Contro la modernità
No all’agricoltura industrializzata, no agli oliveti superintensivi
di Pasquale Di Lena
11 Aprile 2025
Sono ideologicamente schierato contro la modernità che sta mettendo in dubbio il domani, anche quella espressa dagli oliveti superintensivi.
Oliveti che sono una parte della crisi della nostra olivicoltura, partita negli ultimi decenni del secondo millennio e poi proseguita fino ai nostri giorni. Altre ragioni concorrono alla crisi del comparto dell’agricoltura italiana, che ha sempre visto le Regioni de nostro meridione e le isole primeggiare in fatto di estensione e quantità di produzione. Il sud e le isole con le aree interne e marginali, le più colpite dall’abbandono degli oliveti, che è, anche e soprattutto, abbandono della piccola azienda familiare. Una questione atavica qual è quella meridionale, che invece di essere risolta si è aggravata con le innovazioni a la modernità dello sviluppo.
Quello che ha privilegiato il centro nord e, per quanto riguarda l’agricoltura – anche per le scelte dell’Ue e dei nostri governi – quella è diventata agricoltura industriale. L’agricoltura che, dopo i fossili, ha e sta dando il suo notevole contributo alla crisi climatica. E non solo, anche alla perdita della fertilità dei suoli, a causa dell’uso crescente della chimica e dei possenti mezzi delle lavorazioni profonde, che sono tanta parte della modernità che ha caratterizzato l’agricoltura non solo italiana. Alla perdita della fertilità è da aggiungere – sempre per privilegiare la modernità – lo spreco proprio di un sistema che depreda e distrugge per alimentare la sua ragione di essere, il consumismo, a partire dal bene più prezioso, un tempo comune, il territorio. E così, mentre nelle aree della Spagna, che hanno visto nascere e primeggiare l’olivicoltura superintensiva, ci sono ripensamenti da parte degli olivicoltori e delle stesse istituzioni, c’è chi in Italia sponsorizza la diffusione di questa pratica, che pensa all’oggi e non al domani. Quando i suoli hanno dato tutto quello che potevano dare e, per colpa della modernità proclamata e professata, diventeranno aridi.
Tutto dopo che l’industria meccanica e quella chimica hanno da tempo incamerato i loro profitti e con le banche che hanno recuperato i prestiti e guadagnato più del dovuto con i tanti fallimenti, che hanno riguardato soprattutto piccole e medie aziende coltivatrici. Nel frattempo si è perso di nuovo la grande occasione di utilizzare un patrimonio straordinario, tutto italiano, qual è quello della biodiversità olivicola che l’origine e l’intelligenza dei nostri olivicoltori hanno selezionato nel corso di centinaia, migliaia di anni. Un patrimonio fondamentale per conquistare, con gli oli monovarietali, i mercati e battere ogni concorrenza. Un processo che ha già visto protagonista e vincente, negli ultimi due decenni del secolo scorso, il vino italiano con le Docg, Doc re Igt, oggi ben 535 Dop e Igp, che raccolgono migliaia di tipologie di vini.
Ecco come il moderno oliveto superintensivo, che ha reso grande l’olivicoltura spagnola e dà profitti per un arco di tempo di qualche decennio ai suoi promotori e, ancor più ai vivai e a quanti li promuovono con l’informazione, diventa vecchio e sorpassato nel tempo segnato dal dio denaro. Il dio che ha fretta, vuole tutto e subito, incurante del domani. Quello della terra di cui siamo parte, della natura e della biodiversità, elementi essenziali per la vita e la sua qualità, che l’innovazione e la modernità stanno mettendo in dubbio creando, così, solo paure sempre più diffuse.
di Pasquale Di Lena
lì 11 Aprile 2025