Shoah ovvero sterminio
Una concezione antropologica non ancora superata
di Umberto Berardo
30 Gennaio 2025
Credo sia importante proprio nel Giorno della Memoria portare sulla Shoah un contributo di riflessione che cerchi di aprire l’analisi sui tanti aspetti di barbarie disumana in cui la malvagità ha prevalso e continua a esistere nel mondo.
Proverò allora a partire da una veloce analisi storica dell’olocausto per individuarne il concetto, le cause, le forme, ma spero soprattutto di entrare insieme a voi nell’esame degli aspetti antropologici che stanno all’origine della violenza e dei massacri esistenti nella storia umana senza alcuno sconto di carattere ideologico, come purtroppo spesso è avvenuto e tuttora accade ancora nella storiografia.
Shoah è un termine ebraico che significa appunto catastrofe, distruzione, sterminio, ma ci lascia più ampiamente pensare a una concezione profondamente distorta e disumana del pensiero sul modo di concepire e trattare l’altro.
Il 1° novembre 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite stabiliva che, per ricordare le vittime dell’olocausto nazista dei sei milioni di Ebrei, il Giorno della Memoria venisse fissato ogni anno al 27 gennaio, giorno in cui l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz.
In realtà lo sterminio degli “indesiderabili” da parte del nazismo si pensa abbia portato nei campi di concentramento all’annientamento di oltre quindici milioni di esseri umani, perché agli ebrei bisogna aggiungere prigionieri di guerra, oppositori politici, rom, sinti, jenisch, testimoni di Geova, pentecostali, handicappati, malati mentali e omosessuali.
Da questo dovrebbe essere chiaro che la cosiddetta “soluzione finale” non ha riguardato unicamente il popolo ebraico, ma chiunque ritenuto inaccettabile dal nazismo e dunque indegno di vivere nella società.
Qualche anno fa ho visitato il quartiere ebraico di Praga dove nella sinagoga Pinkas, chiusa al culto, tutte le pareti riportano i nomi di 77.297 ebrei di Boemia e Moravia trucidati dai nazisti; sono talmente tanti solo lì da pensare che il numero di persone uccise riportate dai testi di storia è sicuramente approssimato per difetto.
In quello stesso luogo c’erano dei disegni di bambini deportati nei campi di sterminio.
Li ho osservati a lungo esterrefatto, perché in essi traspariva tutto l’orrore della paura e della violenza che circondava quelle creature.
Indubbiamente la Shoah, con i momenti della persecuzione, della segregazione e dell’uccisione, ha rappresentato uno dei genocidi più terribili, violenti e disumani della storia e noi rispetto a tale evento abbiamo il dovere della memoria, come stiamo giustamente facendo, per impedire che si possano ancora avere episodi così gravi.
L’antisemitismo di Adolf Hitler, esposto in Mein Kampf e sviluppato dalla rivista Der Stürmer, si concretizzò con le Leggi di Norimberga del 14 settembre 1935 che difatti, prima volontariamente e poi in modo coatto con le deportazioni dopo la “Notte dei Cristalli” del 9-10 novembre del 1938, escludevano gli ebrei da ogni aspetto della vita sociale, culturale, politica ed economica della Germania.
Da allora tutte le attività e i servizi furono riservati unicamente agli “ariani”.
Abbiamo avuto cinque campi di concentramento attivi anche in Molise durante il periodo fascista: Agnone, Isernia, Bojano, Vinchiaturo e Casacalenda.
Molti ebrei provarono a trasferirsi clandestinamente in alcuni Paesi europei e perfino in Asia e in America, ma non siamo in grado di sapere quanti riuscirono a trovare queste vie di fuga, rimanendo taluni spesso nascosti e segregati per anni come accadde ad Anna Frank.
Le deportazioni nei tanti campi di concentramento organizzati dai tedeschi in tutta l’Europa come la soluzione finale, che prima sembrarono prevedere con Adolf Eichmann il trasferimento degli ebrei nel Madagascar e poi verso est, successivamente con Reinhard Heydrich ed Heinrich Himmler portarono alla loro eliminazione fisica.
In ogni caso siamo davanti al percorso terrificante della Shoah.
È noto che le tecniche di sterminio sono state di un’atrocità sconvolgente!
Di fronte a questo orrore, oltre alle dirette responsabilità naziste, solo in parte messe in luce dal Processo di Norimberga durato dal 20 novembre 1945 al 1° ottobre 1946, ci sono le colpe gravi degli alleati, come il fascismo italiano, e poi il silenzio di esponenti politici e religiosi di primo piano, ma anche di organizzazioni come la Croce Rossa Internazionale, che, senza una posizione ufficiale di condanna, di fatto tutti poco fecero per impedire il processo di annullamento di milioni di esseri umani.
