• 03/13/2018

Appunti di Filosofia Ambientale

Cerchiamo di far luce su cosa si intende quando si parla di Filosofia Ambientale oggi, grazie all’intervento di Piergiacomo Pagano 

di Piergiacomo Pagano (da innatura.info)

13 marzo 2018

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La situazione ambientale non è stata mai così critica. Cambiamenti climatici, desertificazione, inquinamento, grave perdita della biodiversità, popolazione in crescita esponenziale, sono solo alcuni aspetti di una problematica complessa che richiede interventi a breve termine. Ma per decidere quali sono i passi che vogliamo compiere è bene fare chiarezza su come vogliamo (o dobbiamo) rapportarci con la natura. Da questo numero di inNatura iniziamo un cammino che ci condurrà attraverso la filosofia ambientale, una disciplina che raccoglie ed elabora le riflessioni provenienti dalle diverse attività umane al fine di giungere a scelte sagge e condivise. Un percorso essenziale delle diverse posizioni, alla ricerca di differenze e somiglianze per proporne una semplice classificazione. Senza la volontà di sostenere una opinione, bensì di dare al lettore la possibilità di scegliere affinché possa adottare quella posizione che ritiene più in sintonia con il suo essere e col suo temperamento. Ci accompagna Piergiacomo Pagano.


 

Mentre la situazione ambientale conosce picchi di criticità fin qui sconosciuti, il pensiero ambientalista muove verso una maggior consapevolezza sul rapporto uomo/natura. Si direbbe che la gravità del fenomeno stimoli la riflessione ma che le valutazioni scientifiche ed etiche di tale riflessione non riescano a porsi al centro del discorso pubblico.

Vero! Il pensiero ambientalista muove verso una maggior consapevolezza sul rapporto uomo/natura. Nel concreto ha contribuito alla maturazione del concetto di sviluppo sostenibile che da un approccio tipicamente antropocentrico, seppur debole, sta muovendosi verso un più equilibrato ecocentrismo. L’ambiente oggi trova, ad esempio nelle dichiarazioni dell’ONU, una dignità propria e indipendente. E’ vero, anche, che la riflessione è sempre viva ma non di primario interesse. Le ragioni sono molteplici; innanzitutto i drammi sociali di portata epocale, come guerre e migrazioni di massa, non permettono previsioni a lungo termine. Vi sono poi ragioni legate alla diseguale distribuzione delle ricchezze nel mondo. I Paesi ricchi, sebbene abbiano una impronta ecologica insostenibile, non rinunciano al loro tenore, nemmeno in parte. I Paesi in rapida crescita, come Cina, India e Brasile, giustificano il loro impatto accusando i paesi occidentali di avere fatto altrettanto in passato. I Paesi poveri hanno problemi più stringenti da affrontare, come fame e malattie. Infine, e qui mi soffermerei in quanto è ciò che possiamo fare tutti noi agendo nel piccolo delle nostre forze, vi sono ragioni di educazione, e più in generale di cultura. L’educazione all’ambiente è di fondamentale importanza, tuttavia possiamo e dobbiamo fare di più. Nell’opuscolo a mia firma intitolato “Appunti di filosofia ambientale” e di cui verranno pubblicati alcuni stralci in questa rivista, sottolineo che l’educazione è sicuramente utile per la formazione dei ragazzi in quanto prevede un insegnante e degli allievi, tuttavia impoverisce l’autonomia delle generazioni più mature. Mi spiego meglio. Come diceva Kant possiamo rimanere discepoli tutta la vita fidandoci di ciò che ci dicono gli altri o possiamo, attraverso le nostre scelte, essere artefici del nostro futuro. La “filosofia ambientale” non insegna cosa fare, ma fornisce le basi affinché ciascuno di noi si renda consapevole delle proprie azioni. Ad esempio possiamo proteggere la natura perché ci fornisce il cibo per sopravvivere, oppure ragionando in modo più “nobile” potremmo rispettare la natura per il suo stesso bene. La filosofia ambientale, in altri termini, è un luogo di dibattito che rende consapevoli delle nostre azioni. Diffondiamo la filosofia ambientale affinché ciascuno agisca nel bene dell’ambiente; non perché qualcuno glielo ha imposto ma per propria scelta.

