Crisi e futuro della democrazia
Oggi nuove elites di un capitalismo transnazionale stanno imponendo una società sempre più diseguale con la concentrazione della ricchezza in un numero ristretto di persone
di Umberto Berardo
27 Marzo 2025
La democrazia è sostanzialmente un sistema politico dell’organizzazione di uno Stato o di una comunità sovranazionale fondato sulla sovranità popolare a caposaldo della gestione condivisa del potere decisionale.
Nelle forme più antiche, che storicamente facciamo nascere presso le polis greche, essa era fondata sul concetto di un’uguaglianza alquanto riduttiva con l’esclusione dalla presenza nell’agorà di diverse categorie di appartenenti alla collettività come gli schiavi, gli stranieri e le donne.
Nel Medioevo non mancano forme sia pure elementari di partecipazione come l’Arengo nella Repubblica di Venezia o i Consigli Generali nei Comuni per eleggere il Doge o i Consoli.
Il fascismo, il nazismo ma anche i sistemi pseudo comunisti portano molti Stati europei alla dittatura.
D’altra parte l’estromissione di parte della popolazione dal potere a livello sociale o di genere fino alla metà del secolo scorso aveva da tempo generato forme ridotte di diritto al voto e governi oligarchici di notabili appartenenti all’aristocrazia e alla borghesia.
Con l’Illuminismo, grazie soprattutto a Rousseau e Montesquieu, si elaborano i criteri della democrazia liberale moderna fondata sui principi di libertà e di divisione equilibrata dei poteri ma anche su un allargamento della partecipazione del popolo nelle scelte politiche, sullo stato di diritto e sul principio di alternanza al potere.
Le forme di democrazia sono diverse e vanno da quella diretta alle altre che definiamo partecipative, rappresentative e costituzionali.
Quella contemporanea, che si afferma pienamente nel XX secolo grazie alla cultura cristiana, marxista e liberale, diventa matura con il diritto universale al voto; inoltre l’esercizio del potere avviene nel pieno rispetto delle norme statutarie e quindi non solo in relazione al volere espresso nelle elezioni dai cittadini per evitare quello che Alexis de Tocqueville chiama la “dittatura della maggioranza”.
Se una democrazia è veramente piena, ogni persona deve godere contestualmente dei diritti civili, politici, economici e sociali.
Molti sono gli Stati contemporanei che definiamo Paesi democratici, ma in realtà il livello che li avvicina a tale forma di governo è alquanto vario e articolato; si parla anzi oggi dell’alterazione di un tale sistema con aspetti di elitismo, di illiberalismo e di concentrazione del potere che hanno portato il politologo britannico Colin Crouch a parlare di postdemocrazia.
Gustavo Zagrebelsky poi evidenzia una radice sempre più oligarchica delle democrazie rappresentative contemporanee nelle quali la crisi si accentua sempre più per tutta una serie di ragioni interne ed esterne che cercherò di analizzare.
Le classi dirigenti con le attuali leggi elettorali non vengono scelte per volontà popolare ma per designazione delle segreterie di partiti autoreferenziali senza alcuna democrazia interna i quali oltretutto hanno rinunciato alla mediazione come collegamento tra il popolo e le istituzioni rappresentative.
Tra l’altro i sondaggi, non sempre scientificamente oggettivi nel metodo, sono usati capziosamente per manipolare un’opinione pubblica in gran parte priva di libertà e di spirito critico.
Lo stesso problema di democrazia strutturale esiste talora nei sindacati, nelle associazioni professionali e in tutti gli altri corpi intermedi che hanno perso il rapporto di base con i cittadini nell’elaborazione condivisa delle soluzioni alle questioni civili e sociali e preferiscono dedicarsi banalmente a forme sempre più vuote di comunicazione sui media, nei talk show o sui social network.
Molte di queste formazioni politiche e sociali sono sempre più al servizio di un potere economico e finanziario concentrato nelle mani di poche superpotenze e di potenti società multinazionali alle quali stiamo subordinando non solo le scelte politiche e collettive, ma lo stesso diritto internazionale.
