• 04/10/2025

Dietrich Bonhoeffer

Mo.Li.Se. costituirà inoltre un’opportunità singolare di incontrare scrittori e illustratori per dialogare con loro

di Gabriella de Lisio (da lafonte.tv)

10 Aprile 2025

 

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Oggi nell’ottantesimo anniversario della sua morte provo a ricordare la figura di un cristiano e teologo che mi ha sempre appassionato per l’autenticità della fede e per la sua vita ispirata al Vangelo e completamente dedicata agli altri.

Dietrich Bonhoeffer nasce a Breslavia il 4 febbraio 1906 da una famiglia dell’alta borghesia di origine berlinese con relazioni importanti a livello culturale, sociale, politico e amministrativo.

Il padre Karl, docente di psichiatria e neurologia all’università di Berlino, come la madre Paula, insegnante, pensano d’indirizzarlo verso una facoltà di cultura laica, ma il giovane Dietrich sceglie di studiare teologia prima a Tubinga e poi a Berlino dove si laurea giovanissimo ad appena ventuno anni con una tesi sulla “Comunione dei Santi” pubblicata poi nel 1930.

Aderisce alla Chiesa Evangelica, ma se ne distacca quando essa, non comprendendo che Hitler stava annientando la democrazia e i diritti, riconosce l’autorità del regime nazista; perciò confluisce nella Chiesa Confessante diventandone uno dei principali esponenti insieme a Karl Barth.

Ha numerosi soggiorni all’estero nel servizio pastorale e nell’insegnamento a Barcellona, New York e Londra da dove inizia un interessante confronto epistolare con Gandhi cercando anche di avere con lui un incontro senza mai poterlo realizzare.

Dopo aver conosciuto la discriminazione degli afroamericani negli Stati Uniti si espone sempre più sul piano civile e sociale attraverso una predicazione rigorosamente legata alla Parola di Dio.

Nel 1931 torna in Germania e insegna all’Università di Berlino, ma, avendo manifestato un’opposizione attiva al nuovo regime nazista, per l’inasprimento delle persecuzioni nei confronti della Chiesa Confessante si reca prima a Londra e successivamente accetta un incarico d’insegnamento negli Stati Uniti d’America.

Pacifista dichiarato, ma ormai attivamente impegnato nella resistenza antinazista, pubblica i volumi “Nachfolge” (Sequela) e “Vita comune” nei quali manifesta la sua adesione incondizionata a Gesù Cristo che è la Parola di Dio da seguire per lui in vita e in morte.

Avanzando l’idea di un Concilio Ecumenico sulla pace, scrive tra l’altro: “i popoli si rallegreranno perché questa chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalle mani dei suoi figli e vieta loro di fare la guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante”.

Allo scoppio del conflitto nel 1939 torna in Germania perché non riesce a tollerare di poter lasciare il suo popolo alla mercè di un dittatore inumano.

Il motivo del suo percorso verso la resistenza va sicuramente ricercato nel trattamento crudele riservato dal terzo Reich alla popolazione ebraica.

Negli anni 1941-1942 Bonhoeffer aderisce all’ “Operazione 7” riuscendo a portare in salvo in Svizzera un gruppo prima di sette e poi un altro di quattordici ebrei.

Partecipa quindi attivamente insieme al fratello Klaus e a tanti altri all’organizzazione e all’attuazione il 20 luglio 1944 di “Valchiria”, una congiura per fermare Hitler e assassinarlo.

In un incontro comunica il piano al suo amico Georg Bell, vescovo di Chichester.

La cospirazione fallisce e Bonhoeffer viene arrestato il 5 aprile 1943, imprigionato nel carcere di Tegel a Berlino, deportato quindi a Buchenwald e successivamente a Flossenburg dove dopo un processo sommario viene impiccato a soli trentanove anni il 9 aprile 1945 un mese prima che in quel campo di concentramento arrivi l’Armata Rossa.

 A un detenuto italiano che gli rimprovera di aver condiviso la teoria dell’uccisione del tiranno, egli ribatte in carcere “Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante“.

Ciò che illumina la solitudine nella reclusione si trova in “Da forze buone”, la sua poesia più nota, dedicata alla sua fidanzata e poi anche musicata, in cui si legge nell’ultima quartina “Da forze buone, miracolosamente accolti / attendiamo confidenti qualunque cosa accada. / Dio è con noi alla sera e al mattino, / e stanne certa, in ogni nuovo giorno”.

Credo possiamo leggere in questi versi il suo testamento spirituale.

Durante la sua prigionia elabora le più grandi riflessioni di natura teologica e morale condensate nelle lettere e negli scritti inviati a parenti e amici che verranno poi pubblicati nel volume “Resistenza e resa”.

Il titolo del libro si riferisce evidentemente alla resistenza al male e alla resa come affidamento alla volontà di Dio che egli definisce l’unico Signore della storia e da cui solo, secondo la teologia protestante nella quale si riconosce Bonhoeffer, può derivare la salvezza come dono di cui beneficia tutta l’umanità. 

Le riflessioni più intense, che talora si trasformano spontaneamente in poesia, sono quelle inviate ai genitori, a Maria von Wedemeyer, la sua giovane fidanzata, come all’amico fraterno Bethge.

Quando sono stato chiamato a occuparmi della shoah nel giorno della memoria ho sempre sostenuto che di fronte all’orrore nazista ci sono stati purtroppo l’indifferenza o il silenzio colpevole di esponenti politici, delle Chiese e della stragrande maggioranza della popolazione tedesca ed europea.

