• 09/06/2024

Missionario da 60 anni

25 Ottobre 1964 – 25 Ottobre 2024: 60 Anni di Sacerdozio Missionario

di p. Antonio Germano Das,

6 settembre 2024

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Alcuni di noi superstiti di quel drappello di 25 baldi giovani, che nel lontano 25 ottobre del 1964 furono ordinati presbiteri per la missione, trovandoci occasionalmente in Casa Madre, qui a Parma, abbiamo pensato di commemorare in anticipo in questa domenica 8 settembre la ricorrenza del nostro memorabile sessantennio.
1. IL PROFUMO DELLA ROSA. Colgo lo spunto da un aneddoto che avevo letto sulla famosa rivista indiana di teologia Vidyajyoti Journal of Theological Reflection poco più di un decennio fa per commemorare questo sessantennio. Cari amici, come ben sapete, nella parte del mondo dove io vivo la missione di Gesù da più di 47 anni, la verità viene narrata in parabole, che in lingua bengalese sono chiamate upoma kahini o golpo. Anche Gesù, che apparteneva al mondo orientale, si esprimeva in parabole. Eccovi allora l’aneddoto: “I discepoli erano tutti presi dalla discussione sul detto di Lao-Tzu: QUELLI CHE SANNO NON PARLANO, QUELLI CHE PARLANO NON SANNO. Quando il Maestro entrò, i discepoli gli chiesero che cosa le parole significassero. Il Maestro disse: chi di voi conosce la fragranza di una rosa? Tutti la conoscevano. Allora il Maestro disse: esprimetela in parole! I discepoli rimasero in silenzio”. L’aneddoto esprime molto bene la situazione in cui mi trovo in questo momento mentre mi accingo a percorrere a ritroso il mio sessantennio: l’esperienza non si racconta, la si vive!
2. MISSIONE FA RIMA CON PASSIONE e trova la sua formulazione espressiva nel grido di San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: “Caritas Christi urget nos” (2 Cor.5:16), che fu poi l’anima dell’audace progetto per la missione del nostro fondatore San Guido M. Conforti. Il nome missione trova oggi spazio soprattutto nelle tavole rotonde delle discussioni teologiche, ma la spinta missionaria, come intesa da San Paolo e fatta propria dal nostro Fondatore, si è molto affievolita, se non addirittura spenta. Era proprio la passione per il Cristo che ti teneva inchiodato sulla riva del fiume Kopotokko in balia delle intemperie e dei cicloni per 12 anni senza corrente, senza telefono e senza mass media. Puoi chiamare questa retorica o mistificazione della missione, per me si tratta invece della storia di un’avventura d’amore, al cui centro c’era Lui, che ti sosteneva e di cui avvertivi la presenza. “Signore, tu ci sei; manifestati a me. Se tu ti manifesti, io vivo!” (Borodol,31.08.1978). “Io sono qui, perchè tu sei qui con me e mi riempi di gioia! Se tu fossi lontano da me, io fuggirei!” (Borodol, 02.09.1979). Ma i tempi sono cambiati. Nel corso della storia le rivoluzioni ed i cambiamenti epocali non si contano e ai nostri tempi si susseguono ad un ritmo impressionante. Nel frastuono e nella frenesia dei cambiamenti è ancora avvertibile il grido di San Paolo, fatto proprio dal nostro Fondatore?
3. MISSIONE COME ESODO. La chiamata alla missione ci colloca sul sentiero di Abramo, padre di quelli che credono e si affidano ed e’ innanzitutto un uscire dalla propria terra. Terra, nel caso nostro, ha un ampio significato semantico, a partire da quello geografico del paese dove si è nati ed abbiamo assorbito lingua, religione, cultura e tradizioni, fino a quello metaforico della terra della tua personalità, del mondo delle tue idee e convinzioni. Il primo esodo, quello dalla terra dove si è nati, fa soffrire all’inizio, ma e’ una sofferenza che viene subito assorbita e rimane un ricordo isolato e nostalgico. Il secondo esodo, invece, quello dalla terra del nostro io e del nostro modo di pensare e di agire non finisce mai e ci accompagna in tutto il tragitto della vita. Se al primo esodo non tiene seguito il secondo esodo, la missione va incontro al fallimento. Questo secondo esodo ci permette di attuare la missione ad extra, che è la seconda caratteristica, che ci costituisce Saveriani, accanto ad gentes e ad vitam. L’attitudine dell’uscita dal nostro io ci permette di entrare in punta di piedi nel paese in cui siamo chiamati a rendere presente la missione di Gesù, senza presunzione o pretesa di insegnare, ma con la precisa coscienza che imparare la lingua del popolo, conoscere storia, cultura e tradizioni sono l’ABC della missione. Lo slogan di una volta era “Essere apostoli, conservando dentro sempre l’attitudine del discepolo”!
