• 11/23/2018

Adottata per compassione

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

23 novembre 2018

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Adottata per compassione
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

Stavo ramazzando casa e affacciandomi dal balcone notai che la porta della casetta ubicata sotto casa mia era spalancata. Ero abituato a vederla sempre chiusa e la curiosità mi spinse a varcarla.

Fui improvvisamente colto da una strana sensazione: le scarpe mi si appiccicavano sul pavimento e sentivo un odore pungente. Entrato in camera scorsi una donna riversa nel letto soffocata dalle coperte.

Ci presentammo ed ebbi subito compassione per quella povera donna priva di tutto, anche del bagno che poi avrà.

Caduta malata, era stata rispedita dal Canada a Toro, nella sua vecchia vuota casetta del paese natio.

Mi raccontò che appena sposata e piena di speranze, era emigrata in America e lì aveva lavorato fino a quando la malattia non l’aveva costretta all’immobilità.

Lì aveva lasciato una figlia disabile ricoverata presso un istituto sanitario. Lì aveva lasciato marito e altro figlio.

Rientrata nella sua vecchia casetta se ne stava nel letto giorno e notte.

Man mano ebbi a rifornirle delle cose necessarie, e soprattutto passavo spesso a farle compagnia, perchè sempre sola.

In quel tempo anch’io mi sentivo molto solo, ero occupato a riempire il gran vuoto lasciato da mia madre morta prematuramente, tentando di sostituirla nell’allevare il quarto fratellino divenuto troppo presto orfano.

Forse per tale motivo, inconsciamente, credevo di ritrovare in lei una madre, quindi l’adottai come tale.

Spesso le portavo da mangiare, le fornii alcuni elettrodomestici e una radio, affinché potesse sentirsi in compagnia, le facevo qualche lavoretto per la sua casa, le infondevo speranza affinché un giorno potesse rivedere i suoi figli, soprattutto per non indurla a ripiegarsi tristemente sulle sue disavventure.

Insomma, cominciai a volerle bene e lei mi ricambiava con le preghiere in mio favore. Era il solo ricatto a cui la piegavo, cosciente che le sue preghiere erano privilegiate agli occhi del Signore.

La mia compassione verso di lei consisteva nel sentirmela vicino nelle sue disgrazie in quanto immagine riflessa delle mie, allora.

Un brutto giorno la sua casa fu preda di un incendio, come avevo temuto tante volte, e lei morì divorata dalle fiamme.

La piansi come un figlio, dichiarandole tutto il mio affetto pubblicamente, sull’altare dove riposavano i suoi miseri resti.

Il giorno dopo le scrissi un’accorata lettera (pubblicata da un giornale) nella quale esaltavo questa donna vittima di un destino crudele e beffardo contro il quale non si era mai arresa, confidando sempre nella Provvidenza, ma questa, per le sue misteriose e insondabili vie le faceva chiudere la sua triste esistenza in maniera ancor più drammatica, nonostante le sue accorate preghiere.

(Nella foto:Toro, il paese natio)

di Vincenzo Colledanchise

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