Anche i sistemi di comunicazione gestiti da holding private, cui uno Stato al momento è obbligato ad affidarsi, non danno certo garanzia di riservatezza o di sicura protezione rispetto alla continuità del servizio o agli attacchi informatici degli hacker.
Di recente il filosofo Jianwei Xun nel suo saggio “Ipnocrazia” spiega con grande lucidità i nuovi meccanismi del controllo sociale posti in essere da social e algoritmi.
Ormai le elites economiche, finanziarie e tecnologiche concentrano nelle proprie mani la stragrande percentuale dell’informazione e della ricchezza mondiali e riescono sempre più in maniera egemonica a dominare le decisioni nei sistemi postdemocratici dove i canali della delega politica sono svuotati appunto dalle leggi elettorali e dai tentativi di dare al potere esecutivo una funzione predominante.
La cosiddetta stabilità di governo, la crescita economica e la competizione prevalgono sui principi della rappresentanza, del fondamento parlamentare nella funzione legislativa e della solidarietà.
Nella seconda metà del secolo scorso i sistemi democratici erano riusciti a promuovere diversi diritti civili e sociali costruendo un welfare fondato almeno sulla garanzia di servizi essenziali per la popolazione.
Oggi nuove elites di un capitalismo transnazionale assolutamente decadente stanno disegnando e imponendo una società sempre più diseguale con la concentrazione della ricchezza in un numero ristretto di persone e miliardi di esclusi da una sua possibile redistribuzione più equa.
Perfino il rischio sociale viene posto a carico del cittadino piuttosto che della comunità e allora si procede alla restrizione dei servizi pubblici e alle privatizzazioni nella sanità, nell’istruzione, nelle pensioni e in tanti altri settori.
L’incapacità di giungere alla piena occupazione e la ricerca della flessibilità e precarietà nel lavoro stanno oscurando sempre più i diritti acquisiti in tanti anni di lotta.
Questa mancanza di solidarietà emargina sempre più i poveri soprattutto quando emigrano e non hanno la cittadinanza.
Rispetto alle possibili rivendicazioni dei diritti o alla manifestazione del dissenso le forme involute di democrazia fomentano la paura dell’insicurezza e del disordine e in modo del tutto irrazionale cercano di bloccare le contestazioni con pene repressive incomprensibili perfino verso manifestazioni del tutto pacifiche quale la resistenza passiva.
L’antagonismo talora xenofobo di molti popoli occidentali verso i migranti è un altro aspetto della crisi politica che vive la democrazia a livello statale e sovranazionale.
C’è poi il rifiuto di porre in essere finalmente il principio delle pari opportunità e di realizzare un sistema tributario equo che impedisca l’elusione, l’evasione e i paradisi fiscali.
Credo ancora che molti come me si chiedano con rabbia cosa facciano i Paesi democratici di fronte agli inumani massacri posti in essere dalle numerose guerre nel mondo oltre a balbettare generiche e ipocrite preoccupazioni mentre continuano ad inviare armi ai popoli in conflitto.
Altri fattori della crisi democratica sono la corruzione, il trasformismo, la burocrazia oppressiva, una libertà di stampa poco più che apparente e soprattutto la criminalità organizzata che ormai, come sosteneva già Norberto Bobbio, sembra uno Stato nello Stato perché accanto a uno visibile ce ne sarebbe per lui un altro appunto invisibile rappresentato dalle diverse mafie.
Oltretutto i sistemi democratici esistenti non sono riusciti se non in parte a dare una qualche soluzione ai grandi problemi che vive l’umanità come la crisi climatica, la guerra sempre più distruttiva e finalizzata allo sterminio, il progressivo aumento delle spese per il riarmo, la finanziarizzazione dell’economia, l’evasione legalizzata nei paradisi fiscali né cercano di rappresentare e tutelare gli interessi di quanti non hanno la possibilità di partecipare al voto come i bambini, gli adolescenti e quelli privi di diritti politici o della cittadinanza come carcerati e immigrati.
