• 04/26/2017

Migrazione, sviluppo e aree interne.

Quale strategia per il Molise?

di  Chiara Cancellario (da “il bene comune” di Ottobre)

27 ottobre 2017

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L’accoglienza e l’integrazione dei migranti, a livello comunitario ma anche a livello locale, rappresentano il banco di prova dei singoli territori e di quelli molisani innanzitutto, per ripopolare le aree interne abbandonate e ridisegnare in quelle zone una prospettiva di sviluppo.

In questa direzione si muove il progetto SPRAR di Castel del Giudice partito il primo luglio.

L’attuale crisi migratoria, che vede da un lato un aumento dei flussi, dall’altro un’incapacità di gestione condivisa del fenomeno da parte degli Stati membri dell’Unione europea, ha determinato conseguenze non solo a livello internazionale, ma anche a livello locale. La crescita del numero dei centri di accoglienza, dei progetti SPRAR e, quindi della presenza straniera sui territori, ha posto diverse domande agli amministratori, in particolare sulla corretta gestione dell’accoglienza, sull’impatto sulla popolazione locale, e quindi sulle possibilità di integrazione.

Per diverse aree del paese, soprattutto nelle così dette “aree interne”, ovvero “quella parte maggioritaria del territorio italiano caratterizzata dalla significativa distanza dai centri di offerta di servizi essenziali” (definizione del CIPE), si sta affermando l’idea che l’integrazione e l’accoglienza possano portare sviluppo e risolvere alcune delle problematiche strutturali presenti, come lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione.

Questa linea di pensiero non è sbagliata di per sé, ma si può rivelare incompleta e fallimentare se non esiste un’idea pre-esistente di sviluppo orientata al lungo periodo e che includa i cittadini stranieri in strutture e servizi – e quindi opportunità di lavoro – già pianificate e/o esistenti.

Inoltre, un’idea di sviluppo “inclusivo” che guardi anche alle fasce più deboli e bisognose, dovrebbe avere come riferimento non solo la “crescita economica”, ma il così detto sviluppo umano.

L’UNDP, il programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, definisce lo sviluppo umano come la possibilità di “accrescere la libertà delle persone di condurre una vita lunga, sana e creativa, di lavorare alla realizzazione di altri obiettivi a loro cari, e di partecipare attivamente alla promozione di uno sviluppo equo e sostenibile in un mondo condiviso. Le persone sono sia i beneficiari sia la forza motrice dello sviluppo umano, tanto a livello individuale quanto di gruppo”.

La differenza tra crescita economica e sviluppo è, quindi, essenziale. Si parla di crescita in riferimento alla quantità di beni e servizi disponibili, mentre lo sviluppo comprende anche elementi di qualità della vita di natura sociale, culturale e politica.

Date queste premesse, bisogna fare un’ulteriore distinzione tra le “tipologie” di coinvolgimento e valorizzazione del ruolo dei cittadini stranieri in base, soprattutto, alla loro “storia migratoria”, che include le motivazioni di permanenza nel nostro paese, il livello di istruzione e la posizione economico-lavorativa.

In termini generali, l’obiettivo principale dell’inclusione di cittadini stranieri è quello di contribuire alla così detta “integrazione pro attiva” che coinvolge sia i residenti del territorio di accoglienza che i cittadini stranieri, cosi come i rispettivi territori.

Sono diverse le strategie che sono state adottate in questo senso nel nostro paese. Tra le più efficaci, il così detto co-sviluppo, strategia di intervento volta a creare le condizioni ideali per la realizzazione di misure di sviluppo condiviso che coinvolgano gli enti locali dei paesi di accoglienza, di origine e soprattutto il migrante stesso, che ha un ruolo attivo sia come singolo sia “in rete” quindi attraverso le tante associazioni o reti di associazioni presenti sul territorio.

Il co-sviluppo prevede un ruolo di primo piano di regioni e comuni, soprattutto attraverso la creazione di partenariati territoriali, che insieme a politiche migratorie inclusive, favoriscono ancora di più l’integrazione sociale, culturale ed economica. In alcuni casi questo modello di cooperazione può favorire la creazione di piccole e medie imprese transnazionali, in un’ottica di promozione della migrazione circolare e di ritorno. Il bando di co-sviluppo del Comune di Milano è, in questo senso una buona pratica nazionale. Infatti, il comune di Milano non solo si impegna a co-finanziare iniziative di sviluppo di associazioni di migranti, ma ha predisposto un sistema di attività di accompagnamento, sostegno e formazione rivolto ai beneficiari, per la corretta gestione e implementazione dei progetti.

È chiaro che interventi di co-sviluppo come quello del Comune di Milano sono efficaci perché coinvolgono cittadini di origine straniera residenti in Italia da diverso tempo che hanno avuto modo, negli anni, di integrarsi nel tessuto sociale ed economico della città e della regione.

Per molte regioni, però, il co-sviluppo non costituisce né una pratica di intervento né una strategia da affiancare a progetti già esistenti di sviluppo locale.

