Sistemi di selezione, controllo e rinnovamento delle classi dirigenti
Le forze politiche tradizionali non hanno favorito l’emergere dei talenti e delle professionalità
di Umberto Berardo
22 gennaio 2020
C’è ancora chi ne parla al singolare e assimila la classe dirigente alle persone che hanno il diritto decisionale sul piano politico o amministrativo.
In realtà, con l’allargarsi del potere in settori sempre più articolati, con una definizione più corretta e, per così dire, maggiormente elastica, occorre parlare più correttamente al plurale di classi dirigenti intendendo con esse le elites costituite da soggetti individuali o collettivi che hanno poteri direttivi e responsabilità di organizzazione in ambito politico, amministrativo, imprenditoriale, bancario, nelle professioni, nell’informazione, nell’istruzione e nella religione.
Ovviamente le classi dirigenti hanno un’articolazione a livello mondiale, nazionale e locale.
In società plutocratiche o dittatoriali il sistema della loro selezione avviene per cooptazione o per nomina ed è chiaro che allora l’egemonia dei governanti i sistemi sociali mira alla difesa degli interessi individuali e di gruppo piuttosto che a sostenere quelli collettivi.
Se le elites al contrario vengono scelte attraverso i sistemi dell’elezione, del concorso pubblico controllato, della competenza e del merito, c’è maggiore probabilità che esse possano mantenere un livello accettabile di confronto e di empatia con la popolazione operando per la realizzazione del bene comune.
È del tutto evidente come un sistema corretto e democratico di scelta delle classi dirigenti richieda una legge elettorale che dia ampia capacità decisionale di preferenza agli elettori per gli organi di rappresentanza, ma anche massima trasparenza e rispetto di regole prefissate nei concorsi con l’eliminazione di ogni forma di assunzione verticistica e clientelare che ovviamente finisce quasi sempre per eliminare i fondamentali criteri validi quali sono la rettitudine e la competenza.
In Italia i meccanismi di selezione si fondano molto spesso sull’esistenza di riferimenti parentali o interpersonali, ma anche su cooptazioni per appartenenza a cordate relazionali quali partiti, dinastie o gruppi di potere.
Con tali sistemi a guidare istituzioni pubbliche, corpi intermedi, università, informazione, editoria, imprese, banche, sindacati e chiese abbiamo classi dirigenti prevalentemente maschili con un’età media che si è abbassata di recente, ma che è ancora molto alta.
La staticità, il conformismo, l’autoreferenzialità, la scarsa disposizione al rischio, il basso livello d’istruzione con appena il 31% di laureati, un’inadeguata propensione alla ricerca, alla progettualità metodica e razionale come all’innovazione, ma anche una corruzione diffusa degli apparati sembrano attualmente nel nostro Paese le principali peculiarità di elites che oltretutto assumono un’arroganza intellettuale sempre più inaccettabile e che talora si collega con una chiusura inconcepibile verso i cittadini soprattutto quando questi assumono atteggiamenti critici.
La situazione che viviamo sul piano culturale, politico, economico e sociale ci dice con estrema chiarezza che abbiamo bisogno di pensare a sistemi innovativi per un ricambio ma soprattutto un rinnovamento profondo delle classi dirigenti.
Eliminare le nomine politiche e i sistemi clientelari per dare spazio a quelli elettivi e concorsuali dev’essere la prima regola per avere competenza ed efficienza.
Un’altra esigenza è quella d’investire in istruzione, ricerca, tecnologia e scienze umane per alzare il livello di formazione che necessariamente deve avvenire in ambito universitario e postuniversitario con centri di formazione di eccellenza quali quelli esistenti negli Stati Uniti d’America, in Giappone, nel Regno Unito, in Francia e Germania, ma oggi anche in Paesi emergenti come la Cina e l’India.
Per eliminare poi i privilegi corporativi è fondamentale garantire un alto livello di mobilità sociale con un’assoluta gratuità degli studi in sedi adeguate e capaci di far emergere intelligenze, creatività e professionalità presenti in tutti gli strati sociali.