Una larga fetta della popolazione acquisisce sempre maggior consapevolezza dei rischi ambientali ma questo non sembra incidere più di tanto sui comportamenti individuali. Come si spiega quest’atteggiamento?  E’ un sentimento diffuso d’ineluttabilità a fermare il necessario cambio dei comportamenti o, più concretamente, il fatto che individualmente occorrerebbe modificare aspetti fondamentali della vita quotidiana come consumi, mobilità e soprattutto alimentazione?

Credo manchi una motivazione forte. Proviamo a chiederci perché dovremmo salvaguardare la natura.

Gli antropocentrismi rispondono: “perché fornisce il cibo, il riparo, i servizi ambientali a noi e alle generazioni future”. I teocentrismi dicono: “dobbiamo salvaguardare la natura perché è di Dio e ce l’ha data affinché la amministrassimo con saggezza”. Tutti noi abbiamo a cuore i nostri familiari e le persone più vicine, ma cosa dire degli sconosciuti, degli stranieri che vivono lontano o che hanno una differente visione del mondo? Che dire di chi verrà fra 200 o 300 anni? Se, poi, uno non ha figli o una religione che gli fa credere nell’aldilà, beh allora quel che sarà dopo di lui non gli interesserà. Evidentemente la motivazione antropocentrica e/o teocentrica non è sufficiente.

I biocentrismi rispondono: “la natura è un bene in sé, è indipendente dal valore e dal volere umano e dobbiamo rispettarla in quanto tale”. Ottima motivazione, ne sono convinto. Ma per coloro i quali credono che la natura sia fatta per l’uomo, perché la utilizzi (o, peggio, la sfrutti) la motivazione anti-antropocentrica non è sufficiente.

Gli ecocentrismi rispondono: “dobbiamo salvaguardare la natura perché apparteniamo tutti ad un unico ecosistema. Dobbiamo cercare un vivere armonico, la nostra e l’altrui realizzazione.” Risposta centrata che, però, manca di “verve”. Ottima per gente già di per sé amante della natura, ma inefficace per stimolare i poco sensibili.

Tutte le motivazioni citate hanno una loro ragione d’essere, tuttavia credo ne serva una più forte e laica, una motivazione basata su dati oggettivi. Personalmente ho avanzato una proposta in questo senso. Punto focale della mia teoria è la sua visione diacronica dell’uomo come portatore privilegiato di nuove proprietà emergenti. Ho chiamato questa visione Eco-Evo-Centrismo e ne ho scritto in alcuni articoli. Mi è ora, in questa breve intervista, impossibile trattarla adeguatamente. Per il momento posso dire che l’Eco-Evo-Centrismo vede l’essere umano come un organismo di transizione. Da un lato è un animale desideroso di accumulare le cose materiali, dall’altro lato sta diventando consapevole dell’importanza dell’immateriale. Dobbiamo, quindi, salvaguardare la natura affinché l’evoluzione culturale possa fare il suo corso e svilupparsi in qualcosa di cui non sappiamo ancora nulla ma che sarà, certamente, grandioso.

Al di là delle valutazioni etiche, il peso della zootecnia quanto a consumo di risorse e impatto ambientale, è ormai un fatto incontrovertibile. Si tratta di un aspetto che, ancor meno di altri, fatica a trovare spazio. Perché?

Non credo che questa affermazione sia del tutto vera. Sta crescendo, soprattutto tra i giovani, la consapevolezza del vivere equilibrato, sobrio. Così come le generazioni dei cacciatori sta via via scomparendo per lasciare spazio agli amanti degli animali e della natura selvaggia, così gli amanti della carne a tutti i costi sta lasciando spazio a persone più consapevoli delle miserevoli conseguenze dell’uso eccessivo di carne. E’ un processo lento ma in via di accelerazione. Molti giovani stanno comprendendo che la zootecnia odierna nasconde verità orribili come la stabulazione in spazi invivibili, il taglio del becco degli uccelli e tutto ciò che c’è di abnorme negli allevamenti industriali. I social network, che troppo spesso sono propagatori di “maladattamenti”, hanno, in questo caso, il pregio di sensibilizzare l’opinione pubblica. Certamente la comunicazione globale è di grande aiuto e stimolo per la diffusione di pratiche vegetariane e vegane. Io credo nella giusta moderazione. Secondo la mia opinione la carne genuina fa bene, si tratta di mangiarne in quantità limitata. In una sana alimentazione, anche solo 100-150 gr. alla settimana sono sufficienti per un individuo medio.


