Influssi anglo-americani nel nostro dialetto
Lo scopo di questa breve indagine è quello di rintracciare lemmi della lingua inglese che nel tempo si sono inseriti nel dialetto abruzzese e molisano
di Giuseppe Tirabasso (da ilbenecomune.it)
3 Febbraio 2025
MALLÀRDO: ingl. Mallard [ˈmælɑːrd]: germano reale, anatra selvatica. tras. persona grassa; fras.: «par’ nu Mallard’, t’ si fatt’ ‘nu mallard’»
MASCÌNA: ingl. Machine [məˈʃiːn/]: termine ormai in disuso per indicare qualsiasi dispositivo, macchinario o auto
MUSTÀCCIO: ingl. Mustache [ˈmʌstæʃ], francese mostache: baffi
MUNIGLIA /MONEGLIA: ingl. Money you [ˈmʌniˈjuː]: Soldi, Fras: «ca’ ‘ce vo’ a muniglia» = «ci vogliono i soldi». Il termine muniglia indica anche piccoli pezzettini di carbone che si usavano nel braciere per riscaldarsi. La parola con il significato di soldi non si riscontra nell’antico dialetto. Perciò abbiamo motivo di pensare che muniglia sia trasformazione di money accompagnato a you
NICHÈL: ingl. Nichel [ˈnɪkəl]: moneta americana da 5 cents, fras. «Ten’ a cap’ e Nichell’», uomo di scarsa intelligenza
NIPPULO: ingl. Nipple [ˈnɪpəl]: capezzolo, le antiestetiche palline di lana o cotone che si formano sugli indumenti infeltriti. Fras. «’Sta magl’ è chin e nippul»
PALETTÓ: ingl. Paltok [/paltɒk/]: giacca corta – francese paletot. – Soprabito invernale, da uomo o da donna, detto con voce ital. cappotto.
PEZZA/PEZZE: ingl: Piece [ˈpiːs]: pezzo o forse ingl: Peace [ˈpiːs]: pace. Dagli italiani in America la banconota di un dollaro viene ancora chiamata pezza. Fras: erano solito chiedere «quanta pezze tien’?» = «Quanti dollari hai?». E’ probabile che il dollaro d’argento coniato negli Stati Uniti dal 1921 al 1928 e dal 1934 al 1935 veniva spesso denominato «Peace» per la parola che si trovava sul retro della moneta. Un’altra ipotesi che il termine rimane nella parlata da quando nel 1794 la zecca degli Stati Uniti, la US Mint usò il pezzo da 8 real, il cosiddetto dollaro spagnolo d’argento come modello per il dollaro statunitense. Qualche studioso ritiene che la «pezza» era una moneta del valore di 12 carlini ad indicare una moneta di grosso valore
PINOZZA: ingl. Peanuts [piːnʌts]: arachidi, noccioline americane
PRESENTE: ingl. Present [ˈprɛzənt]: modesto regalo, in funzione di disobbligo o rispettosa devozione
QUÈQUERO/QUEQERO: ingl. Quaker [ˈkweɪkər]: appellativo affibbiato a persone dall’aspetto ridicolo, abbigliate con trasandatezza e trascurataggine. Fras. «‘omm’ quequer’». Il termine trae spunto dalla setta dei Quaccheri, fondata nel 1653 dal calzolaio inglese Gorge Fox. La setta, agli inizi del ‘700, ebbe un breve e limitato insediamento napoletano
SALAMABECC’: ingl. Son of bitch [ˈsɒŋ ˈɒv ˈbɪtʃ]: donna di facili costumi. lett.: figlio di cagna
SANGUICCIO: ingl. Sandwich [ˈsænwɪtʃ]: qualsiasi genere di panino imbottito
SCECCO: ingl. Chek [ˈtʃɛk]: assegno bancario, in senso lato soldi; fras. «t’so arrivat’ i scecc’ r’America»
SCIARÀPPO: ingl. Shut up [ˈʃʌt ˈʌp]: zitto: Fras. «Sciarappo ricett’ ‘u ‘mericano»
SCIOPPO: inglese – americano Chop [ˈtʃɒp] tagliare: espressione che ritroviamo anche in Sicilia. Parola che, unita a birra, significa una bottiglia di birra, piccola. Probabilmente deriva da una parola di slang americano, udita ai tempi dell’occupazione americana. La radice riporta sempre al verbo tagliare: può darsi che i soldati americani, chiedessero una chop-beer quando volevano una bottiglia piccola (tagliata rispetto alla misura standard). Il locale dialetto registra scioppo per indicare un quarto di vino bianco tagliato (spezzato) con una gazzosa
