• 09/10/2018

Mio nonno disertore alla Grande Guerra

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

10 settembre 2018

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Quando arrivò la chiamata alle armi per combattere alla prima guerra mondiale, mio nonno Mercurio dovette lasciare la famiglia e raggiungere il fronte di guerra, che vedeva contrapposti l’esercito italiano e quello austro-ungarico.

I due eserciti si contendevano un pezzo di terra palmo a palmo con gravissime perdite dall’una e dall’altra parte. Una guerra fatta prevalentemente di trincea nella quale morivano tanti soldati perché spesso gli scontri erano all’arma bianca. Al grido di “Avanti Savoia” i giovani andavano all’assalto con la baionetta, sotto un fitto fuoco incrociato di proiettili e gas asfissianti. 

Fu durante uno scontro molto cruento, nel quale persero la vita molti suoi commilitoni che mio nonno decise di darsela a gambe. Da parte del presidio militare si mise subito in moto la macchina della ricerca del disertore, che si estese fino al paese, per ordine della Pretura di S. Giovanni in Galdo. Una ronda di carabinieri si portava sistematicamente ogni giorno a casa sua credendo di scovarlo nascosto nelle grotte di “rapillo” adiacenti alla piccola dimora, ma le ricerche furono vane. 

Pur essendo consapevole che la condanna per diserzione comportava la fucilazione, nonno Mercurio si era liberato della divisa, e in abiti borghesi di fortuna, dopo un mese aveva raggiunto il Molise.

Egli era convinto di non avere nessun nemico da combattere, e se proprio doveva combatterli, i suoi nemici lui li aveva individuati in paese: erano i Trotta e i Magno, che umiliavano con i loro soprusi i poveri contadini come lui. Non poteva dimenticare che, da ragazzo, la sua paga mensile per pascolare il gregge dei Trotta era costituita solo da una semplice caciotta.

Mentre era al fronte, la moglie lo aveva sostituito nei duri lavori dei campi e da parecchio non riceveva una sua lettera. Un giorno se lo trovò improvvisamente davanti smagrito e impaurito nella loro campagna del Bracciolo, a ridosso del bosco, dove lavorava. Fu contenta di rivederlo, ma lo informò che i carabinieri ogni giorno perquisivano la loro casa in cerca del disertore e, spesso, si portavano anche in campagna alla sua ricerca. Ormai era braccato ovunque e fu per tale motivo che decise di rimanere lì, nel Bracciolo, ad aiutare la moglie nei campi, rivestendosi dei suoi panni femminili, compreso un grande fazzoletto in testa.

Ciò serviva per ingannare da lontano la ronda dei carabinieri ma l’espediente non bastò perché i militi stanchi della inutile riceca arrestarono la moglie chiudendola nel carcere della Pretura di S. Giovanni dove sarebbe uscita solo dopo aver rivelato il nascondiglio del marito. La mossa sortì l’effetto desiderato. Nonna Vincenza lasciò il carcere, mentre nonno Mercurio fu inviato per punizione in prima linea: combattere in prima linea equivaleva a una condanna a morte. Ma se la cavò, anche se a seguito di un forte attacco fu ferito gravemente ad entrambi gli arti dalle schegge di un mortaio. 

Durante la guerra era stato insignito della Croce di guerra. Conclusa la quale, gli fu riconosciuta la pensione di grande invalido di guerra e gli fu proposto di gestire la licenza di un tabacchino, ma rifiutò. Molti anni dopo fu insignito della medaglia d’oro di Cavaliere di Vittorio Veneto.

Di sicuro non bastarono i riconoscimenti a liberarlo dagli incubi che continuarono ad affliggerlo anche da vecchio per la terribile esperienza vissuta al fronte, alla quale si era aggiunta l’altra, al pari drammatica, di infermiere nell’Ospedale militare di Foggia dove aveva curato migliaia di soldati feriti nella seconda guerra mondiale.

Foto: A sinistra, Mercurio Colledanchise con la croce di guerra al petto, in compagnia del cognato Domenicangelo Cutrone

di Vincenzo Colledanchise

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