• 06/21/2018

Il ruolo della donna nella Chiesa cattolica

Papa Francesco: “… mi preoccupa che nella Chiesa il servizio a cui ciascuno è chiamato, per le donne, si trasformi a volte in servitù”

di Umberto Berardo

21 giugno 2018

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Crediamo sia indubitabile che la Chiesa cattolica, pur essendo femminile quanto al genere grammaticale, è stata e tuttora è esclusivamente maschile in relazione al diritto canonico.

Tale situazione è stata a nostro avviso determinata non tanto o non solo dall’evolversi delle tradizioni ecclesiali quanto piuttosto da letture non sempre legate al fondamento essenziale delle Scritture.

Talune ostinate fedeltà e interpretazioni letterali di passi di Genesi e soprattutto di quelli delle lettere paoline hanno portato nella Chiesa la donna ad assumere una condizione di netta subordinazione rispetto all’uomo nei ruoli e nelle funzioni.

Probabilmente il peccato originale, commesso inizialmente dalla donna secondo il racconto biblico, con le conseguenze descritte in Gn 3,16, ha determinato in molte epoche storiche un’asimmetria di ruolo tra i due generi relegando la donna stessa a quello di madre e di compagna sottomessa all’uomo.  

In effetti il Vecchio Testamento, se si escludono alcuni personaggi femminili di rilievo e l’esaltazione della donna nei Salmi e nel Cantico dei Cantici, disegna una società patriarcale e maschilista in linea con i tempi e la stessa cosa avviene con San Paolo che, mentre nella Lettera ai  Galati 3,28 tratteggia l’uguaglianza del genere umano superando qualsiasi differenza e nella Lettera ai Romani 16 e nella Prima Lettera ai Corinzi sembra riconoscere il servizio di diaconessa e di profetessa ad alcune donne, poi sempre nella Prima lettera ai Corinzi in 11,3-9 e 14,34-35 immagina per esse una condizione di umiliante sottomissione all’uomo.

È una concezione di sudditanza della donna che ritroviamo poi nel pensiero di Agostino di Ippona e di Tommaso d’Aquino.

Occorre certo approfondire se il ruolo di diaconesse nella Chiesa fino al IV secolo fosse solo funzionale o con ordinazione sacramentale, ma è certo che la loro collaborazione con presbiteri e vescovi era davvero fattiva.

Tale ruolo è poi scomparso sia nella Chiesa ortodossa che in quella cattolica, mentre esiste in quelle della Riforma.

Si dimentica che la missione di Gesù di Nazareth supera qualsiasi relazione unicamente maschile e viene accompagnata costantemente dalla presenza femminile negli anni della predicazione fino al momento della morte ed a quello della resurrezione provando così che la donna è stata parte essenziale della comunità della fede come d’altra parte attestano il brano 15,28 del Vangelo di Matteo, in cui il Maestro rivolge il più grande elogio per una grande fede vera ad una donna Cananea, e molti passi degli Atti degli apostoli, ma come è evidente plasticamente soprattutto dal fatto che il figlio di Dio entra nella storia per merito di sua madre Maria. 

In ogni caso dopo il IV secolo si compie una condizione di emarginazione della donna nella Chiesa nonostante figure eccezionali d’impegno ecclesiale, culturale ed umano come quelle di Teresa d’Avila, prima donna Dottore della Chiesa, Cristina di Svezia, Teresa di Lisieux, Maria Teresa Goretti, Edith Stein e madre Teresa di Calcutta per fare solo degli esempi.

Né il Concilio Vaticano II, né la Mulieres Dignitatem di Giovanni Paolo II, né un documento dell’allora cardinale Joseph Ratzinger sono riusciti a dare davvero dignità alla donna e ad inserirla negli ambiti in cui si prendono decisioni importanti nella Chiesa. 

D’altronde anche il ruolo più attivo previsto per i laici dall’impulso rinnovatore del Vaticano II è stato solo in parte reso concreto e vive attualmente una sorta di stallo in una Chiesa che fa fatica a ripensare la sua struttura rendendola più partecipata.

La pienezza della condivisione decisionale delle donne nei diversi consessi di tale ordine è davvero marginale, mentre a guardar bene l’impegno delle stesse è prevalente in funzioni essenziali quali l’ospitalità, la catechesi, il soccorso ai malati, agli anziani, ai bisognosi, il servizio nella preghiera, il lavoro amministrativo e contabile oltre a quello più somigliante ad una servitù che riguarda mansioni di supporto in lavori domestici per membri della gerarchia.

Se vogliamo allora superare il principio di dipendenza, che forse è in parte anche responsabile di crisi di vocazioni e di tanti abbandoni dalle Congregazioni religiose, dobbiamo sostituirlo con quello d’interdipendenza e di pari dignità di genere.

Papa Francesco in una recente udienza plenaria con l’Unione Internazionale delle Superiori Generali ha non solo avanzato l’idea dell’istituzione di una commissione che studi il tema del diaconato femminile, ma ha affermato con estrema chiarezza “Mi preoccupa il persistere nelle società di una certa mentalità maschilista, mi preoccupa che nella stessa Chiesa il servizio a cui ciascuno è chiamato, per le donne, si trasformi a volte in servitù” e in un’intervista al gesuita padre Antonio Spadaro ha precisato che “Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo compiendo questo passaggio si potrà riflettere meglio sulla funzione della donna all’interno della Chiesa”.

Sono parole importanti per sostenere l’emancipazione della donna che ovviamente non va clericalizzata, ma valorizzata nei carismi, rispettata nella dignità ed accolta con la sua autorevolezza in tutti i consessi in cui si prendono decisioni importanti per il popolo di Dio.

Stiamo parlando degli organismi consultivi e decisionali anche vicini al papa in cui è giusto che ci sia la contemporanea presenza di uomini e donne. 

Questo cammino di emancipazione della donna ha sempre incontrato corpose resistenze da parte di quanti lo ritengono dirompente per le logiche legate alla tradizione, ma occorre perseguirlo con tenacia perché il “genio femminile”, come lo ha chiamato papa Francesco nella Evangelii Gaudium del 2013, sicuramente potrà essere lievito per trasformazioni positive nel percorso della Chiesa rispetto ai temi dell’evangelizzazione e della promozione umana.

di Umberto Berardo

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