Consumo di suolo
Risanamento e rigenerazione del territorio per uno sviluppo sostenibile
di Silvano Focardi (da rigeneriamoilterritorio.it)
22 Novembre 2024
Difesa tecnologica ed ecologica del territorio non bastano a garantirne il buon governo. Dato che il consumo di suolo ha raggiunto livelli emergenziali, risanamento e rigenerazione territoriale sono un percorso obbligato nelle strategie di sviluppo sostenibile.
Nel descrivere come una specie si colloca all’interno di un ecosistema, gli ecologi parlano di nicchia ecologica, un concetto con cui si intende il ruolo funzionale che la specie svolge, costituito dall’insieme delle sue interazioni con le risorse biotiche e abiotiche dell’ecosistema stesso.
Evelyn Hutchinsons introducendo il concetto di nicchia ecologica l’ha definita come spazio multidimensionale in cui ciascuna dimensione è rappresentata dal valore dell’interazione della specie con un aspetto dell’ambiente circostante: la nicchia spaziale fa riferimento ai fattori fisici dell’ambiente in cui la specie vive, come il territorio o l’habitat, i limiti di temperatura tollerabili, le esigenze di umidità; la nicchia trofica comprende i fattori biologici collegati alla sua alimentazione, quali il tipo e la quantità di risorse necessarie; la nicchia comportamentale si riferisce ad alcuni aspetti del comportamento degli individui, come la maniera in cui si spostano, i cicli di attività stagionale o giornaliera.
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Consumo di suolo: un problema emergenziale
Se consideriamo il consumo del territorio determinato dagli sviluppi delle aree urbane e industriali vediamo come la componente che ha subito gli effetti più negativi sia la nicchia spaziale. Questo, in gran parte, è dovuto al fatto che spesso il territorio è stato considerato solo come spazio suscettibile di occupazione edificatoria o industriale, non come un elemento fondamentale dell’ecosistema; trattandosi di una risorsa ecologica complessa, che possiede molteplici caratteri e funzioni, nel caso di uso inappropriato deve essere risanata e rigenerata.
Il consumo di territorio in modo non ecologicamente sostenibile è strettamente collegato alla distruzione dei suoi servizi ecosistemici: un problema che ha assunto rilievo emergenziale, poiché il suolo è una risorsa non rinnovabile e la sua perdita riduce e frammenta gli habitat.
La frammentazione ambientale o frammentazione degli habitat è un processo dinamico, che divide un ambiente naturale in frammenti più o meno disgiunti tra loro, riducendone la superficie originaria; essa rappresenta una delle principali minacce per la sopravvivenza di molte specie. La conseguenza principale della frammentazione degli habitat naturali è infatti la suddivisione della popolazione originariamente distribuita su tutto il territorio in sottopopolazioni; ciascuna di queste sottopopolazioni è sottoposta ad un maggior rischio di estinzione e l’assenza di contatto tra loro, determinata dalla frammentazione del territorio, impedisce o rallenta la ricolonizzazione di un’area in cui la popolazione si sia rarefatta o addirittura estinta.
Tutto questo contrasta il raggiungimento di gran parte dei principali obiettivi dello sviluppo sostenibile, soprattutto quelli che prevedono l’allineamento del consumo di suolo alla crescita demografica reale entro il 2030. In molti casi, infatti, la perdita di territorio non è dovuta ad un aumento della popolazione ma al progressivo abbandono e alla dismissione di aree precedentemente urbanizzate, quindi ecologicamente perdute, a favore di nuove aree, consumando nuovo suolo libero, con conseguente ulteriore impoverimento degli habitat di quegli ecosistemi. Il risanamento del territorio e la sua rigenerazione rappresentano quindi un percorso obbligato nel tentativo di ridare vita alle aree compromesse e acquista sempre più valore nelle strategie di uno sviluppo sostenibile, in quanto consente il recupero dei paesaggi produttivi che hanno ormai perso la funzione ecosistemica.
Il buon governo del territorio inizia dal suo recupero
Da quando il Rapporto Brundtland ha posto, per la prima volta, il problema della sostenibilità dello sviluppo, la parola “sostenibilità” ha riscosso un crescente successo entrando nel linguaggio corrente. Come sempre però, quando l’uso di una parola si diffonde e finisce per comparire in una grande quantità di contesti discorsivi eterogenei, il suo significato tende ad assumere contorni sempre più vaghi, quando non addirittura contraddittori. Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Il concetto di sostenibilità è nella sostanza un enunciato etico che porta a ragionare sulle regole di comportamento che una generazione deve tenere nei confronti di quelle che non ci sono ancora e che compariranno in un futuro anche molto lontano: con essa si è affermato il concetto di equità intergenerazionale.
Nel corso degli ultimi decenni, consistenti risorse politiche, legali, amministrative e finanziarie sono state investite per la difesa dell’ambiente tuttavia, con il tempo, si è dovuto prendere atto che i risultati appaiono ben al di sotto delle aspettative che richiede uno sviluppo sostenibile. La politica ambientale del territorio si è articolata in due settori funzionali, con caratteristiche diverse, la difesa tecnologica, e la difesa ecologica.
La difesa tecnologica del territorio ha cercato di rendere minimi i carichi su singole componenti ambientali, difendendole dall’inquinamento, dall’esaurimento o dalla distruzione connesse con gli usi antropici, per mezzo di metodi e processi tecnici, spesso però con scarsi risultati. La difesa ecologica si propone invece di rendere minimi i carichi sugli ecosistemi e sui paesaggi; le normative e le strutture più importanti della difesa ecologica in Italia sono quelle per la difesa della natura nelle aree protette e, in misura minore, quelle per la difesa del paesaggio, a loro volta concentrate in un sistema specifico di aree protette. Troppo poco per soddisfare le necessità legate allo sviluppo sostenibile.
Un’attenta lettura dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile nelle sue linee ambientali, economiche, sociali e istituzionali, solleva un insieme di questioni fortemente connesse al concetto di governo del territorio e alla definizione dei criteriche devono orientare le politiche di sviluppo sostenibile. Il capitolo inerente al ripristino dei terreni degradati e il suolo dell’Agenda 2030 evidenzia l’importanza di far retrocedere il degrado del terreno e, conseguentemente, fermare la perdita di biodiversità connessa.
Il mantenimento di un buon livello di naturalità dell’ambiente mette in luce il conflitto tra locale e globale insito nelle valutazioni degli impatti sulla natura che non considerino fattori fondamentali come il tempo e la scala. Ogni azione locale, infatti, per quanto in termini assoluti possa essere considerata marginale – se osserviamo il territorio con la scala della nostra dimensione, le alterazioni prodotte danno l’impressione di non essere in grado di provocare effetti negativi su scala più ampia – è parte di un processo cumulativo di azioni locali che, sul lungo periodo, possono determinare condizioni d’insostenibilità ecologica globale.
Nell’ottica dell’Agenda 2030 uno degli elementi fondamentali di cui tenere conto nel risanamento e nella rigenerazione del territorio è la compensazione degli impatti sulla natura; occorre, cioè, attuare interventi di rinaturalizzazione che compensino le perdite prodotte. In quest’ottica si può considerare ambientalmente sostenibile un’azione tesa a recuperare il valore complessivo del patrimonio naturale dell’area degradata in chiave ecosistemica
di Silvano Focardi (da rigeneriamoilterritorio.it)
22 Novembre 2024