• 04/10/2024

– Allùmame ‘n gùre!

Così disse Tatuccio al fulmine che di notte illuminò la strada insieme a Luiggiotto dopo che si accorse che la damigiana di vino che portavano si era rotta presso un ostacolo, mentre tentarono di camminare a tentoni.

di Gregorio Giuliano (da letteraturacapracottese.com)

10 aprile 2024

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– Era nu brigànde come sugnurìa.
Così paragonava, non in senso maligno, verso un bravo signore di Capracotta il capracottese Cianganella. 

– Chéŝta è carne de patàne e no de carne.
Così dice Donato De Simone. Si allude a uomo di scarsa salute.

– Facéme le sagne se porta farina Cicce.
Così diceva un parente del senatore Falconi. Si può fare una cosa se vi sono i mezzi. 

– Pò ì Pasca senza dun Pelecàrpe?
Può andare Pasqua senza il prete don Policarpo? E cioè: può andare la moglie senza il marito? 

– Solo il mio sa di saette.
Così disse don Antonio Dell’Armi quando, in un intervallo delle funzioni della Settimana Santa (allora vi erano a Capracotta una decina di preti), si sorbivano il caffè ed al suo avevano messo il sale. 

– E fagli pure delle buone spese.
Così aggiunse il prete di cui sopra imitando la scrittura all’autorizzazione al vignaiolo dell’avv. Campanelli perché facesse vendemmiare il reverendo nella sua casina della vigna stessa. 

– Che disgrazia, compare! Non morire nessun figlio in guerra.
Così disse M. Sammarone, verso gli anni attorno al 1929 (anni di crisi), vedendo le donnette portarsi alla Posta per la riscossione della pensione di guerra (quale commento!). 

– Tutti e due sfortunati, cara presidente: tu senza marito e io senza moglie.
Così disse Cicco Carmosino alla Presidente dell’Asilo dove veniva rifocillato per bisogno. Fu allontanato. 

– È questo quello che non vorrei fare!
Così rispose Giacomo D’Andrea al medico che, di comune accordo con suo padre, lo invitava a fare il falegname anziché l’autista verso il 1912-13. 

– Addó ze trova Ciano!
Così disse Ciano la Nasca (cognato di Orazio Stabile) quando si recò in Argentina, rimpiangendo la cara comitiva di amici lasciata a Capracotta, da dove era partito con l’intento di rimanere vari anni. Travolto dalla nostalgia, pare che stette soli due mesi. 

– Fatti pagare dagli amici tuoi.
Così disse, fuggendo, sempre don Antonio Dell’Armi, dopo aver tolto la scala a pioli che dava su un ripiano all’oste di Napoli, al quale aveva chiesto delle cipolle. Ciò perché alcuni malviventi, finti parenti, avevano invitato il reverendo a pranzo nella predetta osteria e poi se l’erano svignata uno alla volta. Fu però più birbone don Antonio.

– Te scié scritte a ru libbre de Paschìtte!
Ti sei iscritto al registro dei matrimoni: quindi non sei più giovane. 

– La moglie è una illusione.
Così diceva Ceccalone. 

– Quanda n’ara sendì ŝtu vraciére de chiacchieàre!
Così diceva Tatuccio quando si trattenevano le lunghe serate nei locali della Società, con gli amici, attorno al braciere. 

– Bella legneàme pe fà crucefìsse!
Così diceva Luiggiotto alludendo a persone con qualche cosa di male. 

– Chi sa zappà, zappa che la zappa de léna.
Mastro Orazio agli apprendisti svogliati.

di Gregorio Giuliano (da letteraturacapracottese.com)

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