• 11/19/2024

La casa della “cultura”

di Francesco Manfredi Selvaggi

di Francesco Manfredi Selvaggi

19 Novembre 2024

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La nostra città è stata individuata quale capoluogo della Provincia di Molise con atto regio, una scelta dettata da ragioni innanzitutto geografiche, la sua baricentricità nel territorio regionale. La sua supremazia sul resto della nostra terra non deriva dal ruolo svolto di sede di Diocesi come è successo per altre realtà urbane. La biblioteca aumenterebbe il prestigio di questo centro convalidando la decisione di farne la “capitale” della ripartizione amministrativa.

L’affermazione di Campobasso nel panorama insediativo molisano non è il frutto di una crescita del ruolo politico di questo centro capace di rendere subalterni ad esso gli altri comuni come avvenne con il Conte Cola che arrivò a costituire un ampio dominio comprendente numerosi feudi avente quale polo la nostra città. La primazia di Campobasso nella nostra regione non è dipesa neanche dalla sua dimensione demografica, Agnone nel XIX secolo era arrivata a superarla per numero di abitanti e, d’altro canto, non è la quantità di gente che vi abita a fare attribuire il rango di città a quel posto, vedi i popolosi borghi contadini della Puglia di un tempo.

Piuttosto si diventa città in età moderna se si è capoluogo delle neonate province ma per essere individuata quale “capitale” provinciale occorre che si sia un agglomerato almeno di medie dimensioni, condizione quest’ultima quindi necessaria ma non sufficiente. A latere è da notare che i centri sede dell’amministrazione provinciale vengono serviti dalle anch’esse neonate ferrovie. Non certo dipende dalla volontà di quel comune il ricevere l’investitura a capoluogo di provincia, è decisione dell’autorità statale, ovvero di un’entità superiore. La “promozione” a capoluogo di provincia si associa alla dotazione alla città di tutta una serie di attrezzature pubbliche (caserma dei carabinieri, palazzo delle poste, scuole superiori, delegazione della Banca d’Italia, Ospedale ecc.) e private (uffici di varie banche, consorzio agrario, ecc.).

Tra le opere di interesse collettivo non citate sopra perché ad esse è riservata nel discorso che intendiamo fare un’attenzione particolare si segnalano il museo, la biblioteca e il teatro che sono autentici templi della cultura oltre che, i primi due, deposito della memoria della comunità molisana insieme all’archivio di stato. Vi è anche un’altra realtà del settore culturale che è il liceo classico. Gran parte degli istituti elencati compresi quelli propriamente istituzionali, dal municipio alla prefettura sono ospitati in immobili prestigiosi. Edifici di grande valore pure economico per cui è stato un investimento davvero cospicuo quello effettuato dallo Stato il quale ha puntato assai su Campobasso non potendosi immaginare una qualsiasi ipotesi di smobilitizzazione successiva delle risorse che sono state dedicate a questa città, un futuro declassamento.

Un inciso è che non vi è un legame tra presenza della cattedra vescovile e designazione a capoluogo provinciale, Campobasso all’epoca non era sede di diocesi; il vescovo solitamente sta in città, ma non è una regola assoluta, può trovarsi l’episcopio anche in paesi piccolissimi, vedi Limosano e Guardialfiera. È da notare che antecedentemente all’Unità d’Italia l’istruzione ricadeva nella sfera ecclesiastica per cui l’importanza del seminario diocesano, Campobasso ne era privo. La Repubblica che ha sostituito la Monarchia non si impegna nella costruzione di architetture rappresentative essendo venuta meno l’esigenza dell’uniformazione degli stili in precedenza legata all’esigenza dell’unificazione nazionale anche per gli aspetti formali.

L’eccezione è costituita dall’Università, la politica universitaria rimane centralizzata mentre il resto, in ossequio alla democrazia, è affidato ai poteri locali. Non è da poco, comunque, la nascita dell’ateneo molisano nonché del conservatorio perché è sulla cultura che si deve fondare il futuro di Campobasso. Per legittimare la sua funzione di comune capoluogo, status “graziosamente” concesso dal sovrano, è proprio sul settore culturale che occorre fare leva, vi sono valide premesse, sull’economia della conoscenza e, pertanto, mettere in campo molteplici iniziative in molteplici campi, editoria, musica, cinematografia, arti figurative e così via.

Ha un bel da fare l’assessore municipale al ramo… Le cose da fare sono molte e tra queste occupa un posto di primaria importanza la riapertura della Biblioteca Albino. Le ragioni sono tante a cominciare da quella che essa con la sua raccolta di giornali d’epoca e la collezione di libri di cultura molisana costituisce un po’ l’archivio della memoria storica regionale. Nel reclamare che il materiale librario in essa contenuto debba tornare nella sua interezza a disposizione dei cittadini della regione si deve fare richiesta pure che esso non cambi sede e su questo punto ora ci soffermeremo partendo da considerazioni sull’ubicazione dell’istituzione bibliotecaria.

Non si trattava il sito in cui è stata collocata di un’area di pregio posto com’era e com’è nel retro del palazzo di proprietà della Provincia un tempo ospitante il Laboratorio di Igiene e Profilassi, del resto nel centro città non c’erano e non ci sono molte superfici libere disponibili. La biblioteca si trova a non possedere una facciata né su via Garibaldi dove prospetta invece l’immobile che oggi contiene uffici sanitari il quale la copre alla visione da questa arteria né sul fronte opposto cioè su via D’Amato da cui è separata dall’auditorium ad essa annesso. L’auditorium la tiene a distanza da questa strada e nel contempo non cerca l’allineamento con il predetto percorso viario.

Il rifuggire dal contatto con l’intorno urbanistico è una precisa scelta, una scelta dettata dalla volontà di assicurare la tranquillità ai fruitori della sala studio. Il silenzio è una condizione sine qua non per la consultazione dei libri. È di particolare interesse la soluzione architettonica adottata di consentire a coloro che frequentano la sala di lettura di poter traguardare con la vista il tetto-giardino dell’auditorium e ciò, la contemplazione del verde favorisce la concentrazione dei lettori. Il verde, si sa, rilassa. È un effetto difficile da poter ritrovare in altri edifici, bisogna nascerci biblioteca. La mancanza di uno o due prospetti, uno per strada, di rappresentanza non rende meno riconoscibile il fabbricato. Si tratta di un’architettura “organica” modellata assecondando la morfologia del luogo ben distinguibile dall’edificato ordinario che la circonda.

Se non fosse per tale questione di forma essa era, non è, notata, comunque, da tutti per la forte carica semantica che la segna, un manufatto identificato come “casa” della cultura. È da sottolineare che la Albino è, era?, insieme a quella dell’Università l’unica biblioteca in sede propria del Molise. Vi sono, di certo, diverse realtà bibliotecarie nella nostra regione le quali, però, ad eccezione di queste due appena citate sono accolte in immobili noti per altri scopi e che, peraltro, non hanno quale destinazione esclusiva quella di biblioteca. Va pure rilevato, visto che si è fatto cenno alla biblioteca universitaria, che la Albino, qualora si decidesse di dismettere lo stabile originario non dovrebbe essere trasferita in periferia come quella dell’Università in quanto a servizio della cittadinanza intera e non di una sola componente, quella studentesca, gli studenti universitari.

(Foto: la Biblioteca Albino)

di Francesco Manfredi Selvaggi

19 Novembre 2024

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