Eppure, soprattutto per le aree interne e per il Sud Italia, il co-sviluppo potrebbe risultare una strategia di intervento efficace nel momento in cui affianca progetti e programmi di sviluppo locale di lungo periodo. Questa non solo è una politica innovativa, ma anche una necessità: nonostante le regioni del sud registrino percentuali inferiori di stranieri residenti per motivi di lavoro, la crescita nazionale dei permessi per asilo e protezione internazionale è maggiore rispetto al centro e al nord Italia. In diverse province del Sud e delle Isole, ad esempio, il peso dei cittadini non comunitari presenti per asilo o protezione umanitaria supera il 20% sul totale dei permessi di soggiorno. Inoltre, Sud ed isole ospitano il 52% dei posti SPRAR, equivalente al 60% del totale dei progetti approvati (dati ANCI aggiornati al 1 aprile 2017).

In questo contesto, l’integrazione sostanziale dei cittadini stranieri può far parte di questa strategia, e in alcune aree del Sud Italia sono stati intrapresi percorsi di accoglienza volti a questo scopo.

Alcuni comuni, infatti, hanno saputo progettare l’innovazione sociale partendo proprio dall’accoglienza dei cittadini stranieri più vulnerabili, rifugiati e richiedenti asilo.

L’esempio mediaticamente più noto è quello di Riace, in Calabria, dove il sindaco Domenico Lucano ha iniziato un percorso di accoglienza offrendo ai migranti delle case rimaste abbandonate, favorendo l’integrazione scolastica, investendo sulla formazione lavorativa con corsi presso laboratori artigiani.  Riace è un esempio virtuoso di una politica di integrazione “strategica”: integrare, a Riace, vuol dire anche evitare la chiusura delle scuole, favorire l’occupazione nel settore dei servizi sociali e della formazione, evitando l’emigrazione verso aree maggiormente sviluppate economicamente.

Il Molise attualmente vede la presenza di 12.034 cittadini stranieri (Dati ISTAT, 2016), che corrispondono a quasi il 4% dell’intera popolazione regionale. La maggioranza della popolazione straniera (il 60%) è di origine europea, mentre il 21,7% proviene dai paesi nordafricani e il 13,2% dall’Asia.

La nostra regione è attiva nella gestione dell’emergenza con 15 progetti SPRAR attivati nei comuni, che ospitano 526 beneficiari, di cui 39 minori (dati ANCI aggiornati al 1 aprile 2017).

Questi dati dimostrano che la presenza straniera sul nostro territorio è significativa da un punto di vista demografico, e le percentuali, in linea con l’andamento nazionale, sono destinate ad aumentare.

Inoltre, è significativo notare che i numeri dell’accoglienza tramite il sistema SPRAR sono più alti rispetto a quelli di regioni più popolose (Abruzzo, Sardegna, Trentino, Friuli, Umbria), un dato che fa riflettere circa la volontà delle nostre municipalità ad avviare percorsi di integrazione.

Ovviamente, la composizione demografica della regione, il sistema economico e lo spopolamento sono problematiche considerate “storiche” e che necessitano di una strategia volta al lungo periodo.

Di recente, l’ultimo finanziamento dei progetti SPRAR, approvato il 29 maggio 2017, ha concesso un finanziamento al comune di Castel Del Giudice, in Provincia di Isernia, dove è stato approvato un progetto che concilia proprio l’integrazione e lo sviluppo locale.

Castel del Giudice è stato definito da Legambiente un modello di rinascita dei piccoli borghi, e il sindaco Lino Gentile ha vinto, nel 2014, il Premio Vassallo, promosso da ANCI, da Libera e Legambiente destinato ai “sindaci della bella politica”. Il piccolo comune è noto per le numerose iniziative volte allo sviluppo della comunità: il recupero di Borgo Tufi tramite l’albergo diffuso, l’azienda MELISE e la RSA San Nicola sono noti in tutta la regione come pratiche eccellenti.

In questo contesto, il progetto Sprar approvato, si rivolge a quattro giovani famiglie, (14 persone), ospitate in quattro appartamenti dislocati per il paese. Si è lavorato, già prima dell’inizio del progetto, all’inclusione delle famiglie nella vita del paese attraverso un percorso di integrazione rivolto ad una conoscenza reciproca con gli abitanti di Castel del Giudice, di cui, riferisce l’operatore del progetto, le famiglie stanno apprezzando la solidarietà e l’ospitalità. Inoltre, le attività previste, in particolare stage e tirocini formativi, sono rivolti proprio all’inclusione nel tessuto economico e nelle attività di sviluppo del territorio, promuovendo quindi la loro integrazione sul lungo periodo, che non guarda ai beneficiari dello Sprar come “ospiti” ma come cittadini portatori di valore aggiunto per la comunità.

Il Bene Comune seguirà il progetto SPRAR di Castel del Giudice, partito il primo luglio, proprio al fine di evidenziare le sinergie tra politiche di accoglienza e di sviluppo volte all’integrazione, e le potenzialità non solo per la zona di Castel del Giudice, ma per l’intera regione.

di  Chiara Cancellario (da “il bene comune” di Ottobre)

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