Le forze politiche tradizionali non hanno favorito l’emergere dei talenti, delle professionalità e neppure dello spirito critico né sono state capaci di rendere reale il processo democratico che al contrario negli anni ha subito una forte involuzione con la diminuzione del potere di scelta degli elettori e l’allargamento delle diseguaglianze economiche e sociali.
Il distacco dei partiti dalla propria base elettorale per difendere non il bene comune, ma interessi di parte sempre più scandalosi e inaccettabili ha condotto a forme di plutocrazia finanziaria che hanno distrutto valori quali la libertà, la democrazia e l’uguaglianza.
Le elites si sono trasformate in un’oligarchia privilegiata sempre più chiusa e lontana dal popolo che ha bloccato il Paese per anni dando spazio a movimenti populisti che senza un’idea chiara di organizzazione della società fanno leva sul malcontento per acquistare consenso, ma si dimostrano poi del tutto inadeguati di fronte alla prova della direzione della vita collettiva nella quale anzi in questi ultimi anni sono penetrati a livello antropologico concetti davvero molto pericolosi per la democrazia e la convivenza solidale.
Quanto è accaduto in alcune banche o in aziende come Alitalia e più in generale ad un’economia che non sembra più conoscere sviluppo è un chiaro indice di classi dirigenti che non stanno assolvendo in modo adeguato i loro compiti.
Se, come sta avvenendo, continueremo a governare l’Italia in modo improvvisato, anacronistico, settoriale e senza una visione complessiva della struttura sociale, certamente andremo a sbattere.
Poiché in politica come in economia oggi la selezione non avviene per via democratica, il rinnovamento delle classi dirigenti, oltre che sulla formazione, passa attraverso alcune decisioni di carattere politico.
Occorre pertanto scrivere una legge elettorale che dia ai cittadini la possibilità di esprimere preferenze cancellando qualsiasi sistema bloccato, garantendo la governabilità e impedendo ogni forma di trasformismo che tradisce la volontà degli elettori.
Per tale ragione è necessario eliminare i senatori a vita, impedire la candidatura di una persona in più collegi, evitare i listini bloccati e arrestare qualsiasi cumulo negli incarichi rivedendo in maniera radicale i compensi scandalosi per politici, amministratori e manager.
C’è un elemento che crediamo vada in ogni caso sottolineato.
Chiunque assume impegni direttivi ha l’obbligo di associare alla preparazione culturale, alle competenze specifiche e all’aggiornamento professionale la più grande responsabilità operativa nella convinzione radicata di essere utile davvero a una società di cui deve sentirsi parte e della quale ha necessità di condividere in pieno i bisogni.
Un rapporto corretto tra elites e popolo infine esiste se quest’ultimo ha gli strumenti per controllare sistematicamente l’onestà, la competenza e la rettitudine dei governanti e dei dirigenti attraverso i meccanismi della selezione e l’accertamento della correttezza del loro operato.
Certo occorre immaginare un’alta percentuale di richiedenti, un elevato quorum di partecipazione e una maggioranza consistente degli aventi diritto al voto, ma ci chiediamo ad esempio come mai l’istituto della revoca degli eletti, già esistente nell’antica Atene come potere dell’Ecclesia di promuovere un’inchiesta e rimuovere i funzionari con l’ostracismo e oggi previsto in diversi Stati a livello nazionale o locale, non venga introdotto anche in Italia.
Questo strumento di democrazia diretta sicuramente darebbe al popolo un potere sulla stessa immunità che oggi compete unicamente al Parlamento dove tali decisioni sono soggette a meccanismi e logiche politiche di potere.
Riflettere e confrontarsi su questi strumenti propositivi invece di continuare ad abbaiare inutilmente alla luna, come suol dirsi, significa lavorare concretamente per creare sistemi innovativi di selezione e rinnovamento delle classi dirigenti.
di Umberto Berardo