Un’architettura double face in quel di S. Massimo
Si tratta del palazzo Gioia poi Piccirilli vincolato e restaurato dalla Soprintendenza
di Francesco Manfredi-Selvaggi
14 Febbraio 2025
Il palazzo Gioia poi Piccirilli, vincolato e restaurato dalla Soprintendenza, è diventato proprietà della Chiesa per un lascito testamentario che, però, ancora non riesce a “sfruttarlo”. L’immobile ha le due facciate opposte completamente diverse fra loro, qui vedremo solo quella anteriore
Così com’è il palazzo Gioia-Piccirilli, la porzione dello stesso rimasto di proprietà della famiglia Piccirilli fin quando l’ultima erede lo ha donato alla Chiesa, appare ben proporzionato rispetto alla piazzetta su cui affaccia. La lunghezza della facciata, di questa parte della stessa, è la medesima di quella di uno dei lati, il più lungo, dello slargo cui è prospiciente. C’è un problema, però, che non consentirebbe di definire equilibrato il rapporto tra la piccola piazza antistante e il fronte del palazzo ed è che il portone dell’edificio risulta decentrato ovvero non al centro del prospetto come si conviene in architetture simili.
Vedere il palazzo nella sua interezza, comprensivo quindi anche del pezzo, circa 1/3 del totale, contraddistinto da un diverso colore, non è fattibile stando di fronte al, per l’appunto, fronte, bensì bisogna guardarlo di sguincio, con una veduta in diagonale in modo da abbracciare la sezione restante della facciata che si sviluppa quando ormai si è in via S. Rocco. Non è facile capire se vi sia una intenzionalità in tale impostazione della nostra architettura, in parte, la gran parte, fronteggiante e, perciò, ben visibile dalla piazzetta, e in parte, una parte minore, visibile di scorcio, a una qualche distanza mentre per vederla da vicino ci si deve accingere a inoltrarsi in via S. Rocco.
La modalità migliore di osservazione non è lo stare fermi ma il muoversi, non da un punto fisso ma mobile, in definitiva una visione dinamica. Non si tratta di guardare un quadro, la faccia del palazzo, da una prestabilita posizione perché è attraverso una sequenza di punti di vista che si recupera l’immagine globale del prospetto compiutamente. È una sorta di vista fluida e, del resto, tale atteggiamento d’animo, la fluidità, è quello che si richiede di assumere non solo nell’osservare il palazzo ma anche nel visitare, per i concittadini nel vivere la zona dell’agglomerato storico in cui esso ricade, per far propria l’urbanistica dei luoghi.
Il cuore dell’antico abitato, dove hanno sede la parrocchia e il municipio, è formato da due piazze, una grande e una piccina, quest’ultima è la piazzetta in cui è ubicato il palazzo Gioia, che stanno a quote differenti, la prima più in alto della seconda; esse trapassano quasi che non ce ne si accorga l’una dell’altra, a dividerle, per un tratto, vi è un basso gradone. L’esperienza sensoriale nel passaggio fra questi due luoghi, è di dilatazione, prima, la piazza maggiore, e dopo di compressione, quella inferiore pure altimetricamente come vedremo, sentimento spaziale generato dalla diversa ampiezza di tali luoghi, avvertendo, comunque, è una questione di sensibilità, che si tratta di un unico spazio.
La fluidità rasenta l’ambiguità se si considera l’andamento del suolo che è in piano nella piazza vera e propria e in declivio nello slargo in cui si pone il palazzo Gioia; quest’ultimo è tanto una piazzetta quanto il segmento di un percorso viario in salita, via S. Rocco è la strada di accesso al paese, in pendenza perché è parte, la parte terminale della direttrice di collegamento tra il fondovalle e l’altura dove è arroccato il paese. Al palazzo Gioia va bene così, cioè sia stare in una piazzetta su di esso in qualche modo incentrata, sia al fianco di un canale di transito di notevole rilevanza, ambedue fattori localizzativi assai attraenti per l’impianto di un manufatto architettonico di una certa pretesa, vedi le torri che lo adornano sul retro e il magnifico portale senza trascurare la sua imponenza.
Ambiguo, di certo, è il significato della piazzetta in cui le quote spianano un poco a contatto con il palazzo ma non tanto, non, comunque, in modo sufficiente da far intendere questo luogo quale corte d’onore del fabbricato, definizione che si addirebbe a questo ambiente urbano se fosse tutto in piano in quanto sostanzialmente chiuso su tre lati, proprio come i cortili esterni delle fabbriche di carattere monumentale. Nella toponomastica civica, è da precisare, tale spazio non ha un nome proprio, una denominazione autonoma, viene ricompreso, è il suo termine superiore, in via S. Rocco.
È equivoca, si ricorda che innanzi avevamo utilizzato la parola fluido e in seguito ambiguo, vocaboli per certi versi equivalenti, pure la collocazione di questo ripiano, diciamo così, se messo in relazione, come fosse il suo punto di partenza, con il nastro stradale, adesso non via S. Rocco, pressoché rettilineo che nella dipartita, nel suo sviluppo iniziale è tangente a un lato corto della piazza principale, poi ad una fiancata della chiesa-madre e successivamente diventato l’asse primario del nucleo originario dell’insediamento chiamato la “chiazza”.
Questa strada, ora andiamo a guardare tale percorrenza all’incontrario, sbuca dalla porzione più remota del borgo all’interno del quale si era infilata e ha quale fondale il palazzo Gioia che, perciò, in quanto ne è il fulcro prospettico, si trova ad appartenere a tale asta viaria, ne è di essa che è la strada-matrice dell’aggregato urbanistico il fulcro percettivo; nell’ottica di lettura appena proposta risulta residuale per il nostro posto il ruolo di piazzale, piazzetta, spiazzo che introduce all’ingresso del palazzo.
L’analisi interpretativa che si è andata effettuando ha voluto mettere in luce oltre al fatto che il fronte sia visibile per 2/3 se si sta faccia a faccia alla facciata, e nell’interezza solo se ci si pone in modo obliquo, anche la sua caratteristica precipua di essere un’emergenza culturale di forte impatto nel panorama urbano. Lo stato di abbandono funzionale in cui versa e la mancata riqualificazione del fronte nonostante l’intervento di restauro effettuato hanno compromesso l’immagine non solo dell’edificio, ma pure dell’ambito focale dell’insediamento di cui è un episodio architettonico primario, un fantasma si aggira per S. Massimo.
(Foto: F. Morgillo – Il Palazzo Gioia)
di Francesco Manfredi-Selvaggi
14 Febbraio 2025