 

Quanto si parla della filosofia ambientale?

La filosofia ambientale è una materia adeguatamente diffusa negli Atenei del nostro Paese? Ha offerto spunti originali e autorevoli al dibattito?  Esistono, in Italia ,casi concreti in cui il legislatore sia stato chiaramente influenzato da valutazioni critiche in merito ad una particolare situazione o progetto.

Purtroppo in Italia non esiste un corso di studi in filosofia ambientale e troppo spesso è confusa con l’etica ambientale, una disciplina più ristretta di cui, invece, esistono corsi interdisciplinari. Questa è la mia definizione:  la “filosofia ambientale è un processo che trae conoscenza da ogni attività umana, la integra attraverso il dibattito etico al fine di elaborare principi utili ai legislatori nel perseguire sostenibilità, equilibrio e armonia con la natura. Essa guida il nostro comportamento e determina le nostre scelte in campo ambientale.” All’estero, soprattutto nel mondo nordico e anglosassone, esistono strutture e istituti universitari che si occupano di questa disciplina, come, ad esempio, il Center For Environmental Philosophy, alla North Texas University, dove ho avuto l’onore di essere ospitato nel 2014 come visiting scholar. In Italia esiste il Comitato Nazionale per la Bioetica con funzioni di consulenza sui problemi etici riguardanti la vita umana. Ritengo dovrebbe essere istituito un analogo comitato per i problemi relativi all’ambiente. Come ho più volte ripetuto la tematica ambientale è estremamente complessa e richiede un approccio interdisciplinare. In questo quadro sarebbe auspicabile l’istituzione di nuove professionalità inter e multidisciplinari capaci di raggiungere una sintesi nella ricerca di soluzioni sagge e condivise. La risposta è quindi: no o, meglio, in parte. Esistono in Italia autorevoli consulenti che hanno contribuito alla stesura di leggi sull’ambiente, tuttavia la mancanza di una mentalità critica, allineata su tesi antropocentriche francamente datate, non ha potuto che fornire risposte “superficiali”.

Etica ambientale

Le scelte etiche non possono derivare direttamente dalla scienza. Un chiaro esempio riguarda la bioetica. Le leggi sull’aborto, sulla procreazione assistita, sull’eutanasia ecc. sono il risultato di un ampio confronto dove l’obiettività della scienza è di grande aiuto ma non è sufficiente a dettare le regole. Inoltre, a volte le problematiche ambientali sono così complesse che la scienza può fornire solo previsioni parziali a diversi livelli di probabilità di accadimento. Nonostante questi limiti la scienza è l’unica fonte di conoscenza in grado di fornire argomenti di riflessione e di discussione obiettivi. Nel corso  degli anni, molti scienziati, soprattutto biologi ed ecologi, hanno contribuito allo sviluppo della filosofia e dell’etica ambientale. Senza la scienza il dibattito etico rimarrebbe vago e sterile. Al  riguardo numerosi pensatori hanno elaborato risposte che, semplificando, potremmo distinguere in: antropocentriche, biocentriche (o anti‐antropocentriche), ecocentriche (o antropocentrico‐critiche).

Semplificando:

• L’antropocentrismo mette al centro dell’interesse l’essere umano. Il morfema “antropo” ha il significato di “essere umano”.

• Il biocentrismo mette al centro la vita in generale, tipicamente quella dei non‐umani. Il morfema “bio” ha il significato di “vita”.

• l’ecocentrismo riconosce che l’essere umano è strettamente legato agli altri esseri viventi e deve comportarsi di conseguenza. Il morfema “eco” ha il significato di “abitazione, casa”.

Esaminando più a fondo la filosofia e l’etica ambientale possiamo identificare una miriade di idee e concetti che si distinguono e si intrecciano attraverso l’utilizzo di termini specifici quali rispetto, responsabilità, diritti, conservazione, preservazione, sostenibilità, valore intrinseco, valore inerente.

Tutti questi termini hanno una loro ragion d’essere, tuttavia possono disorientare o essere fraintesi. Per districarsi tra la moltitudine di proposte, ma tenendo presente che qualsiasi schematizzazione rappresenta una forzata semplificazione della realtà, proporremo, a partire dal prossimo numero, una classificazione delle idee quale indicazione di massima e soggetta a variazione nel corso dell’evolversi dei concetti e delle definizioni.

di Piergiacomo Pagano (da innatura.info)

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