Casalciprano: pitture parietali, murales o graffiti?
L’arte urbana va intesa come un tentativo di valorizzazione del centro storico (non fosse altro perché richiama visitatori) e, pertanto, le pitture murali hanno poco a che vedere con la cultura dei graffiti, i quali, invece, servono a dar voce al disagio di minoranze giovanili; non fosse altro che esse sono state finanziate con fondi pubblici e che a coordinare il lavoro degli artisti è stato il prof. Canova dell’Università degli Studi del Molise. La street-art è diversa dagli altri movimenti artistici innanzitutto perché non riceve sovvenzioni da parte di enti né si avvale di sponsorizzazioni. Mentre i writers occupano pareti con le loro opere senza chiedere alcun permesso, clandestinamente, spesso lavorando di notte per non essere scoperti, addirittura contro la volontà dell’amministrazione locale, coloro che hanno prodotto gli affreschi sulle facciate di vari edifici di Casalciprano sono stati, al contrario, invitati dal Comune che, è ovvio, ha condiviso la decisione con i proprietari delle case prescelte.
Si tratta di veri e propri pittori, quelli che hanno operato qui, i quali ben gradiscono vedere una loro creazione figurativa in una sala di museo o in una galleria, cosa che gli artisti di strada, invece, rifuggono. Questi ultimi producono nell’anonimato, fatto che li distingue con decisione dagli altri artisti. Un aspetto è comune ed è quello che le produzioni di ambedue sono concepite per quello specifico luogo, per quella determinata parete per cui l’eventuale distacco dalla stessa al fine di trasferirla in uno spazio museale ne produrrebbe la decontestualizzazione e, con essa, la perdita di significato. I murali di Casalciprano si integrano con gli elementi di facciata, con le bucature, specie finestre e, meno di frequente, balconi poco presenti nelle case tradizionali e con le porte in quanto stanno in alto. Essi non sono serviti per coprire le «bruttezze», magari le opere in calcestruzzo di sostegno di strade o qualche manufatto di servizio, per giunta abbandonato, e neanche per accrescere la “bellezza” dei fronti edilizi, bensì per dare un tono nuovo all’abitato che non può che essere temporaneo, rientrando in una logica, lo si è detto all’inizio, di valorizzazione che, nel caso specifico è di richiamare l’attenzione sul nucleo antico e non di cambiare i connotati, se non per breve tempo.
In altri termini, se si fosse voluto puntare sulla riqualificazione estetica, allora si sarebbe dovuto intervenire in ambiti periferici dove pure nei borghi minori vi sono fatti costruttivi incongrui dovuti, mettiamo, al passaggio di una infrastruttura viaria moderna o alla realizzazione di qualche capannone, ad ogni modo i murales contribuiscono ovunque ad aumentare la vivibilità. I murales permanenti sono appropriati per le pareti esterne degli ospedali, alla nostra scala dei poliambulatori, e delle scuole al fine di rendere tali luoghi più attraenti e creare un clima più gioioso, specialmente per i bambini; il loro carattere di componente duratura del fabbricato non esclude, comunque, che negli anni essi possano essere sostituiti, cancellando i precedenti com’è nella natura stessa dei graffiti, arte effimera per eccellenza. A causa della loro temporaneità non si è pensato di dover redigere un piano, che preveda o meno il concorso dei proprietari, per la loro conservazione, quale sarebbe potuto essere un programma di pulizia delle superfici dei murali con cadenza periodica: di consolidamento degli intonaci in relazione al materiale di cui sono costituiti, e di protezione dagli agenti atmosferici in dipendenza dall’esposizione dei fronti (ad esempio, a nord).
La preoccupazione maggiore è quando l’edificio viene abbandonato seppure si esclude il rischio che venga demolito. Un problema che qui, di certo, non si pone dato il coinvolgimento della comunità nell’operazione è quello dei vandali, i quali, del resto, avrebbero difficoltà a distruggerli in quanto, lo abbiamo accennato, stanno nella parte superiore delle facciate. Sono ormai trascorsi alcuni anni dal completamento di quest’opera che ha avuto la caratteristica di un’azione unitaria, seppure i dipinti sono disposti in punti distinti dell’abitato (producendo addirittura un affollamento di murali in rapporto all’estensione del borgo), ed adesso è necessario darle un prosieguo. Potrebbe essere un’occasione di animazione della società locale l’organizzazione di workshop di pittura sui muri nei quali accanto a professionisti si potrebbe dar spazio, nel senso letterale del termine, a volontari com’è nello spirito del graffitismo, stimolando alla partecipazione pure i giovani del posto. Giovani sì, poiché essi sono sensibili ad espressioni artistiche di tipo «surrealista», la stessa dei tatuaggi. Tutto ciò per continuare quanto finora messo in campo per la valorizzazione del centro storico che non è solo i murales in quanto vi è anche l’interessantissimo museo diffuso.
Ambedue le iniziative (per quanto riguarda il museo, se pensiamo ai gruppi statuari posti all’aperto) hanno riguardato gli spazi urbani determinando uno stretto rapporto tra arte e strada. Le aree pubbliche sono state interessate anche dal rifacimento delle pavimentazioni con l’utilizzo della pietra e dell’illuminazione cittadina con lampioni «in stile». Per quanto riguarda l’edificato il Comune ha effettuato il restauro di un palazzo storico, dopo averlo acquisito dagli eredi della famiglia Montalbò, ed acquisito diversi vani nella zona storica trasformandoli in locali museali; il privato ha dato anch’esso un contributo trasformando due unità edilizie di consistenti dimensioni in strutture turistiche. L’autorità ecclesiastica ha provveduto a restaurare la chiesa parrocchiale. Oltre a ciò non c’è molto altro. È necessario nel prossimo futuro un forte impegno dell’amministrazione a favore della ristrutturazione edilizia cominciando con la redazione di un piano di recupero.
In coerenza con lo sforzo fatto per gli affreschi parietali si dovrà procedere, tornando al tema della riqualificazione dell’immagine urbana, pure alla stesura di un piano del colore frutto di uno studio attento capace di riconoscere le peculiarità dei vari corpi edilizi senza pensare di imporre modelli di facciata uniformi, o tutt’al più con alcune varianti. È un impegno gravoso, molto simile a quello che ha preceduto la scelta delle pareti sulle quali dipingere i murales, in quanto l’architettura popolare, che è quella che connota la quasi totalità degli edifici della zona più vecchia di Casalciprano, è poco riconducibile a schemi compositivi prefissati. Non è gratuita completamente l’affermazione che per le case dei contadini si debba parlare di edilizia spontanea. Forse proprio questa mancanza di regole definite nella configurazione architettonica ha permesso agli artisti di poter esercitare una qualche libertà espressiva, una propria interpretazione delle facciate.
di Francesco Manfredi Selvaggi