• 07/17/2018

Il Soldato Polacco

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

17 luglio 2018

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La famiglia poverissima viveva in un tugurio e i cinque ragazzi che l’abitavano si vergognavano di tanta miseria con i loro compagni. Il padre era morto prima della guerra bruciato nella “pincera” dove lavorava e la madre cercava di procurarsi un po’ di cibo andando a giornata.

Erano tutti pallidi e malnutriti quei poveri ragazzi, con i soliti stracci consunti recuperati chissà dove, sempre raffreddati per i piedi scalzi. 

Le due sorelle facevano le lavandaie per due famiglie agiate del paese, mentre i tre ragazzi, ancora piccoli, a malapena riuscivano a pascolare due pecore e una capra lungo il tratturo, e nel contempo a raccogliere arbusti e un po’ di legna per il camino. 

Sopraggiunsero in paese i soldati tedeschi, che vi si accamparono per qualche settimana, incutendo molta paura in tutto l’abitato con le loro maniere sbrigative e feroci di pretendere viveri e animali da cortile per sfamarsi.

Nella foga e nella fretta di fuggire, perché inseguiti dagli alleati, avevano requisito con violenza alcune case per procurarsi alimenti utili per continuare la fuga verso il nord. 

Giunti nel tugurio della povera famiglia strapparono loro le tre bestiole nascoste dietro un pagliericcio: l’ unica ricchezza in quella casa. 

La mamma aveva tentato invano di far capire ai soldati che

senza quelle bestie non sarebbero sopravissuti, d’altra parte la cosa era evidente, ma quei soldati non si impietosirono affatto né delle urla strazianti della vedova né delle lacrime dei suoi orfani. 

Quei poveretti erano afflitti per la grave perdita e impauriti per le sorti della guerra, ma la Provvidenza venne in loro aiuto. 

Fuggiti i tedeschi sopraggiunsero gli alleati, che portarono serenità e una ventata di allegria perché la sera invitavano a danzare le ragazze lungo le vie del paese, anche se spesso si ubriacavano.

Il loro rancio sempre ricco e abbondante consentiva ai ragazzi di approfittare degli avanzi, che venivano utilizzati dai più poveri per sopravvivere. 

Un caporale polacco, addetto al vitto e vestiario delle truppe alleate, dovette accorgersi e impietosirsi degli orfani, che vedeva divorare le marmitte degli avanzi rimasti.

Un giorno chiese dei loro genitori e, quando la ragazza gli riferì che avevano solo la mamma, il caporale polacco volle conoscerla. La mamma, impaurita, si recò dal soldato, cogliendo l’occasione per ringraziarlo per quanto faceva per i suoi figli.

Il caporale la guardava con simpatia, perché la vedova era ancora una donna piacente e le mise in mano alcuni dollari che la donna ebbe paura di accettare.

Il giorno seguente, ostinato, il caporale polacco si fece condurre nella povera abitazione della vedova e chiese alla donna se poteva entrare nella sua casa.

La donna temendo il peggio, perché si raccontava che alcune donne erano state violentate dai soldati, si precipitò fuori dal tugurio, mentre il soldato sfacciatamente vi entrava. 

Ella si mise a sbirciare dalla porta cosa facesse quel soldato in casa sua e rimase atterrita nel vederlo spogliarsi e pian piano appoggiare gli abiti sul suo pagliericcio. Non finiva mai di spogliarsi. Depositava ad una ad una, camicia, giacca, maglia di lana e finanche alcune paia di calze. 

La donna, impaurita, stava per mettersi a gridare per chiedere aiuto, quando il soldato, rivestendosi della sua divisa e uscendo fuori dal tugurio la raggiunse per dirle che era venuto a donare quei panni ai suoi ragazzi.

Il soldato, infatti, aveva occultato diverse maglie, camicie, pantaloni e calze sotto la sua divisa, sottraendoli al suo reparto, e per non destare sospetto alcuno, aveva provveduto ad indossarli sotto la sua normale divisa.

La donna non esitò a baciarlo ripetutamente sulle mani per l’audacia con la quale aveva voluto aiutarla e, grata per tutti quei doni inaspettati, gli regalò a sua volta l’ultima caciotta di pecora che aveva serbato per i figli.

Il soldato le mostrò allora la foto della sua numerosa famiglia, che aveva lasciato mesi addietro con grande preoccupazione. Sperava in cuor suo che ciò che faceva lui per quella povera famiglia qualcun altro potesse fare per la sua. 

Diceva queste cose alla donna mostrandole il crocifisso serbato nella stessa busta della fotografia e chiedendole di pregarlo insieme affinché potesse raggiungere quanto prima i suoi familiari nella sua Polonia.

Di quel caporale polacco, fervidamente credente e tanto caritatevole, si seppe poi, che aveva trovato la morte nell’inferno di Cassino.

di Vincenzo Colledanchise

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