Ciò che dovrebbe preoccuparci sempre, ieri come oggi, è il tasso d’indifferenza che gran parte dei cittadini manifestano contro la violenza e lo sterminio.
Perfino la proposta di alcuni rabbini di bombardare le linee ferroviarie che portavano ai campi di concentramento fu respinta il 4 luglio 1944 dal ministero della guerra americano.
Di fronte a queste rivelazioni sui gravi peccati di omissione della politica e perfino di tanta parte della cultura conniventi con la Shoah, per fortuna ci sono stati anche testimoni, giudizi severi e esempi di resistenza civile non solo postumi, ma anche contemporanei e di cui potremmo fare tanti nomi.
Tra essi mi piace ricordare il giornalista Fritz Michael Gerlich, l’uomo d’affari Oskar Schindler e Sophie Scholl che con il fratello Hans creò il movimento Rosa Bianca nella Germania nazista pagando con la vita la sua opposizione, ma anche i gruppi di resistenza purtroppo isolati di socialisti, comunisti, borghesi come di alcuni teologi cattolici e protestanti che non riuscirono a scardinare l’obbedienza della maggioranza chiaramente visibile nelle adunate organizzate da Hitler e Mussolini.
Ci furono anche attentati organizzati da Johann Georg Elser l’8 novembre 1939 e dal colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, protagonista dell’attentato del 20 luglio 1944.
Dal 1938 al 1945 gli oppositori al nazismo tedeschi assassinati per motivi politici furono 32.500 mentre 700.000 furono rinchiusi nelle prigioni.
La memoria dei giusti è l’esempio del bene che ha sicuramente un valore educativo eccezionale!
I diretti testimoni stanno venendo meno.
Dobbiamo allora anzitutto fare memoria ai giovani di quanti hanno pagato la loro opposizione alle atrocità del nazismo con il carcere e con la morte.
C’è chi lo ha fatto poi con saggi e opere letterarie o con la cinematografia.
Mi piace ricordare in particolare le riflessioni di Primo Levi in “Se questo è un uomo” o di Anna Frank in “Diario” o di Hannah Arendt in “La banalità del male” o di Dietrich Bonhoeffer in “Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere” o di Hans Jonas in “Il concetto di Dio dopo Auschwitz” o ancora di Zygmunt Bauman in “Modernità ed Olocausto”.
Il corposo romanzo “Le benevole” di Jonathan Littell al contrario ci fa rivivere il terrore della seconda guerra mondiale dal punto di vista di un ufficiale delle SS.
Non possiamo non ricordare alcuni film di grande successo come “Schindler’s List” del 1993 di Steven Spielberg, “Il pianista” del 2002 di Roman Polanski e “La vita è bella” del 1997 di Roberto Benigni, solo per citarne alcuni.
Sulle tesi negazioniste dell’Olocausto da parte di movimenti antisemiti non credo ci si debba fermare più di tanto essendo stato dimostrato a sufficienza che le loro tesi non hanno alcun supporto accettabile di dati storici, come ha fatto rilevare opportunamente Bauman.
Si riflette ancora se la Shoah sia stato qualcosa d’intenzionale e dunque fondato ideologicamente o solo funzionale alla costruzione e al rafforzamento del nazismo.
Io sono tra quanti ritengono che quel genocidio abbia avuto come ispirazione entrambi gli elementi concettuali e politici.
Anche sul ruolo e sulle responsabilità della popolazione tedesca e in generale di quelle europee c’è ancora tra gli storici grande fermento di riflessione in particolare sulla conoscenza dell’antisemitismo in atto e sul consenso ad esso relativo.
È bene anche sottolineare che l’avversione per gli ebrei in Europa è sempre esistita sin dal Medioevo, si è incrementata nel corso dell’Ottocento soprattutto in Russia e Germania e purtroppo non è ancora finita.
Sicuramente tra le cause della Shoah possiamo trovare quelle relative alla follia ideologica di tanti ispiratori del nazismo, a partire da Adolf Hitler, o intravvederle nel razzismo radicale delle dittature europee del XX secolo o ancora nella lotta per il potere economico e per l’espansione territoriale dell’etnia ariana con l’esclusione dei cosiddetti indesiderabili, ma non comprenderemmo questo enorme genocidio se continuassimo a vederlo in una sorta di unicità inviolabile e se non provassimo ad allargare l’orizzonte storico cogliendo tutti quegli eventi simili alla Shoah che hanno abitato la storia, che continuano purtroppo a esistere e che sono il frutto a mio avviso di una concezione antropologica relativa alla natura dell’uomo che a suo fondamento manca talora dei valori indispensabili per una convivenza realmente umana che sono quelli del diritto per tutti alla vita, alla libertà, all’uguaglianza e alle decisioni democratiche sulle regole comuni.
