• 11/11/2019

C’era una volta il medico condotto

Se ne è fatta di strada dall’epoca in cui l’igiene pubblica era affidata solamente all’Ufficiale Sanitario. Oggi vi sono più organismi deputati a fronteggiare le minacce alla nostra salute che sono, oltre alle infezioni, gli inquinamenti ambientali

di Francesco Manfredi-Selvaggi (da ilbenecomune.it)

11 novembre 2019

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C’era una volta il medico condotto
Se ne è fatta di strada dall’epoca in cui l’igiene pubblica era affidata solamente all’Ufficiale Sanitario. Oggi vi sono più organismi deputati a fronteggiare le minacce alla nostra salute che sono, oltre alle infezioni, gli inquinamenti ambientali

Fino ad epoca abbastanza recente, cioè fino alla Riforma Sanitaria che è dl 1978, l’igiene pubblica, in senso lato, era affidata ai medici condotti, alle ostetriche ed ai veterinari e ciò a livello comunale, mentre a quello di provincia esistevano i Laboratori di Igiene e Profilassi oltre che gli uffici del Medico Provinciale. Tali Laboratori si trasformarono nel Presidio Multizonale Igiene e Prevenzione, PMIP, il quale, a sua volta, con il referendum del ’93 abrogativo delle competenze in materia di controlli ambientali delle Usl evolverà nell’ARPA.

La gran parte degli operatori del vecchio PMIP vengono trasferiti all’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale e rimangono nella Usl solo quelli destinati alle verifiche propriamente sanitarie. Quando si ha il cambiamento da Usl ad Asl, quindi ad aziende il settore della prevenzione, o meglio il Dipartimento, risente dell’orientamento in senso aziendalistico che ora dovrà svolgere la sua attività ponendo attenzione ai costi. Poco su questo fronte si può, in effetti, incidere perché, salvo le multe da comminare, non si può immaginare di trarre ricavi dalle azioni che si mettono in campo per prevenire le infezioni nella zootecnia, la sicurezza sui luoghi di lavoro e così via.

Nel frattempo l’Arpa per via dell’aumentata importanza che acquistano i temi dell’ambiente assume un peso sempre maggiore nella società, oltre che una forte visibilità. Essa coniuga le funzioni proprie di un organismo ispettivo con quelli di promozione dell’ecosostenibilità, con l’educazione al rispetto della natura. Si fanno notevoli investimenti per dotare questo organismo di strumenti efficaci per il monitoraggio della qualità dell’ambiente e tra questi si segnala, forse il più significativo, quello dell’attivazione di una rete “proprietaria” di centraline che misurano l’inquinamento atmosferico alla quale si aggiungono alcune installate dalle stesse industrie.

L’Arpa per l’accrescimento progressivo del suo ruolo dall’ultimo piano del palazzo ottocentesco in via Petrella che condivide con l’Asl e dove rimane la Direzione Generale trasloca i laboratori in un nuovo stabile appositamente costruito. Esso è situato vicino all’ex Frigomacello e alla, anch’essa chiusa, Centrale del Latte, oltre che alla recente isola ecologica: tenendo conto che a Campobasso salvo la Molisana non vi sono stabilimenti produttivi significativi, la scelta del sito della sede dell’Arpa è condivisibile perché, essendo inserita in un contesto, comunque, da recuperare trattandosi di capannoni dismessi essa può essere percepita come un presidio di vigilanza sugli impatti sulle matrici ambientali che gli stessi causano.

L’igiene pubblica con la quale abbiamo iniziato già a partire dal 1934, con il Testo Unico delle leggi sanitarie, estende i suoi interessi al tema della sostenibilità del processo industriale il quale diventa una preoccupante minaccia alla salute; nella normativa citata si regolamentano le industrie classificate «insalubri», individuando il problema del danno al benessere fisico e non al sistema naturale. Se è vero che le disposizioni legislative tardano ad occuparsi di ambiente, per cui occorrerà attendere gli anni ’80 e la comparsa delle istituzioni europee, già agli albori della legislazione igienica c’è un riferimento alle questioni urbanistiche. Nella legge del 1888 che sancì anche nella nostra neonata nazione, che la tutela della sanità fosse una funzione dello Stato c’è un titolo apposito dedicato all’”igiene del suolo e dell’abitato”.

In molte grandi città italiane la speculazione edilizia iniziava a produrre situazioni intollerabili di degrado della vivibilità. Per impedire l’arbitrarietà dell’edificazione sotto la spinta degli interessi dei proprietari fondiari e delle società immobiliari si puntò sulla formazione di piani urbanistici. Nella medesima direzione va la normativa di qualche anno prima, del 1865, questa relativa alla espropriazione per pubblica utilità la quale consentiva l’acquisizione delle aree da parte del pubblico per migliorare la salubrità degli insediamenti e per favorire la realizzazione di strade.

Per quanto riguarda queste ultime si cita il caso di Napoli in cui si poté procedere allo “sventramento” di quartieri popolari eccessivamente densi costruendo il Rettifilo, una arteria di sezione consistente funzionale, a migliorare le comunicazioni, sì, e che nel medesimo tempo rappresentava un canale d’aria per dissipare i miasmi provenienti dalle abitazioni, sovraffollate, malsane. Per analoghe ragioni in diversi centri si ebbe l’allargamento di alcune vie e si stabilirono nei regolamenti edilizi, i quali si aggiungevano ai regolamenti d’igiene che, va notato, li precedevano, rapporti tra la lunghezza delle strade e l’altezza massima che i fabbricati avrebbero potuto raggiungere.

Molte delle prescrizioni urbanistiche inserite nei programmi di fabbricazione provengono dai manuali d’igiene piuttosto che da testi di architettura anche se uno sviluppo ordinato dell’abitato è sicuramente pure rispondente a criteri estetici. Venne imposto l’obbligo per le sistemazioni degli aggregati urbani di acquisizione del parere sanitario. Un altro accorgimento teso ad assicurare tanto le esigenze salutari quanto la salubrità del nucleo insediativo è quello di una sufficiente dotazione di spazi verdi, o perlomeno aperti.

Viene imposta, sempre per motivazioni igieniche, una fascia di rispetto cimiteriale (il cimitero costituiva un’opera igienica) che inizialmente era di 200 metri che si riduce a 100 fino ad arrivare a concedere la possibilità di deroga per le edificazioni previste in un piano di sviluppo delle zone urbanistiche purché non si superasse la distanza di m. 50 dal camposanto (santo in quanto è anche un’opera religiosa). Il nulla osta dell’autorità sanitaria deve essere richiesto anche per le residenze e nell’istruttoria condotta in tale procedimento la prassi era quella di analizzare se le stanze erano illuminate in maniera naturale sufficientemente, se godevano di irraggiamento solare, se il ricambio d’aria era garantito (specie per quelle che affacciano su chiostrine, se non su autentici cavedi), se vi erano disturbi acustici (magari perché in prossimità della ferrovia). Con decreto ministeriale del 1975 le regole vennero formalizzate e vennero fissati parametri definiti riguardanti l’altezza minima degli ambienti, la superficie dei locali anche in relazione alle aperture aeroilluminanti e si precisò che la ventilazione naturale nei bagni sarebbe potuta essere, date le innovazioni tecniche, sostituita da quella meccanica.

di Francesco Manfredi-Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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