Anche l’Unione Europea non ha ancora una struttura adeguata a una piena sovranità popolare perché, rispetto al Consiglio e alla Commissione, il Parlamento ad esempio non ha la centralità che dovrebbe avere l’unico organo eletto direttamente dai cittadini.
Le stesse carenze nella costruzione democratica sono presenti nell’ONU con il diritto di veto e in altri organismi sovranazionali quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo (OCSE).
In questa situazione l’elettore si allontana dai seggi nella convinzione sempre più allargata che il suo voto abbia ben poca rilevanza per la scelta di una rappresentanza che viene sempre più demandata alle segreterie di partiti collusi con il potere economico e finanziario.
La crisi della democrazia dunque risiede nella sfiducia dei cittadini, ma anche nella sua delegittimazione da parte delle elites che preferiscono sostituirla con forme autarchiche, verticistiche e perfino autoritarie di governo.
Ridimensionando allora i parlamenti e le scelte equilibrate con il controllo dei poteri costituiti, si opera nelle decisioni con la decretazione di urgenza o con il voto di fiducia al governo.
In Europa e nel mondo secondo l’opinione avanzante della destra, sostenuta dalle grandi lobbies oligarchiche, finanziarie e digitali, la democrazia sarebbe un sistema troppo burocratico, immobilista, costoso, improduttivo che dunque andrebbe superato semplificando e centralizzando il potere.
La propaganda in questa direzione, proveniente da numerosi autocrati, sta già disegnando regimi illiberali e parafascisti in Europa e in altre diverse aree geopolitiche.
Da noi le regole democratiche vengono sfilacciate un po’ alla volta mentre negli Stati Uniti d’America Donald Trump sta cercando di smantellare pericolosamente il sistema democratico più antico del mondo con una popolazione inebetita da una propaganda di cui non riesce a comprendere i perversi fini di potere.
Secondo alcuni sondaggi oltre il 30% dei giovani tra diciotto e trentacinque anni sarebbe favorevole nel mondo a un regime militare o a un leader autoritario.
Le scelte verticistiche o dittatoriali, che dovremmo con indipendenza di pensiero saper riconoscere in piena onestà intellettuale, etica e politica in ogni regime autoritario al di là delle sue pseudo definizioni ideologiche, stanno negando la libertà di molti popoli, incrementano le guerre, perpetrano genocidi, massacrano milioni di persone innocenti tra cui tantissimi bambini, allargano le disuguaglianze, torturano e deportano i poveri quando diventano migranti, avvelenano e distruggono il nostro pianeta per puri interessi egoistici.
Questo dovrebbe convincerci che la democrazia va sicuramente migliorata in diversi aspetti, ma non può ancora essere considerata come una delle forme possibili di governo, ma l’unica legittima per organizzare e gestire la vita politica e civile di una comunità rispetto alle tante altre, anche di diversa ispirazione ideologica, reazionarie, totalitarie e dittatoriali che rappresentano solo gradi di arbitrio come potere che tende a negare la volontà popolare.
La democrazia non è mai storicamente compiuta, non è uno stato finale ma un processo in evoluzione; perciò va sempre sostenuta e resa piena nella partecipazione, nella libertà, nelle pari opportunità, nell’uguaglianza e nella pace.
Poiché non amo le rappresentazioni di una società distopica per il futuro, vediamo pertanto come lavorare sul piano elaborativo a livello culturale e politico per rendere reale la democrazia e impedire, come purtroppo sta accadendo in più di un caso, che la logica del più forte si sostituisca allo stato di diritto.
Anzitutto bisogna allora dotarla di leggi elettorali con un sistema proporzionale puro che dia piena libertà di scelta agli elettori e di strumenti di partecipazione diretta come i referendum che non possono essere solo abrogativi, ma anche propositivi.
Occorre superare il disallineamento tra le decisioni delle classi politiche e le richieste della popolazione come sta ad esempio avvenendo in Europa dove le prime optano per un militarismo esasperato mentre la seconda chiede lavoro e servizi sociali.
