L’emergenza culturale di Altilia
Un futuro migliore del presente sfruttando il passato
di Francesco Manfredi Selvaggi
8 Gennaio 2025
La principale emergenza culturale di questo comune è rappresentata da Altilia per la tutela e valorizzazione della quale è stato istituito di recente il Parco Archeologico. Era intitolato alla stessa maniera anche un progetto che avrebbe dovuto essere finanziato con i fondi FIO nel quale questa emergenza storica avrebbe dovuto rappresentare il motore dello sviluppo territoriale di un ampio comprensorio.
Per accedere ai fondi FIO, Fondo Investimenti Occupazione, occorreva, è una misura di programmazione degli anni 90, un progetto di taglia economica considerevole ammontante a 15 miliardi di lire come minimo rapportabile come entità monetaria alla somma che il Ministero per la Cultura ha stanziato lo scorso anno, 10 milioni di euro, a favore di Castel del Giudice. È una vicenda ben nota, si tratta di una iniziativa una tantum della quale il beneficiario in prima battuta era stato Pietrabbondante soppiantato a seguito di un ricorso dall’altro comune altomolisano.
A concorrere nel Molise per ottenere il finanziamento FIO era stata una proposta progettuale intitolata Parco Archeologico di Altilia, un parco che allora non esisteva e oggi sì e da quello attuale si sarebbe differenziato perché inevitabilmente (non solo perché una somma così urgente non sarebbe potuta essere spesa in un sito, per quanto di pregio, ristretto), avrebbe dovuto avere un raggio di azione, un territorio da gestire di cui occuparsi/preoccuparsi non limitato all’area archeologica. Infatti, nella logica del FIO la valorizzazione del patrimonio storico si doveva legare alla messa in valore del territorio nel suo complesso.
Non essendo i fondi FIO un canale finanziario specificamente dedicato alle emergenze culturali e artistiche bensì finalizzato alla crescita territoriale occorreva prevedere interventi in campo infrastrutturale, nel settore delle attrezzature civili e produttive, ecc. concorrenti, insieme a quelli a favore delle testimonianze delle antiche civiltà, allo sviluppo del comprensorio. Va rilevato, comunque, che l’eredità archeologica così cospicua, al di là dell’obbligo dato dall’intitolazione del progetto, sarebbe stata al centro delle strategie di promozione dell’economia locale, il volano per il rilancio di questo circondario rientrante nelle “aree interne”, il motore per la rivitalizzazione della zona che come qualsiasi ambito della fascia appenninica soffriva e soffre di problemi di sottoccupazione, di spopolamento, di mancanza, in generale, di prospettive.
Non è una ricetta, è evidente, valida ovunque il basarsi sui beni storici per disegnare il domani del posto, un futuro, con uno slogan, migliore del presente sfruttando il passato. Non vi era contemplata nella progettazione elaborata allo scopo di ottenere il contributo FIO la creazione di un ente gestore per la sua attuazione e, comunque, niente di simile all’ente Parco Archeologico di Sepino istituito di recente. Esso sarebbe stato immaginabile piuttosto che un organismo guidato da un unico soggetto, una emanazione ministeriale qual è quello attuale, come una sorta di cabina di regia che coordina le azioni da porre in campo previste nella pianificazione FIO.
Quindi una sede in cui mettere insieme regione, municipio, quello di Sepino e altri, e organo periferico del Ministero allora dei Beni Culturali, le prime sono le amministrazioni che hanno competenze in materia di governo del territorio oltre ad essere le rappresentanti delle comunità ivi insediate, il secondo il titolare di un interesse specifico e fondamentale, quello della custodia dei resti della città romana. Un tavolo comune in cui concordare il da farsi per la buona riuscita dello stanziamento pubblico, per renderlo efficace, un’autentica “impresa”.
Se il FIO è un programma straordinario sia per l’entità di denari assegnati sia per la forma integrata che deve assumere la progettazione, gli effetti che esso produce devono essere stabili, continuativi nel tempo e per ottenere ciò è indispensabile sia duratura la governance; in tale senso il Parco cui tendere è piuttosto quello delineato dalla legge 394/91 sulle Aree Protette (magari aggiungendo ad Archeologico la parola Naturalistico e ricomprendendo nel suo perimetro anche superfici naturali) che non quello previsto dal Codice per il patrimonio culturale.
È da riconoscere, ad ogni modo, che l’attività di tutela archeologica compito esclusivo del ministero ha un’importanza primaria per cui è giusto aver rafforzato con la nascita da poco del Parco Archeologico l’apparato destinato a questa delicata mansione. Del resto l’uno non escluderebbe l’altro e anzi potrebbero essere coordinati fra loro. Non è da poco neanche il ruolo della regione in riguardo alla salvaguardia dell’intorno ambientale di Saepinum. Attraverso il varo nel 1991 del piano paesistico è stata imposta una fascia di inedificabilità dello spessore di 150 metri a lato del perimetro di Altilia.
È regionale pure la materia della difesa del suolo: il suo essere posizionato in pianura rende il municipium esposto al rischio alluvione e a raccontarcelo sono le sue vicende al tramonto dell’età imperiale. Progressivamente si interrò e ciò, da un lato, è un male, ma da un altro lato è un bene, le particelle di terreno trascinate dalle acque divaganti hanno permesso, ricoprendolo, la conservazione del prezioso basolato del foro i cui basoli sarebbero potuti essere asportati con facilità. Dunque, Altilia non è una monade, partecipa del mondo che la circonda e questo richiede un fronte unitario per garantirne l’integrità; in definitiva, la collaborazione tra ministero, regione e comuni è fondamentale per il successo del Parco Archeologico.
(Foto: F. Morgillo – L’area archeologica di Altilia)
di Francesco Manfredi Selvaggi
8 Gennaio 2025