• 04/13/2018

Andare per acqua con la “Tina” I racconti di Vincenzo

Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

13 aprile 2018

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Munite di spara e tina” andavano le donne ad attingere l’acqua dai pozzi: pozzo a monte, fontana a valle , neviera. 

Se la ritualistica degli sguardi d’amore nelle giornate di festa avveniva davanti alla chiesa, per tutto l’anno si rinnovava sulla strada che portava al pozzo.

Questo era il quotidiano impegno delle ragazze che andavano a prendere l’acqua.

“Alzati presto e non farti precedere dalle altre” dicevano le mamme alle figlie, specialmente nei mesi estivi, quando la siccita’ impoveriva i pozzi e non si riusciva ad attingere acqua pulita.

Acqua melmosa veniva fuori da quelle poveri sorgenti, ma nessuno la voleva; toccava a chi attingeva per ultimo. allora liti furibonde si accendevano ai  bordi delle fonti ove ognuna affermava i suoi diritti di precedenza.

“Andare per acqua” era, pero’, anche momento di gioia. il pozzo si trovava lontano, ma la distanza non spaventava quelle giovani fanciulle: una volta, due volte, tre volte travasavano l’acqua della tina al recipiente piu’ grande e via di nuovo ad attingere. 

Il pozzo era il punto di incontro con le amiche, ma non solo con loro.

Lui era li’ , all’angolo della strada. la ragazza sentiva lo sguardoi su di se’ ma passava diritto, con indifferenza, senza voltarsi; scambiarsi un saluto o poche parole nemmeno a pensarci.

Quel giovanotto, probabilmente, non era l’uomo dei suoi sogni e, sicuramente, non sarebbe divenuto l’uomo della sua vita, ma la presenza riempiva di felicita’ il cuore della ragazza.

Allora quando il contenitore dell’acqua tenuto in casa stava per essere riempito e la festa mattutina dell’amore volgeva alla fine, la ragazza tendeva ad allungare il tempo e il rituale: a meta’ strada, quando nessuno la vedeva, riversava per terra il contenuto della tina e via di nuovo ad attingere nuova acqua e nuovi sguardi d’amore per cui sognare e non inaridire..

di Vincenzo Colledanchise 

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