Sappiamo che tali principi sono stati abbondantemente negati nel corso dei secoli a partire dall’istituzionalizzazione della schiavitù sin dalle più antiche epoche della vita sulla Terra.
Cerchiamo allora di analizzare l’origine di una tale perversa elaborazione mentale.
Il concetto di proprietà sui beni materiali e perfino sulla persona altrui ha fondato la soggezione di quest’ultima al padrone e di interi popoli ai colonizzatori spesso presentati dalla storiografia come fondatori di grandi civiltà.
Nessuno può dimenticare che le cosiddette civiltà medio – orientali, ma anche quella greca e romana avevano a loro fondamento proprio il concetto individualistico di proprietà, di schiavitù e di soggezione degli altri popoli.
È Gesù Cristo che nella sua predicazione affaccia con forza l’idea profonda dell’eliminazione dell’asservimento e l’affermazione della libertà della persona umana. Sono messaggi di liberazione che lo porteranno in croce e determineranno quelle persecuzioni dei cristiani che sono uno dei primi grandi genocidi tentati nella storia.
Ciò che poi la Chiesa ha fatto attraverso i secoli non è sempre stato in linea con tale concezione affermata nei Vangeli e questo pure meriterebbe un’analisi molto particolare.
Se volete un’altra immagine della mattanza dell’altro, provate a guardare il film “Apocalypto” di Mel Gibson che racconta la violenza spaventosa tra le tribù Maya prima dell’arrivo dei colonizzatori europei in America dove poi il sopruso e l’aggressività senza limiti dei conquistatori sterminarono Incas e Aztechi e più tardi al nord gli Indiani, segregando quelli rimasti nelle riserve.
Non sono stati nella storia dei genocidi e delle devastazioni anche la crociata contro gli Albigesi nella Francia medioevale, la tratta atlantica degli schiavi africani con tantissimi morti fra il XVI e il XIX secolo, l’eliminazione degli Armeni in Turchia durante la prima guerra mondiale o quella dei Curdi da parte di diverse popolazioni mediorientali, la deportazione e gli stermini di intere popolazioni di contadini ad opera di Stalin o quello della dittatura comunista in Cambogia tra il 1975 e il 1976 o ancora quello degli Stati Uniti d’America con la guerra in Vietnam e degli israeliani oggi nei confronti dei palestinesi in Cisgiordania e nella striscia di Gaza o di Putin nei confronti degli oppositori e delle popolazioni occupate e sottomesse con la forza?
E oggi possiamo passare sotto silenzio la tragedia che vive il Sudan con migliaia di morti e dodici milioni di sfollati come le stragi e le violenze dell’odio interetnico tra Hutu e Tutsi in Ruanda, o quelle di Boko Haram in Nigeria, dell’Isis, del terrorismo o delle mafie diversamente chiamate o infine dei tanti immigrati torturati in Libia con il complice consenso dei Paesi europei e annegati nel Mediterraneo o sulla rotta balcanica mentre cercavano una speranza per la loro angoscia esistenziale?
Il giornalista Pino Aprile nei suoi volumi “Terroni” e “Carnefici” arriva a sostenere che, se il genocidio è la metodica distruzione di gruppi etnici o religiosi, tale si può definire anche quanto accaduto con la conquista dell’Italia meridionale da parte dei Savoia.
D’altronde non è forse un olocausto all’interno dei nazionalismi e degli eccidi interetnici quello dei crimini di guerra dei fascisti nell’occupazione della Jugoslavia dopo il 1941 e l’altro delle foibe che entrambi per anni hanno costituito delle stragi dimenticate?
Chi prova a fare sottili distinzioni nel significato di lemmi come massacri, stermini o genocidi a mio avviso non ha altro scopo che giustificare la disumanità.
Noi abbiano il dovere storico di contestualizzare gli stermini all’interno degli ambiti psicologici, ideologici, economici e politici nei quali nascono, di coglierne le cause e di non renderli forzatamente equiparabili, ma davvero non credo si debba costruire alcun tabù sulla violenza ovunque essa si manifesti, perché, avendo come denominatore comune una matrice inaccettabile che è la brutalità distruttrice, va sempre considerata un elemento contrario a una convivenza plausibile tra gli esseri umani.
È vero che il termine genocidio viene utilizzato per la prima volta al processo di Norimberga nel 1946, ma non riusciremo a eliminare gli olocausti se non cancelleremo dalla civiltà umana la concezione antropologica di chi pensa che un qualsiasi essere umano possa recare sopraffazione e violenza nei confronti dell’altro fino a determinarne la morte.
Oggi occorre essere vigili e prevenire quanto può riportare la convivenza umana alla barbarie; in tal senso è necessario riflettere seriamente sulla ricostituzione dei movimenti neonazisti in Europa, sui tanti conflitti armati che continuano a disseminare morte ovunque, sui bombardamenti indiscriminati con i droni, sui muri di filo spinato innalzati contro chi fugge da persecuzione, guerra, fame e miseria e sui sistemi economici che generano la morte per fame.