Dopo l’approvazione delle “Leggi di Norimberga” del 1935, che suggellano la perdita completa dei diritti civili per gli ebrei, Dietrich Bonhoeffer non accetta tali posizioni in particolare da parte della Chiesa Evangelica e si rende testimone con la vita e la stessa sua morte della necessità di un’opposizione attiva al male incarnato da un dittatore e dai suoi perversi sodali.

Scrive al riguardo nel saggio “Gli scritti” (1928-1944), Brescia, Queriniana, 1979 che “La chiesa ha il dovere incondizionato di occuparsi delle vittime di ogni ordinamento sociale, anche se non appartengono alla comunità cristiana. È rimasta muta quando invece avrebbe dovuto gridare, perché il sangue degli innocenti gridava al cielo” e aggiunge che occorre “non soltanto fasciare le vittime che sono finite in mezzo agli ingranaggi della ruota, ma arrestare gli ingranaggi stessi”.

Don Lorenzo Milani commenterà poi al riguardo: “Se non fosse stato per la Chiesa Confessante noi cristiani non avremmo più il diritto di guardare in faccia un ebreo”. 

Dietrich Bonhoeffer tuttavia non è solo un cittadino attivo e responsabile che sfida il nazismo mentre potrebbe rimanere al sicuro negli Stati Uniti d’America, ma con le idee espresse nelle sue omelie e nei suoi scritti è uno degli studiosi più produttivi che porta con la sua brillante intelligenza alla teologia della secolarizzazione e dà a mio avviso da protestante un grande contributo per il rinnovamento anche nella Chiesa Cattolica soprattutto con il Concilio Vaticano II.

Sente inadeguata una religione staccata dalla vita e già in un’omelia del 1932 troviamo la seguente riflessione.

È mai possibile che il cristianesimo, iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia per sempre conservatore? Se è davvero così, non dobbiamo meravigliarci che anche per la nostra Chiesa torni il tempo in cui sarà richiesto il sangue dei martiri. Ma questo sangue, ammesso che ne abbiamo ancora il coraggio, l’onore e la fedeltà di versarlo, non sarà così innocente e luminoso come quello dei primi testimoni. Sul nostro sangue ci sarà il peso di una nostra grande colpa: la colpa del servo inetto, che viene buttato fuori nelle tenebre”.

Un’etica fedele al Vangelo per lui non ci orienta verso una nozione astratta di bene, ma è capace di renderci protagonisti nella storia per liberare la Terra dal male.

In una lettera alla sua fidanzata illustra nel seguente passaggio la sua concezione della fede.

Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo”.

È il suo modo di sentire Dio nella storia pur nella consapevolezza di un percorso verso l’eternità.

 In un messaggio inviato il giorno prima di essere impiccato tramite un compagno di prigionia all’amico George Bell, vescovo anglicano di Chichester, Bonhoeffer infatti scrive “Ditegli che questa è la fine per me, ma anche l’inizio. Insieme a lui credo nel principio della nostra fratellanza universale cristiana che si eleva al di sopra di ogni interesse nazionale e credo che la nostra vittoria è certa…”.

Il pensiero di questo straordinario teologo che emerge da tutte le sue opere, ma in particolare da “Resistenza e Resa”, sorprende per l’attualità e apre a prospettive nuove e impreviste.

A causa della sua morte prematura non ci ha lasciato una trattazione teologica sistematica, ma un insieme di riflessioni profonde sulle quali poi molti hanno continuato a lavorare interpellati come cristiani al di là della loro confessione religiosa.

Colpisce sicuramente in lui la coerenza tra pensiero e vita anche quando questa gli impone scelte difficili e assai rischiose.

Questo pastore protestante mette al centro della sua esistenza un Dio che egli sostiene non debba essere considerato un tappabuchi per le nostre esigenze, ma il fondamento della nostra responsabilità nella storia per non isolarci egoisticamente dal male che ci circonda.

Al di là della giustificazione per grazia, propria del credo luterano, questo pastore sottolinea la stretta relazione tra la fede e la credibilità della testimonianza di vita.

La figura e il pensiero di Dietrich Bonhoeffer appaiono di singolare attualità in un’epoca come quella in cui viviamo nella quale riemergono, non solo nella nostra Europa, simboli, idee e organizzazioni politiche che richiamano i tempi oscuri dei regimi fascisti e nazisti.

Nelle scelte etiche, politiche, economiche e sociali viviamo momenti di grande disorientamento il quale sempre più spesso sfocia in decisioni egoistiche e talora davvero disumane.

C’è un male che oggi attraversa il nostro pianeta in diverse aree geografiche nelle quali autocrati spietati cancellano i diritti umani e perpetrano massacri e genocidi col sostegno di governi collusi, ma anche nel silenzio e nella rassegnazione di popolazioni inebetite e incapaci di elaborare soluzioni praticabili alle gravi questioni aperte.

Se di fronte a tale situazione viene meno purtroppo il nostro dissenso e si afferma l’indifferenza pur di garantirci egoisticamente la tranquillità e il benessere in cui viviamo senza una condanna decisa di quanti continuano con le guerre e le segregazioni a salvaguardare i propri interessi calpestando i diritti altrui, credo che il pensiero e le scelte di questo teologo possano servire molto a farci uscire dall’inettitudine che non ci sta permettendo più di farci carico della dignità di quanti vengono emarginati, umiliati e perseguitati.

Sono certo anche che nei suoi scritti possiamo trovare l’occasione per una profonda riflessione sul senso e il valore da dare all’esistenza.

di Umberto Berardo

 

lì 10 Aprile 2025

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