• 07/09/2018

Il Collegio Serafico

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

9 luglio 2018

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Nel 1962 il Padre Guardiano propose a noi chierichetti più assidui di recarci a studiare nel Collegio Serafico dei frati a Sepino. 

Quell’anno fu istituita nel collegio la classe quinta elementare che frequentai con gran profitto con un bravo maestro.

Il collegio accoglieva ragazzi che avrebbero potuto, da quella prima tappa, divenire un giorno frati minori.

I miei mi preparono il necessario corredo per il collegio, che annoverava : materasso; quattro lenzuola; due coperte; due cuscini; due pigiama, ecc. il tutto riposto in una enorme cassa di ferro. Ma furono lieti della spesa, solo la zia, sarcasticamente, prometteva che sarebbe andata a Venezia a prendermi le colombe da far svolazzare durante la mia prima messa, come si usava. 

Il frate vice-rettore era severissimo e spesso ci tirava pugni o schiaffi anche per cose minime. La disciplina, infatti, era ferrea. Bastava solo pronunciare una parola in dialetto che ci si ritrovava soli e in piedi, nel lungo corridoio a leggere libri interi. Punizioni più severe prevedevano di mangiare pane ed acqua per giorni, ma ricordo pure di aver mangiato quintali di patate che sbucciavamo noi stessi, per cui quell’anno ingrassai.

Il tempo passato nel salone dello studio dominava la giornata.

Dopo lo studio, in fila per due, nel tardo pomeriggio raggiungevamo le terme delle Tre Fontane, allora semplice fontana presso la quale si recavano tantissimi ad attingere la rinomata acqua dalle vantate proprietà diuretiche. 

Oppure ci portavamo in prossimità degli scavi di Altilia dove, su una radura, giocavamo a pallone. Io, che facevo parte del coro, sacrificavo molte ore al gioco per intonare canti di messe gregoriane.

Frequentavano assiduamente il nostro convento i politici dell’allora massima istituzione regionale: la Provincia, che si intrattenevano in affabile colloquio coi frati, preferendo il refettorio per chiacchierare.

Ricordo un compagno di collegio che sognava tutte le notti il prosciutto. Non gli sembrava vero che in occasione della gran festa in convento, in presenza dei politici, servissero anche a noi quell’agognato alimento, ma grande fu la delusione perchè quello dato a noi era guasto e dovemmo, per disciplina, forzatamente ingurgitarlo.

Finito il proficuo anno scolastico riguadagnai la mia libertà in paese.

Foto: l’armonium del collegio  

di Vincenzo Colledanchise

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