Quel grumo di case alle porte di S. Massimo
Parliamo di un gruppetto di costruzioni appena fuori porta il quale non ha una precisa identità tipologica. La destinazione d’uso di tali fabbricati è mista, agricola e abitativa
di Francesco Manfredi Selvaggi
31 Gennaio 2025
Si tratta di un complesso, nel senso di complicato, di edifici quello posto alle “porte” di S. Massimo lungo la strada di collegamento al paese, che, però, date le sue limitate dimensioni e nonostante la presenza di una cappella ormai sconsacrata non può essere letto come una contrada. Quello che ci interessa non è, però, l’insieme, ma un piccolo “grumo” di case all’interno di esso che, in quanto tale, sotto l’aspetto visuale costituisce un’unità. È un addensamento, limitato, di costruzioni che si distingue rispetto al resto del nucleo abitativo “fuori porta” di cui fa parte perché non ha un’unica, in qualche modo, dimensione, la lineare, allineato, appunto, all’arteria viaria, allineamento che è la regola costitutiva dell’appendice urbana in questione, bensì ha anche un’altra dimensione, la profondità.
Nel pezzettino di edificato che ci riguarda i manufatti sono disposti su due file, con il “posto in prima fila” rappresentato dall’affaccio sul percorso stradale. La distanza che separa dalla strada il corpo posteriore è la misura di quanto è profondo questo blocco edilizio. Se si legge una certa sincronia tra i volumi posti lungo la via, da ambo i lati, vi è, sicuramente, uno sfalsamento temporale tra le due entità volumetriche che compongono il grumo di cui sopra. Non solo per il fatto che non sono state costruite contemporaneamente esse appaiono accostate fra di loro piuttosto casualmente o meglio spontaneamente usando un termine che si usa spesso nella descrizione dell’architettura tradizionale.
Abbiamo, così, una tipologia di pendio che si addice agli edifici isolati, e questo non lo è, spalla a spalla con un fabbricato con scala esterna, la quale è ricorrente specialmente nelle case che hanno la base in piano. Vedere le cose, le case, tipologicamente di certo, è un’operazione che porta ad astrarsi dall’oggetto concreto, astrazione versus concretezza, per ricondurlo ad un modello ideale che, forse, non è mai esistito; bisogna, poi, considerare che nel tempo le fabbriche si sono andate, è evidente, modificando e ciò, in particolare, è avvenuto nel suolo rurale dove non vi sono i vincoli dati dai rapporti con le strutture contermini, dalla viabilità, ecc. che invece sono forti in un agglomerato insediativo.
Tra i fattori che influenzano l’ubicazione, la dimensione, il numero dei vani abitativi, l’esistenza degli annessi vi è, e forse è quello preponderante, l’indirizzo colturale dell’appezzamento agricolo, se coltivazioni estensive o intensive, congiuntamente alle modalità di gestione della terra, se in mezzadria, in affitto o in proprietà, fatti che, tra l’altro, spingono o meno la famiglia coltivatrice a risiedere sui campi. In relazione al mutamento delle esigenze agronomiche capita che i fabbricati si ingrandiscano, che aumentino i locali di deposito, che si realizzino stalle, tutte opere che si accostano al corpo originario, rendendolo, tante volte, irriconoscibile.
Quindi, con tali premesse, procediamo alla lettura dei singoli elementi del costruito rinunciando alla ricerca di una sua rispondenza ad una pretesa tipologia architettonica. Innanzitutto si rileva che, ora l’attenzione è interamente per il fabbricato che è in secondo piano rispetto alla strada, esso è rispondente all’idealtipo di weberiana memoria della casa in pendio per via dell’ingresso che è a monte ed è posto sul lato corto. L’accesso, invece, del fabbricato adiacente al tracciato viario che ha la scala esterna, è bene notarlo per far risaltare una peculiarità significativa del tipo su pendio, sta nel lato lungo; è da evidenziare inoltre che nell’edificio defilato, per così dire, dal percorso stradale vi è un embrione di scala esterna, questa a due rampe e non una sola, che lo affianca su due pareti, distinguendosi dalla consueta scala esterna anche per il suo non essere in muratura in quanto i gradini poggiano direttamente sul terreno.
Manca qui il pianerottolo di smonto mentre al termine della classica scala esterna vi è sempre il ballatoio. Il tetto in entrambi gli episodi edilizi è ad una falda, con le falde contrapposte fra di esse seppure non congiungentesi in un colmo a causa della loro differenza di altezza, altro indizio di un affiancamento casuale. Lo sviluppo longitudinale delle costruzioni, vi è in tutt’e due un asse prevalente, è in direzioni opposte diametralmente, in quello in pendio è scontato che segua la pendenza del suolo. Vi è, in definitiva, un disordine edilizio estremo, i due corpi così vicini sono così distanti formalmente.
Sembra di stare di fronte a due iniziative costruttive che si sono susseguite se si vuole, dal punto di vista figurativo, inseguite, l’una con l’altra senza mai riuscire a fondersi realmente. Ognuna ha una storia propria, come quella di un clan familiare che, nelle società patriarcali, nel crescere tende ad incrementare gli spazi di vita. Pure gli orizzonti esistenziali di chi abita tali manufatti sono agli antipodi, l’una partecipando della via carrabile è in contatto con la realtà insediativa, l’altra è calata fino al collo nella campagna; il tipo edilizio in pendio è esclusivo delle superfici coltivate, mentre la tipologia di casa con scala esterna la si ritrova anche negli insiemi urbanistici.
Bisogna ciononostante rilevare che hanno in comune un valore importante che è la loro storicità poiché i tipi edilizi in pendio e con scala esterna risalgono a epoche lontane soppiantati in seguito dal tipo con scala interna che ormai è universalmente usato in ogni costruzione; d’altro canto occorre precisare che non siamo di fronte a esempi compiuti di tali tipologie, essendo lungo e stretto, cioè a “corpo semplice” non “doppio” come è conveniente che sia perché più efficiente funzionalmente, l’esemplare di tipo in pendio e con stanze prive di affaccio l’altro.
(Foto: Case in via S. Filomena)
di Francesco Manfredi Selvaggi
31 Gennaio 2025