Il sistema politico dev’essere in perfetta armonia con la Costituzione e fondato sul pieno consenso dei cittadini che vanno resi liberi nelle scelte attraverso una forma d’istruzione che li renda capaci di decidere autonomamente affrancandoli da ogni manipolazione derivante da un’informazione subdola e complice dei poteri economici e finanziari.
La cessione di sovranità a livello sovranazionale deve avvenire nel pieno rispetto degli organi di rappresentanza scelti dai cittadini.
Per tale ragione, nonostante le resistenze dei nazionalismi e dei tanti populismi plebiscitari, la stessa Unione Europea deve andare verso una sempre più adeguata integrazione che, guardando ai diritti del popolo invece che all’interesse di parte, possa condurla alla creazione degli Stati Uniti d’Europa.
È il premio Nobel Joseph Stiglitz a ricordaci che è proprio un’Europa federale che può essere “l’ultimo bastione della democrazia del mondo” in uno scenario politico dominato da autoritarismi, nazionalismi e imperialismi.
I partiti politici e gli altri quadri intermedi di relazione tra la collettività e le istituzioni devono darsi anzitutto regole democratiche interne, tornare a operare tra i cittadini nelle sedi periferiche e nazionali per educarli alla partecipazione politica attiva, essere capaci di selezionare persone competenti e impegnate per una classe dirigente responsabile ma anche responsiva ovvero dotata di etica per sconfiggere la corruzione e promuovere relazioni costanti con la base dando risposte ai bisogni.
La divisione paritaria dei poteri, il controllo delle scelte per l’eliminazione di ogni decisione arbitraria, un’informazione assolutamente libera, il fondamento parlamentare del sistema pluralistico e la prevalenza della volontà popolare dovrebbero essere gli elementi basilari di garanzia della dialettica democratica.
La riaffermazione del consenso per la democrazia potrà avvenire solo se riusciremo a coniugare tre elementi: i diritti, l’ordinamento giuridico ugualitario e lo stato sociale.
Per questo c’è l’esigenza di uscire da modelli economici e finanziari che generano e incrementano disuguaglianza, povertà e discriminazione.
La responsabilità di gestione della vita comunitaria deve avere forme di programmazione di lungo periodo per il bene del nostro pianeta e dei suoi abitanti operando sul piano intergenerazionale, intercomunitario e inclusivo.
C’è chi parla per il futuro di democrazia digitale.
In merito occorre precisare che la tecnologia potrà aiutare il rinnovamento dei partiti, migliorare le istituzioni, ma non sarà uno strumento di garanzia della partecipazione fino a quando non riuscirà ad assicurare a tutti il libero accesso alla rete e i diritti costituzionali guardando al fine umano della vita non unicamente come capacità di operare tecnologicamente, ma dando alla persona un orizzonte di senso e di ricerca della verità.
Insomma una democrazia con sistemi di deliberazione diretta a livello digitale, purtroppo ancora facilmente sottoposta ad abusi come ad alterazioni perché gestita da privati senza controllo pubblico, al momento non mi appare solo difficile ma proprio impossibile.
Rispetto alla deriva postdemocratica che investe sempre di più lo stesso Occidente abbiamo la necessità di maturare nei cittadini l’autonomia cognitiva e lo spirito critico che ci consentiranno di leggere la realtà con la libertà di chi sa uscire dalle manipolazioni di un’informazione orientata dal potere di una corte di miliardari al servizio di despoti senza alcuna coscienza etica e politica.
Ridare valore al lavoro piuttosto che alle rendite, battersi per un salario minimo dignitoso, ritornare a uno Stato protagonista nei servizi e nell’economia per costruire la giustizia sociale, la pace e il bene comune saranno la maniera migliore perché i cittadini possano tornare ad acquisire consapevolezza dell’importanza che ha il grande valore della democrazia.
Certo non riusciremo ad averla nella sua pienezza se non saremo capaci d’impegno allargato per opporci a figure politiche inquietanti di dittatori contrastandoli attraverso la via politica, giudiziaria e soprattutto con la lotta popolare non violenta ma ostinata e costante giacché quanto accade intorno a noi diventa sempre più spesso intollerabile.
di Umberto Berardo
27 Marzo 2025