Mia nonna, donna d’altri tempi
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
20 settembre 2018
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Era nata nel 1878, nella casa poverissima degli Evangelista, in Via di Sotto, mia nonna Incoronata. Era pia e molto devota ai santi. Casa sua era piena di una collezione di candele comprate presso i santuari da lei visitati a piedi : candele benedette di S. Michele del Gargano, dell’ Incoronata di Foggia, di S. Lucia di Sassinoro, di S. Donato di Pietracatella, di S. Maria della Strada di Matrice, della Madonna della Difesa di Casacalenda, di quella di Montecastello, Montevergine e Pompei.
Guai ad utilizzarle per far luce: “è peccato” diceva. Le pareti erano coperte da quadri votivi di ogni foggia, tra abatini, ex voto e crocifissi.
I vetri della credenza e lo specchio del comò erano tappezzati di santini.
Nonna Incoronata mi preparava ottimi decotti con mele e fichi, ma il ricordo delle sue enormi tazze di creta, di profumatissimo orzo, sarà per me indelebile.
Anche da ottantenne aveva conservato l’abitudine di recarsi a piedi dalla città fino al suo paese natale, attraverso la via vecchia del tratturo. Io e la mamma spesso la raggiungevamo presso la croce viaria di Campodipietra. A lei ciò non le faceva piacere perché, diceva, la interrompevamo a recitare le amate giaculatorie, in parte da essa stessa composte.
Vestiva sempre di nero, con pellegrina e scialle nella stagione fredda. Proferiva le sue umili preghiere ad alta voce, fino alle prime case del paese, con un grande rosario nero ed esibiva un’infinità di medagliette votive di stagno sulla “pellegrina”, come un generale, senza vergognarsene e senza avvertire fatica alcuna per la sua lunga marcia a piedi. Lo sfolgorio delle sue medagliette votive ce la facevano riconoscere anche da lontano.
Dalla nonna avevo appreso, da piccolo, una buona abitudine, quella di camminare per i viottoli dei campi con l ‘ausilio di una canna. Quando avvertivo la sete, lei faceva dei fori nella parte bassa della canna, che immergendola nei pozzi, riusciva da questi ad attingere l’acqua.
Zizì l’adorava e l’aveva costretta, suo malgrado, portandosela in città, a redimersi da umile campagnola a cittadina, senza che migliorasse minimamente sulle sue antiche abitudini contadine.
di Vincenzo Colledanchise