• 06/28/2016

Aziende agricole: il rischio di scomparire per fame

L’agricoltore pur producendo la stessa quantità di prodotto vede, sempre più, il suo rating abbassarsi

di Giorgio Scarlato

28 giugno 2016

Il forte arretramento della domanda interna è il segnale di declino del sistema Italia, evidente ormai da tempo. Il debito di Stato, sommato a quello delle imprese, delle banche e delle famiglie è pari al 400% del PIL. Il settore agricolo è stato il primo a subirne, iniziato dal lontano 2001. Oggi, un drammatico scenario economico-sociale che sta riguardando tutti i settori. 

Si focalizza il settore agricolo.

Le aziende agricole presenti nel 2000 in Italia erano 2.396.274, nel 2010 1.620884; ben il 32,4 in meno con punte – 40% in Toscana, – 45% in Liguria e – 48% nel Lazio. Si toccano regioni dove l’agricoltura è attiva per capacità cooperativistica ed imprenditoriale.

L’Italia è in default per due aspetti di criticità:

a) il consumatore è poco propenso a spendere;

b) l’imprenditore è per nulla propenso ad investire.

Il tutto unito alla disoccupazione, giovanile e non (nel segmento 15-25 anni è pari al 38% circa), ed alla stretta creditizia porta alla recessione, alla stagfazione (stagnazione + inflazione) vista non nell’ottica, anche se minima, dell’aumento dei prezzi al consumo ma in quella della mancata monetizzazione e quindi guadagno dei prezzi di vendita all’origine.

L’Italia agricola ancor di più.

E’proprio di questi giorni, ad inizio del nuovo raccolto, che il prezzo del grano duro oscilla trai 19 e 20 euro/ quintale mentre navi cariche di grano canadese, giornalmente, scaricano a Manfredonia (FG) o altri porti italiani.

Nel 2015 la media è stata sui € 25/ql; nel 2014 sui 35.

E questo, come esempio, vale per la frutta, la verdura, il pomodoro da industria, la barbabietola da zucchero, il latte, l’olio d’oliva, la carne.

Come si può vivere, come si può competere?

Si produce per poi, visti i prezzi di vendita delle derrate che si ottengono, rifonderci?

L’agricoltore pur producendo la stessa quantità di prodotto vede, sempre più, il suo rating abbassarsi.

Logica conseguenza è che senza crescita della domanda il rapporto PIL/debito non può che aumentare nonostante il sistema creditizio bancario abbia ricevuto liquidità dalla BCE (Banca Centrale Europea) ma si è ben guardato dall’immetterla nel sistema delle imprese e quindi delle famiglie. In un incontro di pochi mesi addietro, un direttore di una banca molisana portò a tal proposito qualche esempio. Su 100 agricoltori, nuovi clienti, che chiedevano di aprire una linea creditizia, ben 99 erano interessati a ristrutturare i loro debiti. 

Il sistema bancario non ha certezza alcuna che poi questi prestiti possano essere onorati visti nell’ottica di costi-ricavi. D’altronde come può, prendendo ad esempio proprio il grano duro, averne certezza del pagamento quando un agricoltore, suo cliente, che produce 1.000 ql di grano vede abbassarsi il suo PIL in solo 3 anni da € 38.000 a 19.000? 

Come si può chiamare questa operazione da globalizzazione neoliberista? Come può tenersi in piedi un’azienda? Come programmare investimenti?

Le piccole e medie aziende , causa la concorrenza anomala, senza alcuna protezione istituzionale e vessate da tasse che disincentivano gli investimenti non potranno che scomparire. Chiuderanno per fame vista la mancanza di reddito e di leale competitività. Addio il vero Made in Italy. Il 55% delle famiglie italiane, lo scrive l’ISTAT, vive in uno stato di deprivazione relativa (si avvicina la miseria greca?), cioè non arriva a fine mese. Minimamente si tocca, e questa è un’altra storia, quella stragrande maggioranza silenziosa di persone che da tempo ha rinunciato alla ricerca di un lavoro. Il WEF ( Foro Economico Mondiale) ha nel 2014 pubblicato, e lo fa annualmente, un’analisi circostanziata della competitività delle economie di ogni Paese: l’Italia occupa il 43° posto, dietro Portogallo, Lituania, Indonesia; lontanissima da Svizzera (1° posto), Svezia (2°) e Germania (5°).

Nel 2015, un italiano su quattro è a rischio povertà o esclusione sociale secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020 cioè che non possono riscaldarsi in modo adeguato (25% circa) o a far fronte a spese impreviste di € 1.000 circa (45% circa) o un pasto proteico adeguato ogni due giorni ( 20% circa). Sintetizzando, nel nostro Paese (fino a quando?) si è creato un clima ostile per chi studia, per chi produce, per chi consuma.

Tutto questo porta a 3 nodi focali, quali: 

a) di decadenza;

b) di limitazione di libertà;

c) di evidente sudditanza.

LA RESILIENZA, LA VOLONTA’, LO SPIRITO DEL FARE ITALICO SONO STATI SOSTITUITI DA PAURA, PASSIVITA’, RASSEGNAZIONE, IMPOTENZA.

Di questo passo, il Molise, l’Italia così stremate da disoccupazione ed austerità costante si stanno incamminando verso la cessione della loro sovranità. L’amara conclusione: L’Italia del fare svenduta; gli Italiani, quelli autoctoni, colonizzati.

Si termina con una frase dello scrittore e filosofo tedesco Ernst Junger dal suo “Trattato del Ribelle”: “… il singolo non occupa più nella società il posto  che l’albero occupa nel bosco: egli ricorda invece il passeggero  di una veloce imbarcazione che potrebbe chiamarsi Titanic.”

di Giorgio Scarlato