“Blue 19”
Le narrazioni di Giuseppe Pittà, poeta, scrittore e giornalista molisano
di Giuseppe Pittà
10 Gennaio 2024
La storia si annoda su se stessa, trova sbocchi inaspettati. La via in cui abito è una piccola strada, ma è stata una bella piazza, prima che ci costruissero la Centrale del Latte di Roma. Piazza Guglielmo Pepe, che è un caldo aggancio con la piazza del mio Generale Pepe, il buon Gabriele, che si mostra fiero e di bronzo nella mia Campobasso.
Ora qui ci sono rimaste poche cose, il bel palazzo in cui ha casa l’Ambra Jovinelli, che è stato il tempio nazionale del Varietà e che adesso, che sono gli anni del mio impegno universitario e delle prime lotte politiche (un giorno vi racconto della ubriacatura similrivoluzionaria), si occupa di fornire film di infima serie e spogliarelli. Però solo qualche giorno fa ho potuto divertirmi con i tripli e quadrupli grevi sensi dell’avanspettacolo. Ho fatto appena in tempo con gli eroi Trottolino e Fanfulla e le loro compagnie di eroi dello spettacolo. E c’è rimasto il palazzo in cui vivo al quarto piano, ma anche il bar che ha entrata proprio affianco al mio portone d’ingresso. Il bar. Qui la storia diventa per me interessante. Una sera, una delle mie prime serate romane, mi viene voglia di birra. Così entro, mi avvicino al banco e chiedo al barista la sacra birra. Mi piazza sul banco una mezza Peroni ed un bicchiere. Verso. Porto il bicchiere alle labbra. È fresca al punto giusto. Buona. Intanto mi guardo attorno. Alcuni tavoli, rotondi, piccoli, di lamiera colorata. Una decina di persone sono sedute su sedie di anch’esse di un metallo leggero. Sembrano brutti ceffi. Assai brutti, hanno facce che mettono paura. Mentre bevo, uno di loro, un tizio di mezza età, con un cappellaccio in testa e dei baffi assai folti si rivolge al barista.
“La birra del giovanotto la pago io!”. Io mi giro verso di lui e, dopo aver detto che non c’è bisogno, al suo assenso, lo ringrazio e gli dico che semmai avesse bisogno di me, sono felice di essere a disposizione. Il gesto dell’offerta di pagare mi ha colpito, lo ammetto. Ma credo che anche lui abbia apprezzato i miei ringraziamenti. “Si” – mi fa – “mi sarai utile, ne sono sicuro”. Inizia così la mia collaborazione con zi’ Tore, siciliano di Catania, che vuole sapere tutto di me e che io assecondo, in cambio di una cena alla settimana, in uno di quei posti affollati di San Lorenzo. Così capita che viene a sapere delle mie origini sicule, della frequenza nella facoltà di ingegneria e della passione per la letteratura e il Melodramma. Una bella storia, che mi ha portato in poco tempo ad ottenere i biglietti per la platea del Teatro dell’Opera, l’abbonamento all’Eliseo e alla Tevere dell’Olimpico per fare il tifo alla mia nuova squadra di calcio, la Roma. Ma per ora mi fermo qui, che ho sonno.
Domani, forse, vi racconterò cosa devo in cambio alla gentilezza di zi’ Tore ed alla sua combriccola di strani banditi, fatti di una pasta mai conosciuta, gente dallo sguardo tagliente, che mi atterrisce ogni volta che mi guarda, soprattutto quando mi si sorride. Eh si… Buonanotte, a domani!.
di Giuseppe Pittà