Quanto provocato ad esempio nell’ottobre 2023 da parte di Hamas e ciò che sta perpetrando lo Stato di Israele verso i palestinesi continua l’orrore della violenza e dei tentativi di genocidio nella storia.
In proposito occorre precisare che l’opposizione decisa alla politica di Netanyahu non è antisemitismo, ma semplicemente antisionismo ovvero rifiuto della convinzione sionista, portata avanti oggi con la devastazione della striscia di Gaza e col progetto denominato “Muro di ferro”, che tutta la Palestina, oltre a parti di Libano, Siria e Giordania, debba far parte dello Stato ebraico negando ai palestinesi un loro Stato.
È solo la nozione di eguaglianza e parità di diritti tra le persone che può interrompere la devastazione di Gaza e costruire sul piano culturale, etico e politico la convivenza e perciò stesso la pace e l’amore per l’altro.
I concetti di non violenza e di difesa popolare non violenta, che hanno avuto i loro ideatori tra gli altri in Mohandas Karamchand Gandhi e Martin Luther King e sono stati promossi in Italia ad esempio da Aldo Capitini e Antonino Drago, occorre che siano dentro i temi del percorso educativo, mentre oggi ne sono talora fuori.
L’uguaglianza e la libertà hanno ispirato tutte le grandi lotte di liberazione nella storia per il diritto alla vita e a tali principi occorre continuare a riferirsi anche oggi nella barbarie che stiamo creando in nome del denaro, del possesso, del potere e del profitto.
Promuovere allora attività di formazione e percorsi educativi sulla Shoah è lodevolissimo, ma occorre forse allargare la memoria storica e portare i giovani a riflettere sulle cause di natura culturale, economica e politica che generano violenza sopraffattrice o indotta.
Non dimentichiamo che spesso l’orrore è stato più volte determinato anche da radicalizzazioni dello stesso pensiero religioso, mentre nei testi sacri delle diverse confessioni il concetto di sacralità della vita umana viene più volte affermato con chiarezza.
Di fronte alla violenza che abita la storia ieri come oggi assolutamente non possiamo tacere o rimanere indifferenti.
Dovremmo seguire l’esempio di papa Francesco che, nonostante la sua non più giovane età, ha il coraggio di testimoniare fino in fondo la sua avversione alla guerra e alla sopraffazione dell’altro chiamando senza alcun timore genocidi quelli perpetrati oggi in diverse parti del mondo a partire dalla striscia di Gaza.
È l’ardire della verità che purtroppo non appartiene più alla politica, corresponsabile oltretutto di tante atrocità pur di difendere interessi economici posti al di sopra della sacralità della vita.
Lavorare per eliminare le cause che portano molti a volere perfino indiscriminatamente la morte dell’altro significa nella storia, a mio avviso, essere attori della giustizia sociale e dell’eguaglianza tra gli uomini che forse non ci daranno l’Eden, ma quantomeno una convivenza pacifica tra gli esseri umani.
L’ultimo aspetto su cui vorrei fermarmi è la necessità di individuare percorsi di educazione alla non violenza.
La scuola deve impegnarsi a modificare la didattica della storia e dell’educazione civica aprendo il racconto storico a un’analisi più larga e allo spirito critico, ma deve pensare seriamente a rivedere gli strumenti metodologici perché non è pensabile rimanere con il testo unico cui affidiamo tutta la verità della narrazione dei fatti.
Tutti noi poi abbiamo il dovere d’impegnarci a stimolare le altre agenzie educative, a partire dalla famiglia, perché sentano l’esigenza del loro impegno nell’educazione dei giovani al rifiuto della violenza nella soluzione dei conflitti.
Sarà quanto mai utile ricorrere per questo a un lessico anche quotidiano indirizzato alla non violenza.
Politicamente abbiamo la necessità impellente di modificare la struttura istituzionale dell’ONU rendendo anzitutto più allargato e democratico un Consiglio di Sicurezza attualmente composto da cinque membri permanenti con potere di veto (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) e da 10 membri non-permanenti, eletti dall’Assemblea Generale con mandati di durata biennale; si deve inoltre impedire che azioni di peace-keeping possano essere addirittura attaccate come è accaduto da parte di Israele proprio al contingente italiano nella zona meridionale del Libano.
Infine occorre la nostra testimonianza nella vita ma anche nelle manifestazioni di dissenso sulla guerra e le ingiustizie.
Spero che le mie considerazioni possano essere utili input per una riflessione comune più allargata nella società con il contributo di tutti.
di Umberto Berardo
30 Gennaio 2025