SELL: ingl. cellar [ˈsɛlər]: cantina, cantinola, scantinato. Termine con il quale gli americani chiamavano le cantine dove ci si nascondeva durante la guerra. Il termine si è consolidato nel dialetto con l’emigrazione americana. fras. « stà abbascio o’ sell’»
SPARATRAPPO: ingl. Strap [ˈstræp]: fasciare, mettere un cerotto a qualcuno chiamato in origine spar drapping «drappo inglese», è il cerotto adesivo per piccole medicazioni. Benda chirurgica in tessuto sottile che nel dialetto indica comunemente il cerotto
SCIUSCIÁ: ingl. Shoe-shine [ˈʃuːˌʃaɪn]: lustrascarpe resi celebri dal film di De Sica del 1946, vengono da una contrazione dell’inglese “Shoe-shine”
SC’MICC’/ SC’M ÈCCO: ingl. Shoe maker, [ˈʃuːˌmeɪkə(r)]: calzolaio, scarparo. In dialetto si indica una persona che non fa bene il proprio mestiere; chi esegue il proprio lavoro senza la necessaria preparazione, competenza e professionalità. Fras. «nun me faccio fa nient’ ra’ stu sm’micco» «Non mi faccio fare niente da questo scarparo»
SICCHISPENZE: ingl. Six pence [sɪks pəns]: ottocentesca denominazione di un raffinato bastone da passeggio, emblema di ricercata eleganza, il cui costo era appunto di six pence (mezzo scellino)
STOCCO: ingl. Stockfish [ˈstɒkˌfɪʃ]: anche oland. ant. stocvisch, pesce a bastone salato simile al baccalà
STRANGÈRA: ingl. Stranger [ˈstreɪndʒər]: estranea, straniera, fras. «Par’ ‘na strangera» (riferito a donna probabilmente dal modo di vestire sfarzoso delle straniere, assumendo poi connotazione negativa)
STUCCHIO: ingl. Stick, [‘stɪk]: astuccio, custodia, contenitore di sapone per barba: da stick, bastoncino
SUFÁ: ingl. Sofa, [səʊfə]: divano. Fras. «Sta ‘ncopp’ ‘o sufà»
TANCA: ingl. Tank [ˈtæŋk]: tanica di benzina serbatoio di liquido, recipiente che contiene liquido anche benzina
TICCHETTA: ingl. Ticket [ˈtɪkɪt]: scontrino, etichetta
TRENCIO: ingl. Trench-coat [ˈTrench-coat]: impermeabile militare, qualsiasi tipo di impermeabile
TRIBBULO/TRUBBULO: ingl. Trouble [ˈtrʌbəl]: guaio, problema, tormento in Francese con lo stesso significato. Fras. «E’ cuntient’ for’ e tribbulo rent’». Letteralmente: «Aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa». Così si suole dire – specie di uomini che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico – mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato
UÀCC’: ingl. Watch [wɒtʃ]: orologio da polso. Lo ritroviamo anche come nomignolo attribuito a persona
WAZZA MARA YOU?: Ingl: What’s the matter with you? [wattˈs ˈmæt.ə wɪð ju:]: Qual è il problema? Modo di dire completamento scomparso nel dialetto, usato solo per scherzo se qualcuno vuol dare l’impressione di conoscere l’inglese
BIBLIOGRAFIA:
Antonio Altamura, Dizionario dialettale napoletano ed. Fiorentino, Napoli,1982,
Giovanni Borrelli, Influssi anglo-americani nel nostro dialetto in Riv. “IL PINO” Pignataro Maggiore, Marzo-Aprile 1984
Francesco D’Ascoli, Dizionario etimologico Napoletano, ediz. del Delfino, Napoli,1979
Nicola de Blasi, Storia linguistica di Napoli, Carocci, Roma, 2012,
Salvatore Palumbo, Fonesi e metafonesi nel medio Volturno, Pignataro Maggiore, 1966
Gerharard Rohlfs, Grammatica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Einaudi, Torino
1966
Domenico Silvestri Problemi e prospettive della ricerca linguistica, I.U.O Napoli, 1978
di Giovanni Borrelli -fb
o (da ilbenecomune.it)
3 Febbraio 2025
Aveva quasi un anno più di me, preferiva gli ultimi banchi, era introverso, aspettava il giorno e l’ora di disegno per schizzare dipinti dietro la lavagna che ribaltava poi all’arrivo del suo idolo, il prof Amedeo Trivisonno, per catturare i suoi giudizi e stupefare noi scarabocchioni.