4. MISSIONE AD GENTES. Una volta all’orizzonte della chiamata alla missione figuravano solo i popoli che non conoscevano Gesù e reclamavano il diritto a conoscerLo. Da qui nasceva l’urgenza della partenza per la realizzazione della missione. Oggi l’orizzonte si è accorciato, perchè, dicono, i popoli dell’ad gentes si trovano a casa nostra e non c’è bisogno di uscire per andare a trovarli. Il fenomeno dell’emigrazione di massa in questi ultimi decenni ha sconvolto i parametri del modo di pensare e di agire nel mondo occidentale, coinvolgendo anche la Chiesa e la sua missione. A riguardo è in atto un ampio dibattito, degno di grande attenzione. Ma, come missionari ad gentes, la nostra posizione dovrebbe rimanere chiara e netta: il problema riguarda la chiesa locale, che, come è stato affermato dal Concilio Vaticano II, di sua natura è missionaria. Questa verità ha trovato conferma nello slogan di qualche anno fa: “Battezzati? Quindi Inviati!” A noi, come Saveriani, occorre conservare intatta l’identità del carisma ad gentes, che richiede l’uscita dalla propria terra e della propria cultura.
5. MISSIONE COME IDENTIFICAZIONE COL POPOLO A CUI SI È INVIATI. Nel 1979 tracciando un breve profilo di p. Serafino Della Vecchia, Mucider Father (il padre dei Muci), scomparso a soli 52 anni di età, scrivevo: “Il fatto fondamentale della vita missionaria di Serafino è stata l’identificazione con la sua gente secondo quel precetto di vita apostolica che risale a S. Pietro: assumere dall’interno e fare propria la fisionomia del gregge (1 Pt. 5,2)”. Eravamo nel secolo scorso, ultimo squarcio del secondo millennio. Quasi all’inizio del terzo millennio, il 10 dicembre del 2006 è una data particolarmente significativa per me. Ricorreva la Giornata Mondiale dei Diritti Umani, celebrata con enfasi dalla nostra gente Das. Per chi non lo sa, Das è il nome con cui vengono designati all’anagrafe i fuori casta della zona dove si trova la Missione di Chuknagar. Das in lingua bengalese significa schiavo ed è come uno stigma che segna la fronte della nostra gente, come a dire: Tu sei schiavo e schiavo devi rimanere. Ora, in quel 10 dicembre del 2006, insieme ad ad una fola sterminata di Das, celebravamo la ricorrenza nella cittadina di Monirampur in provincia di Jessore. Quando toccò a me il turno di parlare, esordii in questo modo: “Celebriamo la Giornata dei Diritti Umani, orbene, dopo tanti anni che io sono in mezzo a voi, penso di aver acquistato anch’io un diritto”. Ci fu un momento di silenzio. Sembrava che mi domandassero: “Sei di pelle bianca, quale diritto devi ancora acquisire?” Continuai: “Si, ho acquisito il diritto di chiamarmi come voi Das”. Vidi allora che i loro occhi si illuminarono, brillarono di gioia e mi accolsero con uno strepitoso battimani. Da allora in poi sono Antonio Germano Das.
6. MISSIONE AD VITAM. L’ultimo respiro è per la missione! Forse ci si dimentica, ma bisogna tenerlo sempre a mente che per noi Saveriani la vita consacrata è scandita oltre che dai voti di povertà, obbedienza e castità, anche dal quarto voto della missione. Si corre quando si è giovani, affrontando con entusiasmo situazioni spesso difficili, con il rischio anche di sbagliare. La corsa si attutisce con l’età matura, quando si guarda alla realtà con disincanto. Subentra la quarta età, che è quella che mi riguarda, quando c’è bisogno della terza gamba, che è il bastone, per muoversi. Si vorrebbe correre come una volta, ripercorrere le strade fangose nella stagione delle piogge e polverose nella stagione asciutta, riprendere in mano quello che era nel sogno di realizzare e non fu realizzato, ma la terza gamba non lo consente! Allora ci si rende conto che sei entrato nella fase finale della missione, che trova il suo apice nella kenosis, nel graduale scomparire per l’invocazione finale: Maranatha, Vieni, Signore Gesù!

di p. Antonio Germano Das, sx. antoniogermano2@gmail.com

lì 6 settembre 2024

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