore finisce con l’immergersi in una narrazione corale, nelle vivide ombre di fantasmi dominanti il tempo presente, mentre il dialogo s’intesse tra l’anziano filosofo e gruppi di avventori in un locale, storditi dalla comunicazione di massa e fanatizzati dalle tecnologie digitali.

“I temi che fanno da sfondo alle vicende narrate – conferma Pastorini – sono l’uso, mercantesco ed eversivo, dei social-media; la deriva della democrazia, ridotta a manipolazione della credulità; l’inconsistenza del populismo; la fine del lieto fine occidentale e l’appiattimento della politica, sottomessa alla logica del consenso; la disgregazione dei legami e delle relazioni, causata dall’ossessione del profitto personale. Dalle vicissitudini del filosofo ribelle emerge un monito: a che serve democratizzare l’intelligenza artificiale, se quella naturale è sempre in balia dell’invidia, dell’ambizione e della vanità?”. E la risposta alla complessità “non potrà arrivare, senza la necessaria mutazione interiore, che dai nuovi modelli visti come antidoto ai veleni delle passioni individuali”. Ed ecco perché il romanzo di questo larinese va letto, pur presentandosi come un pugno nello stomaco. “L’ultima corsa” è un’opera suggestiva perché – chiosa Pastorini – “invoca il mistero di un approdo, la paura di perdere la corsa e l’incertezza tra il prenderla ed il lasciarla passare”. Diviso tra imprenditoria e letteratura, l’Autore (che è un tecnico) ha sempre provato a narrare per dire un ‘quid’; e si è calato negli abissi della coscienza o per insoddisfazione o perché ha avvertito piacere nel volere sorprendere la gente. Al lettore comune il Nostro si presenta come quei carovanieri del deserto che, tuttora, credono nella potenza della parola, illudendosi di poterne smuovere le coscienze. È per questo che non gli interessa la pura affabulazione. Pastorini sembra prediligere una ‘letteratura di vedetta’ che pretende di scrutare gli orizzonti della società per mettere in guardia i naviganti.

di Claudio de Luca

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