Trascorsero anni. Ognuno per la sua strada, ma anche da lontano la sua storia m’incuriosiva sempre più. Così mezzo secolo dopo andai a cercarlo e ritrovarlo.
Scoprii che nell’autunno del 1963 Pettinicchi appese al chiodo pennelli, cavalletti e tavolozza e smise drasticamente di dipingere. Aveva 38 anni, era nel pieno della sua potenza espressiva, l’uso dei colori non aveva alcun segreto per lui. Poteva dipingere tutto: decise di non fare più nulla.
Chi gli stava vicino gli diede poco peso, pensarono che volesse “ricaricare le batterie”, che fosse una delle sue “mattane” o una fase di stanca e perfino di pigrizia. Si trattava invece di una specie di karakiri artistico, una intransigenza esistenziale. Un Pettinicchi versus Pettinicchi.
La sua “morte” apparente durò fino al 1973, dieci lunghi anni, durante i quali il professor Pettinicchi sopravvisse a sé stesso insegnando disegno e storia dell’arte proprio in quell’Istituto magistrale di Campobasso dove negli anni ’40 quello studente di estrazione contadina, ebbe Trivisonno come suo primo precettore.
Poi la fulminante riapparizione, ma quello che riappare sulla scena artistica molisana è un uomo annichilito, lacerato, “maledetto”. I suoi dipinti sono urli di rabbia, di passione, di amore e orrore del presente, un tormento senza estasi.
“I miei quadri – mi dice quando vado a trovarlo – sono tragedia, luce e odori. E di tragedia è atrocemente segnata la sua vita privata, familiare, una nicchia oscura dove a nessuno è consentito far capolino ma che lui, artista incapace di understatement e metafore, denuda nei suoi dipinti.”
Nel suo terribile “Autoriratto in un paesaggio nevoso” si esibisce addirittura “sviscerato”, lui stesso si definisce personaggio “squartato”, i suoi occhi azzurrissimi non si rifletteranno più nei suoi cieli tempestosi, i suoi paesaggi sono incubi dipinti con un bisturi che si rincorrono tra frane e crepacci.
Castellino sul Biferno è il suo spettrale paese simbolo, più volte ricorrente nei suoi quadri. In uno di essi, “La banda suona la Vº di Mahler a Castellino”, c’è un altro suo mito ossessivo, appunto la Sinfonia nº 5 di Gustav Mahler ll cui primo movimento ha, non a caso, un tempo di marcia funebre.
“L’arte non è rassicurante – mi dice – perché dovrebbe esserlo la mia?” Gli chiedo se è credete. “Purtroppo” risponde. Si trova a suo agio solo coin la sua gente, è diffidente con i “borghesi”. Anche di me, suo sparito compagno di scuola. Mi riceve nel suo “studio” campobassano, squallida stanzetta dove non esiste nemmeno una sedia, dove lui stesso dipinge all’impiedi ossessionato dall’idea che vi si possa “fare salotto”.
Ha bandito nature morte e fiori, ma riconosce che anche un fiore può essere un oggetto drammatico.
Ha illustrato le tre cantiche di Dante, il suo lavoro forse più impegnativo. Nel Paradiso ci mette, insieme a Van Gogh e naturalmente Mahler, ci mette i suoi contadini e la disperazione di un suo figlio morto. Mentre nell’Inferno non ci sono contadini, ma solo borghesi, burocrati e maneggioni.
Per capire Trivisonno si deve conoscere Giotto e Michelangelo, per capire Marotta si deve amare De Chirico e Bernini, non si capisce Pettinicchi se non si capisce il Molise. Tutti i pittori nostrani hanno raccontato il Molise al mondo, Pettinicchi ha raccontato (con rabbia) il mondo al Molise. Certe sue “Guerniche” come il bombardamento di Isernia e la strage di Fornelli hanno un valore universale.
Gli chiesi se un giorno approdasse sulle sponde della rassegnazione. Antonio Pettinicchi si strinse nelle spalle e abbozzò un sorriso-ghigno come per togliere ogni illusione e dire “ma che ne sapete del dolore”
di Giuseppe Tirabasso (da ilbenecomune.it)
3 Febbraio 2025