• 07/09/2018

P.P.P. Il paese mancato

Un atto d’amore per il teatro scritto da Ilario Grieco e interpretato dall’attore molisano Diego Florio

di Ilario Grieco

9 luglio 2018

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“Non dovrebbero essere le commemorazioni per il quarantennale dalla morte, o altri multipli di dieci, a ricordarci che Pier Paolo Pasolini è stato forse il più grande poeta e intellettuale che l’Italia ha avuto almeno negli ultimi 100 anni. Non dovrebbero esserlo, perché c’è sempre l’ombra del cinico opportunismo (giustificata o no) ad addensarsi sulla presunta assoluta sincerità di ogni doverosa operazione culturale che queste ricorrenze domandano.

Tuttavia, al netto di ogni possibile scrupolo, credo sia giusto che ci sia sempre un’occasione, di varia  specie o contesto, a poter ravvivare ciò che di più grande c’è nella coscienza collettiva di un paese. 

Credo sia comunque giusto, per chi opera nel settore della cultura, aggrapparsi anche a  queste più comode possibilità.”

Così scrivevo nel novembre 2015, quando  lo spettacolo “P.P.P – Il paese mancato” nasceva, appunto, nell’ambito delle manifestazioni culturali per le celebrazioni del quarantennale della morte di Pasolini.

E lo scrivevo, ricordo, quasi a volermi scusare  di aver  arpionato quell’occasione.

Credo che oggi, tuttavia, sia doveroso raccogliere l’eredità di quelle commemorazioni, e che sia doveroso farlo anche nel prossimo futuro, se mai avrò ancora la fortuna e la possibilità di rimettere in scena questo lavoro.

E lo credo proprio perché è stata la morte di Pasolini a esserne il pretesto. Quella morte: 

un odioso omicidio in un campetto dell’Idroscalo di Ostia la notte del 2 novembre 1975, rimasto ancora oggi,  come tanti altri casi, avvolto nella coltre del misteri giudiziari italiani, nonostante le sentenze e tutte le frettolose, incomplete e incoerenti ricostruzioni che si sono susseguite nel tempo.

Ma è proprio dal quel mistero, come per spettrale contrasto, che la testimonianza scritta di Pasolini emerge e si rivela come uno dei più appassionati e disperati atti d’amore di un poeta verso un popolo e il suo paese: quell’Italia trasformata e irriconoscibile del tardo dopoguerra, che ha di fatto (tacitamente o no) commissionato o avallato l’assassinio di un poeta con il coraggio di saperle dire scomode verità.

Insieme con l’attore Diego Florio, abbiamo deciso di rendere il nostro omaggio a Pasolini attraverso un lavoro dal sottotitolo emblematico: “il paese mancato”. Abbiamo cioè scelto di costruire una drammaturgia attraverso quegli scritti del poeta che analizzano e spiegano le cause che hanno portato l’Italia a non compiersi, cioè a diventare quel paese abbrutito e malato che è oggi, a dispetto della sua “millenaristica bellezza e popolare saggezza”.

Lo spettacolo è soprattutto incentrato sugli scritti civili e gli articoli giornalistici raccolti nei volumi “Scritti corsari” e “Lettere Luterane”,  lucide e spietate analisi sociologiche e politiche sulla trasformazione antropologica dell’Italia del dopoguerra, in favore dell’ “Avvento della cultura edonistica” dell’allora nuovo  “potere consumistico”: intuizioni folgoranti che, ripercorrendo anche l’orrore delle stragi italiane durante i primi  anni di piombo, svelano i meccanismi psicologici e criminali in seno alle classi dirigenti del nostro paese, ripercorrendo tappe e fatti apparentemente rimossi dalla coscienza di una nazione, ormai non più in grado di leggere il suo passato e la sua realtà.

In scena non agirà necessariamente un attore che cercherà di incarnare o assomigliare al poeta (operazione forse più cinematografica), ma un personaggio che in qualche modo tocca alcuni tratti ideologici delle creature che Pasolini amava e che ha poeticamente scolpito nelle sue opere. Un uomo solo (e come Pasolini lasciato solo, nonostante le sue amicizie elitarie), ai margini della società borghese e del suo mondo “tollerabile”, che parlando con le stesse parole di 40 anni fa o poco più, attraversa idealmente i decenni andando oltre il 1975, parlando anche all’Italia di oggi e ai suoi ragazzi che poco sanno, o addirittura ignorano, cosa di grave sia successo nella loro terra anche soltanto 25 anni fa.

Sarà il monologo, dunque, la forma drammatica attraverso cui Diego Florio farà rivivere quegli straordinari testi, in cui affondano ancora le radici di una storia nazionale presente, mutilata dalle sue inespresse verità.

Non esitiamo a dire che viviamo e sentiamo questo lavoro come un atto d’amore: per Pier Paolo Pasolini, certo, ma anche per il nostro paese. Vogliamo inoltre credere che si possa ancora compiere un atto di slancio e di fiducia verso il teatro, perché pur essendoci molti elementi per affermare il contrario, può ancora essere quel luogo di educazione e memoria civile, in cui un pubblico riunito possa ridiventare popolo, ritrovando la sua coscienza.

di Ilario Grieco

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