• 10/05/2022

“La promessa”

“La Promessa. Un pastore, la guerra, un amore”. Il Romanzo di Gianlivio Fasciano: un progetto di lettura, di conoscenza e di memoria che nasce dalla cultura custodita ancora in uno dei tanti piccoli paesi molisani 

di APS La Terra

5 ottobre 2022

“Chissà se esistano davvero le ragioni di un romanzo. Forse esistono più i torti di un romanzo: quello che non si è riuscito a dire, quello che si è scritto, come lo si è fatto ed attraverso quali compromessi. Persino perché la lingua subisca delle virate rispetto al pensiero iniziale.
Eppure di una cosa sono certo. E la posso dire solo perché non ho avuto il coraggio di leggere il romanzo una volta andato in stampa. L’ho scritto immaginando il futuro.
O meglio, ho scritto questo romanzo pensando a come il protagonista potesse riuscire ad incidere con le proprie azioni sul futuro. L’ho ridotto ad un pastore che, almeno astrattamente, poco avrebbe potuto chiedere al domani, così come poco avrebbe potuto fare per risollevarsi dalla propria condizione. Eppure il protagonista ha agito. Lo ha fatto senza mai giudicare e senza lamentarsi, nonostante i pericoli, le ingiustizie, la sofferenza di una guerra, la violenza dello Stato. Adesso posso chiedermi perché lo facesse. Sembra una storia impossibile. Non lo è. Lo ha fatto davvero. Ma a guardarci bene intorno tanti lo hanno fatto.
Ecco. È in questo momento che ho capito come affrontare il futuro. Ho capito quanto l’imperfezione, il sacrificio, l’impegno, possano incidere nelle azioni dell’uomo che non ha soluzioni, non le conosce. Che magari è impegnato in una guerra o solo nella ricerca di un lavoro.
Il motivo è che Romolo riserva nelle sue mani grandi e nel naso pizzuto attimi di disperazione a cui non si piega mai. Romolo guarda avanti perché non ha tempo. Non ha tempo per lamentarsi perché vuole fare il pastore, vuole sua moglie, vuole imparare ad essere padre. Vuole vivere.
È questa la verità. Romolo agendo non si perde. Soprattutto Romolo esce indenne da un periodo di ideologismi e morali e propaganda perché è un uomo integro. L’integrità è il suo scudo nonostante lo Stato non gliela riconosca.
È tutto quello che volevo. Cercare di capire il futuro. Il futuro di un uomo nello Stato.
È anche la ragione per cui leggerò questo romanzo perché è una risposta imperfetta con una linguaccia sporca, piena di pulci, vera.” (l’Autore)

Premessa
La Iod Edizioni, da anni, si occupa di pubblicare opere di Letteratura civile, così come definita da Leonardo Sciascia Parola che interpreta, trasfigura e giudica la realtà.
L’opera di Gianlivio Fasciano dal titolo “La Promessa. Un pastore, la guerra, un amore” si inserisce nella tradizione del ‘900 della letteratura di impegno civile.
Gianlivio Fasciano affronta con maestria e sensibilità il tema della vita quotidiana, della guerra e dell’amore, attraverso il racconto di Romolo, un pastore di Mastrogiovanni costretto a diventare un soldato del Sud nella seconda guerra mondiale, ma che desiderava tanto rimanere solo un pastore.
La scrittura di Gianlivio Fasciano La scrittura rappresenta per l’autore la sua isola libera, il luogo nel quale dà voce al fanciullo che porta in sé. L’opera è tratta da una storia vera, dannatamente attuale la vicenda in se stessa.
La Promessa
Romolo Di Meo del 1921, nasce a Mastrogiovanni, una frazione di Filignano, in provincia di Isernia nel Molise, ed è la voce narrante della sua storia di pastore senz’altra ambizione di recarsi sul Monte Pantano con le vacche, i vitelli e qualche capra.
Per introdurre il romanzo è indispensabile parlare dello stile. Lo si potrebbe definire verista, neo-realista nel senso autentico dell’espressione. Leggendo le pagine del romanzo si ascolta Charles Dickens e il suo assunto “Di fatti c’è bisogno nella vita. Piantate nient’altro, estirpate tutto il resto. Solo con i fatti si educano le menti di animali razionali, nient’altro riuscirà mai loro di alcuna utilità”.
Il linguaggio di Romolo
Romolo non ha tempo per pensare a ciò che non ha, si concentra su ciò che può fare con quello che ha. L’Autore, pur evocando con il suo stile le correnti del verismo, del neo-realismo e del romanzo epico, va oltre. Si caratterizza per una lingua usata con precisione e misurata, contaminata da un lessico di termini dialettali, coniato su misura per i protagonisti della storia.
Romolo, Tata e Tatella, – nel sud esisteva l’abitudine di chiamare i genitori con questi lemmi che sono la duplicazione della sillaba ‘ta’, consueta nel balbettio e nel richiamo dei bambini -, le sorelle del pastore e tutti i personaggi si esprimono nel loro gergo e aiutano noi lettori a comprendere a fondo la loro realtà.
Un buon pastore tiene il tempo meglio di un pianista
L’autore ha scritto un romanzo studiando usi, costumi, abitudini della gente che ha conosciuto da piccolo, in epoca molto più recente. Si è documentato sul mondo contadino, su quanto sia importante il tempo nello scandire le fasi dell’esistenza: “un buon pastore tiene il tempo meglio di un pianista”. Il ragazzo impara subito che sono la vita e il tempo a decidere per gli uomini, per i contadini in particolare.
Pure le pecore lo capiscono che le bocche sono sorelle quando si ha fame L’Autore non rinuncia a voli di struggente dolcezza, alle aperture d’ali, sufficiente citare: “pure le pecore lo capiscono che le bocche sono sorelle quando si ha fame”, ma torna sempre sui passi del vero per non tradire il focus della vicenda. Il padre, Tata, che è un reduce della Grande Guerra e nel conflitto ha avuto il polso trapassato da un proiettile, rappresenta la quercia dell’infanzia. (Iod Edizioni)

di APS La Terra

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